Philip Farmer - Il fiume della vita

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Il fiume della vita: краткое содержание, описание и аннотация

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In una valle sconfinata, lungo le sponde di un fiume immenso, si è radunala tutta l’umanità di tutti i tempi, miliardi di persone che hanno gia vissuto e che si sono risvegliate a una nuova vita in attesa di un destino ignoto. Questi uomini e queste donne continuano pero a conservare la propria mentalità e spesso a ripetere gli stessi errori di un tempo, cercando di dominare gli uni sugli altri. Ma la nuova esperienza può anche costituire una possibilità per raggiungere quegli obiettivi che si sono mancati prima: questa almeno e l’opinione di Francis Burton, il celebre esploratore che trascorse gran parte dei suoi anni in una sfortunata ricerca delle sorgenti del Nilo. Ora per Burton può ricominciare una nuova esaltante avventura…

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Alice parlava e parlava, come se il liquore le avesse sciolto la lingua. O come se avesse voluto piazzare una barriera di conversazione tra sé e Burton.

Parlò di Dinah, la gatta soriana cui era stata affezionata da piccola; e dei grandi alberi dell’orto botanico di suo marito; e raccontò che suo padre, mentre lavorava al dizionario, starnutiva sempre a mezzanotte in punto, e nessuno sapeva perché… All’età di ottant’anni aveva ricevuto una laurea ad honorem in lettere, dall’università americana di Columbia, per la parte essenziale che aveva avuto nella genesi del famoso libro del signor Dogson. (Alice omise di citarne il titolo, e Burton, pur essendo stato un lettore famelico, non ricordò alcuna opera di un certo signor Dogson.)

— Era un pomeriggio davvero splendido, malgrado le previsioni meteorologiche ufficiali — disse Alice. — Quattro luglio 1862. Io avevo dieci anni… Mia sorella e io indossavamo scarpe bianche, calze traforate bianche, abiti di cotone bianchi, e cappelli a larghe tese.

Aveva gli occhi sbarrati, e sussultava come se stesse lottando con se stessa, e prese a parlare ancora più in fretta.

— Il signor Dogson e il signor Duckworth portavano i cestini della merenda… Partimmo da Folly Bridges con la nostra barca per risalire controcorrente l’Isis, tanto per cambiare. Il signor Duckworth era il prodiere; le gocce cadevano dai remi come le lacrime di cristallo sullo specchio levigato dell’Isis, e…

Burton ebbe l’impressione che le ultime parole fossero state urlate. Guardò con stupore Alice, le cui labbra sembravano muoversi come se ella stesse parlando a volume normale. I suoi occhi erano ora fissi su Burton, ma pareva che contemplassero, attraverso di lui, uno spazio ed un tempo situati al di là. Le sue mani erano sollevate a metà altezza, come se ella si fosse sorpresa per qualcosa e non le potesse muovere.

Ogni suono era amplificato. Burton poté udire il respiro della bambina, le sue pulsazioni cardiache e quelle di Alice, il gorgoglio della peristalsi di Alice, e la brezza che s’infilava tra i rami degli alberi. Da un’estrema lontananza giunse un grido.

Burton si alzò e si mise in ascolto. Cosa stava succedendo? Perché quell’aumento di sensitività? Perché poteva udire il cuore degli altri e non il proprio? Riusciva anche a rendersi conto della forma e della struttura dell’erba sotto i piedi. Quasi poteva avvertire le singole molecole d’aria cozzare contro il proprio corpo.

Anche Alice si era alzata. — Cosa sta succedendo? — chiese; e la sua voce investì Burton come una violenta raffica di vento.

Burton non le rispose, perché la stava fissando. Gli sembrava di poter davvero vedere il suo corpo per la prima volta. E poter vedere anche lei. L’intera Alice.

Alice gli andò incontro a braccia tese, con gli occhi socchiusi e la bocca umida. Il suo corpo oscillava, ed ella cantilenava: — Richard! Richard!

Poi si fermò, e i suoi occhi si spalancarono. Burton fece un passo verso di lei, a braccia tese. Alice gridò: — No! — e si tuffò di corsa nel buio tra gli alberi.

Per un secondo, Burton rimase immobile. Non sembrava possibile che Alice, che egli amava come non aveva mai amato altra donna, potesse non ricambiare il suo amore.

Senz’altro lo stava stuzzicando. Era proprio così. Burton le corse dietro, chiamandola più e più volte per nome.

Quando la pioggia cadde su di loro dovevano essere passate alcune ore. O che l’effetto della droga fosse cessato, o che l’acqua fredda avesse contribuito a farlo scomparire, parve che entrambi si risvegliassero insieme dalla sognante estasi. Quando un lampo li illuminò, Alice guardò Burton: emise un grido e respinse l’uomo con violenza.

Burton si trovò supino sull’erba, ma allungò una mano e afferrò per una caviglia Alice, che si stava allontanando da lui strisciando carponi.

— Che ti piglia? — gridò.

Alice smise di divincolarsi. Si mise a sedere nascondendo il volto tra le ginocchia, e il suo corpo fu scosso dai singhiozzi. Burton si alzò, le pose la mano sotto il mento, e la costrinse a guardare in su. Un lampo cadde di nuovo lì vicino, mostrando a Burton il volto devastato di Alice.

— Avevi promesso di proteggermi! — gridò la donna.

— Non ti sei comportata come se avessi voluto essere protetta — replicò Burton. — E io non ho promesso di proteggerti contro un naturale impulso umano.

— Impulso! — esclamò Alice. — Impulso! Mio Dio, non ho mai fatto una cosa del genere in vita mia! Sono sempre stata onesta! Ero vergine quando sposai, e rimasi fedele a mio marito per tutta la vita! E ora… un perfetto sconosciuto! Proprio così! Non so cosa m’abbia preso!

— Allora sono stato un fallimento — disse Burton, e scoppiò a ridere. Ma cominciava a provare rammarico e pena. Se si fosse trattato soltanto di intenzione e desiderio da parte di Alice, ora egli non avrebbe avuto il minimo rimorso di coscienza. Ma quella gomma doveva contenere qualche droga potente, che li aveva fatti agire come amanti la cui passione non conoscesse limiti. Certo Alice aveva collaborato con lo stesso entusiasmo di una donna esperta in un harem turco.

— Non devi affatto rimproverare te stessa, né provare il minimo pentimento — disse Burton con dolcezza. — Eri posseduta. La colpa è della droga.

— Io ho fatto questo! — esclamò Alice. — Io l’ho voluto! Che abbietta prostituta sono mai!

— Non mi risulta di averti offerto del denaro.

Burton non intendeva essere crudele. Voleva far arrabbiare Alice a un punto tale che dimenticasse il proprio senso di umiliazione. E ci riuscì. Alice balzò in piedi e gli si avventò con le unghie sul petto e sul volto. Lo chiamò con epiteti che una raffinata signora dell’epoca vittoriana, per di più di alto lignaggio, non avrebbe mai dovuto conoscere.

Burton l’afferrò per i polsi per risparmiarsi ulteriori graffi, e la trattenne mentre ella gli vomitava addosso altre espressioni triviali. Alla fine, quando Alice si zittì e ricominciò a piangere, la ricondusse all’accampamento. Il falò era divenuto un mucchio di cenere bagnata. Raschiò lo strato superiore e posò sulla brace una manciata d’erba, che l’albero aveva riparata dalla pioggia. Alla luce del nuovo fuoco vide che la bambina dormiva in mezzo a Kazz e Monat: i tre, pigiati uno contro l’altro, stavano sotto «l’albero del ferro», coperti da un fascio d’erba. Burton tornò da Alice, che si era seduta sotto un altro albero.

— Sta’ lontano da me — disse Alice. — Non voglio rivederti mai più! Mi hai disonorata, mi hai insozzata. E dopo aver dato la tua parola che mi avresti protetta!

— Puoi congelarti se lo desideri — replicò Burton. — Io volevo solo suggerire di stringerci insieme per trattenere il calore. Ma se desideri stare a disagio, fa’ come vuoi. Ti ripeto che quello che abbiamo fatto è stato provocato dalla droga. No, non provocato. Le droghe non causano desideri o azioni: soltanto tolgono loro i freni. Le nostre normali inibizioni sono scomparse, e nessuno di noi due può accusare se stesso o l’altro. Ad ogni modo sarei un bugiardo se dicessi che non mi sono divertito, e tu saresti una bugiarda se affermassi che non ti è piaciuto. Perciò, perché tagliarti con le lame della coscienza?

— Non sono una bestia come te! Io sono una donna virtuosa, cristiana e timorata di Dio!

— Senza dubbio — replicò Burton asciutto. — Comunque lasciami sottolineare un’altra cosa. Dubito che tu avresti fatto quello che hai fatto se non l’avessi desiderato in cuor tuo. La droga ha soppresso le tue inibizioni, ma non ti ha certo suggerito il da farsi. L’idea era già nella tua mente. Ogni tua azione compiuta dopo aver preso la droga proveniva da te e dalla tua volontà.

— Lo so! — gridò Alice. — Credi che io sia una stupida servotta? Io ho un cervello! So quello che ho fatto e perché! È solo che non mi sono mai sognata di poter essere una simile… una simile persona ! Ma dovevo esserlo! Devo esserlo!

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