«Lo farebbe chiunque,» disse Rand.
Vide Blaine che sogghignava e sogghignò a sua volta.
«Shep,» disse, «sii sincero con me. Eravamo buoni amici, una volta. E forse, a quanto ne so io, ancora adesso noi due siamo ottimi amici.»
«Che cosa vuoi sapere?»
«Tu hai portato quella macchina da qualche parte, poco fa.»
Blaine annuì.
«E puoi riportarla indietro?»
«No,» rispose Blaine. «Sono assolutamente sicuro che è impossibile. È stato… beh, è stato un pò come giocare uno scherzo a qualcuno.»
«A me, per caso?»
«Non a te. A Lambert Finn.»
«Finn non ti piace, non è vero?»
«Non lo conosco neppure.»
Rand riprese la bottiglia e tornò a riempire i bicchieri. Bevve metà del suo liquore, poi si alzò.
«Adesso devo andare,» disse, dando un’occhiata all’orologio. «Una delle feste di Charline. Non vorrei perderla per niente al mondo. Sei sicuro di non voler venire? Charline sarebbe felicissima di rivederti.»
«No, ti ringrazio. Preferisco restare qui. Porta i miei saluti a Freddy.»
«Freddy,» disse Rand, «non è più con noi.»
Blaine si alzò e accompagnò Rand fino al transo. Rand aprì lo sportello. L’interno della macchina sembrava quello di un comune montacarichi.
«Peccato,» disse Rand, «che non possiamo adoperarlo nello spazio. Si libererebbe una quantità di personale.»
«Immagino,» disse Blaine, «che ci stiate lavorando sopra.»
«Oh, certamente,» rispose Rand. «Si tratta soltanto di rifinire meglio i comandi.»
Tese la mano.
«Ti saluto, Shep. Ci vediamo.»
«Addio, Kirby,» disse Blaine. «Spero che non ci rivedremo mai più.»
Rand sogghignò, entrò nella macchina e richiuse lo sportello. Non vi furono lampi di luce… nulla che indicasse che la macchina fosse entrata in funzione.
Eppure ormai, Blaine lo sapeva, Kirby Rand era ritornato all’Amo.
Voltò le spalle al transo, e si avviò di nuovo verso la poltrona accanto al fuoco.
La porta che dava sul negozio si spalancò, ed entrò Grant. Teneva una vestaglia a strisce ripiegata sul braccio.
«L’ho trovata,» annunciò. «Avevo addirittura dimenticato di averla.»
Si tolse la vestaglia dal braccio e la spiegò.
«Non è una meraviglia?» chiese.
Era una meraviglia. Era una specie di pelliccia, e c’era qualcosa che faceva scintillare il pelo nella luce delle fiamme, come se qualcuno l’avesse cosparsa d’una miriade di minuscoli frammenti di diamante. Era di un colore giallo dorato, a strisce nere disposte diagonalmente, e sembrava più simile alla seta che ad una pelliccia.
«Era qui da diversi anni,» disse Grant. «C’era un tale che faceva il campeggio sul fiume… Venne qui e me la ordinò. L’Amo ebbe qualche difficoltà a trovarne una così su due piedi, ma alla fine la trovò e me la consegnò. Come lei sa, signore, ci riesce sempre.»
«Sì, lo so,» disse Blaine.
«E poi quell’uomo non si fece più vedere. Ma la pelliccia era così bella che non sono mai riuscito a decidermi a rimandarla indietro. L’ho tenuta nell’inventario, facendo finta che un giorno o l’altro avrei avuto la possibilità di venderla. Naturalmente, non ci riuscirò. Costa troppo, per una città miserabile come questa.»
«Che cos’è?»
«La pelliccia più calda, più leggera, più morbida dell’universo. L’adoperano soprattutto i campeggiatori. È infinitamente meglio di un sacco a pelo.»
«Ma non posso adoperarla,» protestò Blaine. «Mi basta una coperta normale…»
«Deve prenderla,» gli disse Grant. «Come un favore personale, signore. Non posso offrirle una sistemazione decente, e me ne vergogno moltissimo. Ma se sapessi che, almeno, lei dorme in un articolo di lusso…»
Blaine rise e tese la mano.
«Sta bene,» disse. «E grazie.»
Grant gli consegnò la vestaglia, e Blaine la soppesò nella mano, e quasi non riusciva a credere che potesse essere tanto leggera.
«Ho ancora un pò di lavoro da fare,» gli disse il gestore. «Se non le dispiace, andrei a finirlo. Lei può sistemarsi qui, dove preferisce.»
«Vada pure,» disse Blaine. «Io finirò di bere e poi mi metterò a dormire. Vuol bere un bicchierino con me?»
«Più tardi,» disse il gestore. «Bevo sempre un goccio, prima di andare a letto.»
«Le lascerò la bottiglia.»
«Buonanotte, signore,» disse il gestore. «Arrivederci a domani mattina.»
Blaine tornò alla poltrona e vi sedette, con la vestaglia ripiegata sulle ginocchia. L’accarezzò con la mano, ed era così soffice e calda che dava l’impressione di essere ancora viva.
Riprese il bicchiere, sorseggiò lentamente il liquore, e continuò a pensare a Rand.
Era probabilmente l’uomo più pericoloso della Terra, nonostante ciò che Stone aveva detto di Finn… Era l’uomo più pericoloso, personalmente: mellifluo e irriducibile, un uomo che svolgeva la politica dell’Amo come se si fosse trattato di ordini divini. Nessun nemico dell’Amo poteva salvarsi da Rand.
Eppure non aveva insistito perché Blaine tornasse indietro con lui. Aveva pronunciato il suo invito senza dargli troppa importanza, come se fosse stata una faccenda di poco conto, e non aveva dimostrato il minimo risentimento, e neppure la minima delusione quando Blaine aveva rifiutato. E non aveva neppure accennato ad usare la forza, sebbene, si disse Blaine, probabilmente questo era dovuto al fatto che non sapeva bene con cosa aveva a che fare. Mentre era sulla sua pista, a quanto pareva, aveva scoperto quanto bastava per mettersi in guardia, per comprendere che l’uomo da lui seguito possedeva facoltà segrete, completamente nuove per l’Amo. Per questa ragione si era mosso lentamente, cautamente, e si era comportato con una disinvoltura che tuttavia non poteva ingannare nessuno. Perché Rand, e Blaine lo sapeva benissimo, era un uomo che non si arrendeva mai.
Doveva avere un asso nella manica, sicuramente, pensò Blaine… un asso così ben nascosto che non ne spuntava neppure un angoletto.
Quindi c’era una trappola pronta, con l’esca innestata. Di questo non c’era dubbio.
Blaine rimase seduto quietamente sulla poltrona, a finire il liquore.
Forse era una grossa sciocchezza restare lì, alla Stazione di Scambio. Forse sarebbe stato molto meglio alzarsi e andarsene. E forse era proprio questo che Rand aspettava da lui. Forse la trappola era piazzata fuori dalla porta, non all’interno della Stazione di Scambio. Era molto probabile, anzi, che quella stanza fosse l’unico posto sicuro dove passare la notte.
Aveva bisogno di stare al coperto: ma non doveva dormire. Forse la cosa migliore da fare era rimanere lì, ma non certo addormentarsi. Poteva sdraiarsi sul pavimento, avvolto strettamente nella vestaglia, e fingere di dormire: ma intanto doveva tener d’occhio Grant. Perché, se in quella stanza c’era veramente una trappola, toccava a Grant farla scattare.
Tornò a deporre il bicchiere sulla tavola, accanto a quello in cui aveva bevuto Rand, e che era ancora semipieno. Spostò la bottiglia in modo da allinearla per bene con i bicchieri. Si cacciò la vestaglia sotto il braccio e si avvicinò al camino. Prese l’attizzatoio e spinse i ceppi ardenti l’uno vicino all’altro, per ravvivare la fiamma che stava per spegnersi.
Si sarebbe sdraiato lì, decise, proprio davanti al fuoco: in questo modo avrebbe avuto la luce delle fiamme alle spalle.
Spiegò con cura la vestaglia. Era soffice e cedevole, quasi come un materasso, nonostante l’assenza di spessore. Se la tirò addosso, e la vestaglia lo coprì tutto, dolcemente, come un sacco a pelo. Non aveva mai provato un simile senso di comodità, dai tempi in cui era un bambino, e se ne stava al calduccio sotto le coperte, nel suo letto, nelle notti più fredde dell’inverno.
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