Clifford Simak - Pescatore di stelle

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L’Uomo vuole raggiungere le Stelle, ma non con mezzi tecnici comuni o strabilianti astronavi, bensì mediante una forma superiore di telecinetica, capace di proiettare la mente e quindi il corpo negli spazi infiniti. Il lettore compirà con la fantasia un viaggio che contempla mete raggiungibili soltanto dopo centinaia o migliaia di anni-luce, addentrandosinei misteri della più straordinaria categoria di mutanti, superando i pericoli più insidiosi dell’incomprensione e dell’odio.

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Sbalordito, si mise freneticamente sulle tracce di quello che non andava e finalmente lo scoprì e l’afferrò, lo fiutò inorridito. Perché si trattava di questo, semplicemente: la sua mente non era più una mente interamente umana. E all’orlo di quel terrore c’era il mistero tremendo, la sua capacità di conservare una sufficiente misura di umanità da rendersi conto di quanto era avvenuto.

Tese la mano, brancolando alla cieca, e urtò contro uno spigolo della macchina delle stelle e vi si aggrappò, con tutte le energie di cui era capace.

E tutto derivava, a quanto poteva sospettare, dal semplice fatto che lui rimaneva umano, e soprattutto umano, in superficie: ma sotto quella superficie era la fusione di due individui, della conoscenza e forse dell’etica e delle motivazioni di due forme di vita diverse. Ed era del tutto logico, a pensarci bene, perché il Rosa non era cambiato, era rimasto tranquillo e soddisfatto: non c’era sicuramente la minima traccia di umanità in lui, anche se dentro di lui c’era una certa porzione di umanità, e Dio solo sapeva che altro poteva esserci.

Allentò le dita che stringevano la macchina delle stelle, passò la mano, lentamente, su quella struttura metallica, liscia come il cristallo.

C’era un modo… se lui fosse riuscito a farlo. Adesso possedeva la conoscenza, ma possedeva anche la tecnica?

Il tempo, gli aveva detto il Rosa, il tempo è la cosa più semplice che esista. E tuttavia, pensò Blaine, non era certamente facile da manipolare come aveva sostenuto quell’essere.

Rimase immobile a riflettere, e ciò che doveva fare diventò perfettamente chiaro.

Non valeva la pena di percorrere la strada del passato, perché quella macchina era già nel passato: aveva lasciato attraverso il passato una scia lunghissima e nebulosa.

Ma il futuro era tutta un’altra faccenda. Poteva venire trasportata nel futuro: e allora, quel preciso momento e tutti i momenti successivi sarebbero diventati il suo passato, e tutto ciò che ne sarebbe rimasto sarebbe stata una traccia spettrale… e una risata e una beffa e una magia che non avrebbe costituito certamente un argomento positivo per il sermone incendiario di un uomo che si chiamava Lambert Finn.

E soprattutto, pensò Blaine, con ogni probabilità lo avrebbe spaventato a morte.

Si tese con tutta la sua mente per circondare la macchina, e non vi riuscì. La sua mente si apriva e si protendeva, ma non era abbastanza ampia, e lui non era in grado di abbracciare la macchina completamente. Si riposò, per qualche istante, e poi tornò a tentare.

Nel deposito c’era una stranezza ed una alienità che lui non aveva notato, prima, e c’era una minaccia inespressa nel fruscio arido delle erbacce al di là della finestra spezzata, e l’aria era così pungente e carica d’un odore acuto che gli faceva rizzare i capelli sulla nuca. Era qualcosa di sconvolgente, perché all’improvviso gli sembrava di avere perduto completamente ogni contatto con il mondo in cui si trovava, e nulla, né il pavimento su cui si reggeva, né l’aria che respirava, e neppure il corpo che lo rivestiva gli era familiare e in quell’assenza di familiarità c’era un orrore incredibile, in quello spostamento, da ciò che era noto e che non riusciva più a ricordare, a questo ignoto nel quale non riusciva a trovare il minimo punto di riferimento. Ma sarebbe andato tutto bene, se fosse riuscito a spostare quello stranissimo manufatto che teneva stretto nella sua mente, perché era proprio quello lo scopo per cui era stato tratto dall’oscurità e dal tepore e dalla comoda sicurezza: e se avesse compiuto quel lavoro, avrebbe potuto ritornarvi, avrebbe potuto tornare ai ricordi di altri tempi, alla lenta assimilazione di nuovi dati, alla soddisfazione di contare i fatti nuovi, uno ad uno, come un avaro che conta il suo denaro, mentre li ammucchiava in lunghe pole ben ordinate.

Il manufatto, nonostante la sua stranezza, era piuttosto facile da maneggiare. Le sue radici non si estendevano a grande profondità, nel passato, e le coordinate corrispondevano in modo soddisfacente: ormai ce l’aveva quasi fatta. Ma non doveva affrettarsi, nonostante l’urlante necessità di affrettarsi: doveva riuscire in qualche modo ad avere pazienza. Attese che le coordinate ricadessero al posto giusto, misurò scrupolosamente, senza fretta, la tensione temporale, e poi applicò una leggera torsione alla cosa, una torsione precisa, e la sistemò esattamente dove voleva sistemarla.

Poi si precipitò di nuovo al suo posto, di nuovo nell’oscurità e nel tepore, e Blaine si ritrovò spoglio di tutto, tranne che della sua personalità umana, in un luogo che era un nulla nebbioso.

Non c’era nulla, là… nulla, tranne lui e la macchina delle stelle. Tese la mano e toccò la macchina delle stelle, ed era molto concreta, molto solida. E, a quanto poteva vedere lui, era anche l’unica cosa concreta che ci fosse, in quel posto.

Perché anche la nebbia, se pure era davvero nebbia, aveva una qualità irreale, come se cercasse di mascherare il fatto stesso che esistesse.

Blaine rimase in silenzio, impietrito, senza osare muoversi… temendo che un movimento qualsiasi lo precipitasse in un abisso di nera eternità.

Perché quello, si disse, era il futuro. Era un luogo privo di tutte le caratteristiche della matrice spazio-temporale che lui conosceva. Era un luogo in cui non era ancora accaduto nulla… un vuoto assoluto. Non vi erano né la luce né le tenebre: non vi era altro che quel vuoto. Non vi era altro che quel vuoto. Non vi era mai stato nulla, in quel luogo, e non c’era neppure nulla destinato ad occuparlo… fino al momento in cui lui e la sua macchina vi si erano inseriti, intrusi che erano usciti dal loro tempo.

Espirò, lentamente, e tornò a espirare… e non v’era nulla da espirare.

Le tenebre si precipitarono su di lui, e il battito del suo sangue nelle vene risuonava echeggiando dentro alla sua testa, e tese le mani, disperatamente, per afferrarsi a qualcosa, a qualunque cosa… in quel luogo in cui non vi era nulla cui afferrarsi.

b in quello stesso istante ritornò l’alienità, una alienità sbalordita e spaventata, e un guazzabuglio di strane figure simboliche, che persino nella sua atroce sofferenza mentale riuscì a identificare per bizzarri simboli matematici, fluì fulmineamente nel suo cervello. C’era di nuovo l’aria da respirare, e c’era un pavimento solido sotto i suoi piedi, e poteva fiutare l’odore di muffa che aleggiava dentro al deposito accanto all’autostrada.

Era ritornato indietro, ed era ritornata anche la presenza aliena, perché non l’avvertiva più dentro di sè. Era ritornata all’oscurità ed al tepore dentro alla sua mente.

Rimase ritto, senza muoversi, e provò a controllare: era tutto a posto, nel suo corpo. Aprì lentamente gli occhi, perché, in qualche modo, si erano chiusi, e attorno a lui c’era soltanto l’oscurità: finalmente si ricordò della torcia elettrica che stringeva ancora in mano. Eppure l’oscurità era meno intensa di prima: adesso, dalla finestra spezzata filtrava la luce della luna appena sorta.

Alzò la torcia elettrica e spinse il pulsante, e la luce si irradiò, e la macchina era lì, davanti a lui, ma strana, priva di sostanza… lo spettro della macchina, la traccia che aveva lasciato dietro di sè quando si era spostata nel futuro.

Alzò il braccio libero e si asciugò la fronte sudata con la manica della giacca. Adesso era finita. Aveva fatto quello che doveva fare. Aveva sferrato il colpo in nome di Stone: aveva trovato il modo di fermare Finn.

Non c’era più l’oggetto da mostrare al popolo: non c’era più il testo sul quale Finn poteva predicare. C’era, invece, una risata di scherno, la risata della stessa magia che Finn stava combattendo da anni.

Avvertì un movimento, dietro di sè, e si voltò di scatto, sì fulmineamente che la stretta delle sue dita sulla lampada tascabile si allentò, e la lampada tascabile cadde sul pavimento e rotolò via.

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