Clifford Simak - L'aia grande
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- Название:L'aia grande
- Автор:
- Издательство:Gamma
- Жанр:
- Год:1966
- Город:Milano
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Clifford D. Simak
L’aia grande
Hiram Taine, del tutto sveglio, si mise a sedere sul letto. Towser latrava, raspando sul pavimento.
— Piantala — disse Taine al cane.
Towser drizzò le orecchie verso di lui con aria interrogativa, quindi riprese a latrare e a raspare sul pavimento.
Taine si stropicciò gli occhi. Si passò una mano nel roveto dei capelli meditando di sdraiarsi di nuovo e tirarsi le coperte sul naso.
Ma con Towser ad abbaiargli accanto proprio no.
— Insomma, che ti piglia? — chiese a Towser, non poco irritato.
— Uoff - rispose Towser, proseguendo con diligenza il suo raspare.
— Se ti va di uscire — disse Taine — devi solo aprire la porta a rete, sai bene come si fa, lo fai sempre.
Towser interruppe il suo latrare e si lasciò andare seduto, guardando il padrone alzarsi dal letto.
Taine si cacciò addosso la camicia, infilò i pantaloni e ignorò del tutto le scarpe.
Towser trotterellò d’ambio fino a un angolo della stanza e abbassò il naso umido allo zoccolo, fiutando rumorosamente.
— Hai trovato un topo? — chiese Taine.
— Uoff - rispose Towser con energia.
— Non ricordo che tu abbia mai fatto tanto fracasso per un topo — riprese Taine, lievemente perplesso. — Devi aver perso la bussola.
Era una splendida mattinata d’estate; dalla finestra aperta il sole invadeva la stanza.
Bella giornata per pescare, si disse Taine, poi si ricordò che non c’era tempo per la pesca, sarebbe dovuto andare in giro per vedere quel vecchio letto a baldacchino di cui gli avevano parlato dalle parti di Woodman. Era più che probabile, pensò, che gli chiedessero il doppio di quanto valeva; così andava a finire che un uomo non poteva guadagnarsi un onesto dollaro, si disse. Si stavano facendo furbi un po’ tutti a proposito delle antichità.
Si rialzò in piedi e si diresse verso la stanza di soggiorno. — Andiamo — disse a Towser.
Towser gli trottò dietro, fermandosi di tanto in tanto per fiutare gli angoli e latrare verso il pavimento.
— Te la prendi calda — osservò Taine.
Forse era proprio un topo, pensò. La casa stava diventando vecchia. Aprì la porta a rete e Towser schizzò fuori.
— Lascia stare quella marmotta per oggi — lo ammonì Taine. — È una battaglia perduta, non potrai mai stanarla.
Towser girò l’angolo della casa.
Taine si accorse che qualcosa era accaduto all’insegna appesa al palo accanto al vialetto che portava alla strada: una delle catenelle si era sganciata e l’insegna penzolava.
Si incamminò sulle pietre erbose del vialetto, ancora umide di rugiada, per rimettere a posto l’insegna: non c’era niente che non andasse… soltanto la catenella sganciata. Poteva essere stato il vento, pensò, o qualche discolo di passaggio. Non proprio un discolo, forse; coi ragazzini andava d’accordo. Non gli davano mai fastidio, come facevano con qualcun altro giù in paese; il banchiere Stevens, per esempio, tormentavano sempre quel povero Stevens.
Retrocesse un poco per esser sicuro che l’insegna fosse diritta. Vi lesse, scritto in grossi caratteri:
E un po’ sotto, in caratteri più piccoli:
Più sotto ancora:
Forse, si disse, sarebbe stato meglio avere due insegne, una per il laboratorio di riparazioni e una per l’antiquariato e gli scambi. Un giorno, quando ne avesse avuto il tempo, pensò, ne avrebbe dipinte un paio di nuove: una per ogni lato del vialetto. Così sarebbe stato più elegante.
Si voltò e gettò un’occhiata lungo la strada che portava al Bosco Turner: era una gran bella vista, pensò. Un bosco di proporzioni considerevoli e proprio ai limiti dell’abitato: un bel posto per gli uccelli, i conigli, le marmotte e gli scoiattoli ed era pieno di fortilizi costruiti generazione dopo generazione dai ragazzi di Willow Bend.
Un giorno o l’altro, naturalmente, qualche furbo speculatore avrebbe finito per comprarlo e metter su una lottizzazione o qualcosa di altrettanto discutibile: e quando fosse accaduto una gran parte della sua infanzia sarebbe stata cancellata.
Towser arrivò da dietro l’angolo della casa, furtivo, puntando al minimo rumore, le orecchie ben dritte.
— Che cane balordo — commentò Taine e rientrò in casa.
Entrò nella cucina, acciaccando il pavimento coi piedi nudi, riempì la teiera, la mise sul fornello e accese la piastra sotto la teiera.
Accese la radio, dimenticando che era fuori uso. Se ne ricordò non avvertendo alcun suono e, disgustato, la richiuse con un colpo secco.
Finiva sempre così, pensò: aggiustava la roba degli altri, ma non trovava mai il tempo per riparare le sue cose.
Ritornò nella camera da letto e infilò le scarpe, poi rifece sommariamente il letto.
Tornato in cucina s’accorse che il fornello ancora una volta non aveva funzionato. La piastra sotto la teiera era ancora fredda.
Taine spostò il fornello e gli dette un calcio, poi sollevò la teiera e tenne la mano aperta vicino alla piastra; dopo un po’ riuscì a sentire che si riscaldava.
— Funziona ancora — si disse.
Sapeva bene che, prima o poi, non sarebbe più servito prendere a calci il fornello per farlo funzionare: quando fosse accaduto avrebbe proprio dovuto lavorarci su. Probabilmente non era niente di più che un contatto staccato.
Rimise la teiera sul fornello.
Si udì del fracasso fuori, sulla strada, e Taine uscì per vedere che cosa stesse accadendo.
Beasly, il garzone autista giardiniere et cetera di Horton, stava spingendo a marcia indietro sul vialetto uno sgangherato camioncino. Al suo fianco sedeva Abbie Horton, la moglie di H. Henry Horton, il cittadino più influente del paese. Sul camioncino, ormeggiato con delle corde e parzialmente protetto da una sgargiante trapunta rossa e porpora, si ergeva un mastodontico televisore. Taine lo trovò parecchio antiquato: era di un buon dieci anni fuori moda e, confrontato agli altri, era il più dispendioso televisore che avesse mai illeggiadrito qualunque casa a Willow Bend.
Abbie saltò giù dal camioncino; era una donna energica, faccendiera e autoritaria.
— Buondì, Hiram — disse. — Puoi rimettermi a posto quest’apparecchio?
— Mai visto niente che non potessi aggiustare — rispose Taine, tuttavia sogguardò l’apparecchio con qualcosa di assai simile a sgomento. Non era la prima volta che ci metteva le mani e capì subito quel che non andava.
— Potrebbe costarti più di quel che vale — l’avvertì. — Hai proprio bisogno di prenderne uno nuovo; questo televisore è troppo vecchio e…
— È proprio quel che ha detto Henry — rispose Abbie, aspra. — Henry vuole prenderne uno di quelli a colori, ma io non voglio separarmi da questo qui. Non è soltanto tv, lo sai. È una combinazione con la radio e il giradischi e il mobile è proprio in stile con gli altri, e poi…
— Sì, lo so — interruppe Taine: aveva già sentito tutto altre volte.
Povero vecchio Henry, pensò, che vita doveva condurre. Tutto il giorno a quella fabbrica di calcolatori, a sbraitare e a dare ordini a chiunque, per poi tornare a casa sottomesso a quella meschina tirannia.
— Beasly — ordinò Abbie col suo più bel tono da sergente istruttore — sali subito lì sopra e slega quel coso.
— Sìssi’ora — rispose Beasly, un lungagnone dinoccolato dall’aria non troppo acuta.
— E vedi di starci un po’ attento. Non voglio che me lo segni tutto.
— Sìssi’ora — rispose Beasly.
— Ti aiuto — si offrì Taine.
I due si arrampicarono sul camioncino e cominciarono a disancorare quella mostruosa antichità.
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