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Clifford Simak: L'aia grande

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Anche pupplicato come “Il grande cortile” ed “Il lungo cortile”.

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— È pesante — li avvertì Abbie. — Stateci un po’ attenti, voi due.

— Sìssi’ora — rispose Beasly.

Era pesante ed era anche una cosa piuttosto scomoda da maneggiare, ma Beasly e Taine lo portarono a spalle fin sul retro della casa, poi su per la veranda, attraverso l’ingresso posteriore e giù per le scale dello scantinato con Abbie sempre alle calcagna occhiuta e attenta alla minima scalfittura.

Lo scantinato era per Taine una combinazione di laboratorio ed esposizione per l’antiquariato. Da un lato si ammucchiavano sui banconi attrezzi e meccanismi, scatole piene di cianfrusaglie, e ammassi di cordame grezzo erano disseminati dappertutto. Il lato opposto ospitava una collezione di sedie sgangherate, di baldacchini da letto ripiegati, alti cassettoni ornati, vecchie secchie da carbone dipinte in oro, pesanti parafuoco d’acciaio, e un mucchio di altra roba che aveva raccolto a destra e a sinistra al minor prezzo che gli fosse possibile.

Appoggiarono il televisore sul pavimento con molta attenzione: Abbie li sorvegliava strettamente dalla scala.

— Ma, Hiram — esclamò la donna eccitata — hai messo il soffitto allo scantinato. Così sta assai meglio.

— Eh? — chiese Taine.

— Il soffitto. Ho detto che hai messo su un soffitto.

Taine guardò di scatto verso l’alto e vide che lei aveva detto la verità. C’era un soffitto, ma lui non ce l’aveva messo davvero.

Deglutì lievemente, abbassò la testa e poi la rialzò di colpo e dette un’altra occhiata. Il soffitto c’era ancora.

— Non è di quella roba prefabbricata — dichiarò Abbie con aperta ammirazione. — Non si vede neppure una giuntura. Come ci sei riuscito?

Taine deglutì ancora e ritrovò la voce. — Qualcosa che mi è venuto in mente — disse come debole spiegazione.

— Dovresti venir su a farlo al nostro scantinato. Il nostro scantinato è un vero disastro. Beasly ha fatto il soffitto alla stanza dei giochi, ma Beasly è talmente sbadato.

— Sìssi’ora — disse Beasly contrito.

— Appena avrò tempo — promise Taine, pronto a promettere qualsiasi cosa pur di farli uscire di lì.

— Di tempo ne avresti molto di più — gli rispose acida Abbie — se non andassi a bighellonare per tutta la campagna a comprare quella vecchia mobilia scassata che tu chiami antiquariato. Forse puoi imbrogliare quelli di città quando vengono qui a far le gite, ma non puoi imbrogliare me.

— Posso ricavare un bel po’ di soldi da qualcuno di quei pezzi — le spiegò calmo Taine.

— E rimetterci la camicia sugli altri — rispose lei.

— Ho trovato delle vecchie porcellane che sono proprio il genere di roba che stai cercando — disse Taine. — Pescate giusto un paio di giorni fa; le ho avute a buon prezzo e posso dartele per poco.

— Non mi interessa — gli rispose e si decise a chiudere la bocca. Poi si voltò e risalì le scale.

— Ha un diavolo per capello, oggi — Beasly avvertì Taine. — Sarà una brutta giornata; lo è sempre quando comincia la mattina presto.

— Non darle retta — consigliò Taine.

— Ci provo, ma non è mica possibile. Sei sicuro che non hai bisogno d’un uomo? Per te lavoro per poco.

— Mi dispiace, Beasly. Ti ho detto come… vieni presto una di queste sere e giocheremo un po’ a scacchi.

— Lo farò, Hiram. Tu sei l’unico che mi parli; tutti gli altri non fanno altro che ridermi dietro o sgridarmi.

Dalle scale arrivò il muggito di Abbie. — Beasly, arrivi o no? Non star lì tutto il giorno. Ho ancora i tappeti da battere.

— Sìssi’ora — disse Beasly e schizzò su per le scale.

Arrivati al camioncino, Abbie si voltò con aria decisa verso Taine. — Lo aggiusti subito quell’apparecchio, vero? Senza, sono perduta.

— Immediatamente — rispose Taine.

Stette a guardarli mentre si allontanavano, poi dette un’occhiata in giro cercando Towser, ma il cane era scomparso. Molto probabilmente era tornato alla tana della marmotta, nel bosco lungo la strada. Per di più, pensò Taine, senza neppure far colazione.

La teiera bolliva furiosamente quando Taine rimise piede in cucina. Mise del caffè nell’infusore e vi versò l’acqua; poi tornò disotto.

Il soffitto era ancora lì.

Accese tutte le luci e fece il giro dello scantinato, osservando attentamente.

Era un materiale d’un bianco abbagliante e sembrava trasparente… fino a un certo punto, però. Ci si poteva vedere dentro, ma non attraverso. E non c’erano segni di sutura; intorno ai tubi dell’acqua e agli attacchi per la luce sul soffitto era stato montato in una connessione assolutamente ermetica.

Taine montò su una sedia e provò a battervi contro le nocche: ne ebbe un suono tintinnante, pressappoco lo stesso suono che avrebbe ottenuto battendo l’unghia contro una coppa di fine cristallo.

Scese dalla sedia e stette lì in piedi, scuotendo la testa. Tutta la faccenda gli sfuggiva. Aveva passato parte della serata precedente a riparare la falciatrice del banchiere Stevens e allora di soffitti non ce n’erano.

Rovistò in una scatola e scovò un trapano, poi vi applicò una delle punte più piccole; inserì la spina e risalì sulla sedia per saggiare il soffitto con la punta del trapano. La punta rotante scivolò velocemente avanti e indietro ma senza produrre neppure una scalfittura. Fermò il trapano e studiò più da vicino il soffitto; non c’era sopra alcun segno. Tentò ancora, spingendovi contro il trapano con tutta la sua forza: la punta fece ping e il frammento spezzato schizzò per tutto lo scantinato, andando poi a colpire il muro.

Taine smontò dalla sedia; scovò un’altra punta e la inserì sul trapano poi salì lentamente la scala, tentando di pensare. Ma era troppo sconcertato per pensare. Quel soffitto non avrebbe dovuto esserci, però c’era. E a meno che non fosse rimbambito, pazzo oppure smemorato, era sicuro di non averlo messo.

Tornato nel soggiorno, ripiegò un angolo del logoro e sbiadito tappeto, attaccò il trapano e, inginocchiatosi, cominciò a trapanare il pavimento. La punta penetrò dolcemente nel vecchio intavolato di quercia, poi si arrestò. Spinse con più forza ma il trapano girò senza più mordere.

A quel che ne sapeva lì sotto non c’era nient’altro che legno! Niente che potesse fermare un trapano. Una volta forato il pavimento, avrebbe dovuto trovarsi nello spazio fra le travi.

Taine disinnestò il trapano e lo gettò da una parte. Andò in cucina: ora il caffè era pronto; ma prima di versarlo annaspò in un cassetto e ne estrasse una matita luminosa. Tornato nel soggiorno, fece così luce nel buco fatto dal trapano.

In fondo al buco c’era qualcosa di lucente.

Tornò in cucina e, trovata qualche frittella stantia, si versò una tazza di caffè. Rimase seduto al tavolo della cucina, mangiando le frittelle e chiedendosi che cosa fare.

Non sembrava che, almeno per il momento, potesse fare niente di speciale. Avrebbe potuto perderci la giornata e tentare di immaginarsi che cosa fosse accaduto al suo scantinato e probabilmente non ne avrebbe capito molto di più.

La sua anima di affarista yankee si ribellava a un simile spaventoso sciupio di tempo.

C’era, si disse, quel letto d’acero a baldacchino su cui avrebbe potuto mettere le mani, prima che qualche amorale antiquario cittadino potesse prendersene una cotta. Un pezzo come quello, calcolava, avrebbe potuto essere venduto a buon prezzo davvero, se uno aveva un po’ di fortuna. Se appena si fosse dato da fare nel modo giusto, avrebbe potuto tirarne fuori un utile niente male.

Forse, pensò, avrebbe potuto anche organizzare uno scambio. C’era quel modello portatile di televisore che aveva avuto l’inverno scorso in cambio di un paio di pattini per ghiaccio; quei tipi sulla strada per Woodman avrebbero potuto essere ragionevolmente lieti di scambiare quel letto per un televisore revisionato, quasi come nuovo. Dopo tutto, con ogni probabilità non usavano quel letto e, lo sperò vivamente, non avevano alcuna idea del suo valore.

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