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Clifford Simak: L'aia grande

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Anche pupplicato come “Il grande cortile” ed “Il lungo cortile”.

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Mangiò le frittelle di furia e ingollò una tazza supplementare di caffè. Mise insieme un piatto di avanzi per Towser e lo sistemò fuori della porta; poi scese nello scantinato a prendere il televisore portatile e lo mise sul camion. Per buona misura, aggiunse poi un fucile da caccia revisionato, perfettamente funzionante purché nessuno si fosse azzardato a usare quei potenti proiettili da lunga distanza, e alcune altre cianfrusaglie che avrebbero potuto tornar comode in uno scambio.

Tornò a casa tardi, poiché era stata una giornata piena e piuttosto soddisfacente. Non soltanto il letto troneggiava col suo baldacchino sopra il camion, ma aveva con sé una sedia a dondolo, un parafuoco, un pacco di vecchie riviste, un’antiquata zangola, un cassettone di noce e un Governatore Winthrop su cui qualche gioconda testa di cavolo di decoratore aveva dato una mano di vernice verde mela. Il televisore, il fucile e cinque dollari se n’erano andati nel cambio e c’era di meglio: se l’era cavata tanto bene nelle trattative che in quel momento la famiglia di Woodman stava probabilmente ridendo alle sue spalle convinta di averlo fatto fesso.

Provò un po’ di vergogna, adesso: erano stati tanto cordiali con lui… Gli avevano fatto un mucchio di gentilezze, lo avevano fatto restare a pranzo, erano stati seduti a parlare della fattoria, gliel’avevano mostrata e gli avevano persino detto di fermarsi ancora se fosse tornato da quelle parti.

Aveva buttato via l’intero giorno, pensò, e questo gli seccava ma forse era servito a consolidargli la fama del tizio che ha battuto la testa da piccolo e non conosce il valore di un dollaro. Un altro giorno forse, avrebbe potuto così far qualche affare migliore nel vicinato.

Udì la televisione quando aperse la porta sul retro, un suono forte e chiaro: fece di corsa le scale dello scantinato, balbettando, in uno stato d’animo simile al panico. Adesso che aveva dato via il televisore portatile, l’apparecchio di Abbie era l’unico lì sotto e l’apparecchio di Abbie era guasto.

Era l’apparecchio di Abbie, rimesso a nuovo. Era rimasto dove lui e Beasly lo avevano appoggiato quella mattina e non c’era niente di guasto… proprio niente di guasto. Stava persino trasmettendo a colori.

Trasmettendo a colori!

Si fermò ai piedi della scala e si appoggiò al parapetto per sorreggersi.

L’apparecchio continuava a trasmettere a colori.

Taine si avvicinò cautamente all’apparecchio e vi girò attorno.

La parte posteriore dell’apparecchio era smontata, appoggiata a una panca posta dietro il televisore: poté così vedere l’interno brillare vivamente.

Si accovacciò sul pavimento a rimirare con gli occhi socchiusi quell’intrico illuminato che appariva molto differente da quel che sarebbe dovuto essere. Aveva riparato quell’apparecchio più volte in passato e pensava di conoscere con notevole precisione che forma avrebbero dovuto avere quei congegni. Adesso invece sembravano tutti diversi, per quanto non sapesse dire fino a qual punto.

Un passo pesante risuonò sulle scale e una voce cordiale rimbombò fino a lui.

— Bene, Hiram, vedo che l’hai già riparato.

Taine scattò in piedi e rimase lì sudando freddo e incapace di dir parola.

Henry Horton si fermò fortunatamente sulle scale con un’aria molto compiaciuta.

— Ho detto a Abbie che non potevi averlo già fatto, ma lei mi ha detto di venire lo stesso… Ehi, Hiram, ma è a colori! Come diavolo hai fatto?

Taine fece un triste sorriso. — Così, ci ho messo un po’ le mani — rispose.

Henry scese gli ultimi gradini con passo solenne e si fermò dinnanzi all’apparecchio, con le mani dietro la schiena, rimanendo a fissarlo con la sua più scelta aria da dirigente.

Poi scosse lentamente la testa. — Non avrei mai pensato che questo fosse possibile — affermò.

— Abbie aveva detto che tu lo volevi a colori.

— Sì, certo. Naturalmente lo volevo. Ma non su questa vecchia baracca. Non mi sarei mai aspettato di prendere la tv a colori con quest’apparecchio. Come ci sei riuscito, Hiram?

Taine disse la verità, tutta la verità. — Non lo so proprio.

Henry vide un bariletto per chiodi abbandonato davanti a una panca e lo fece rotolare davanti all’antiquato televisore, poi vi si sedette cautamente, rilassandosi in un concreto benessere.

— Così va il mondo — affermò. — Ci sono uomini come te, mica poi tanti però; dei qualunque artigiani yankee. Raccogli in giro un po’ di cianfrusaglie, provi a mettere una cosa qua un’altra là e prima che te ne sia reso conto te ne vieni fuori con qualcosa.

Rimase a fissare il televisore, seduto sul barilotto.

— È bello davvero — dichiarò. — È meglio dei colori che ho visto a Minneapolis. Ho dato un’occhiata in un paio di posti, l’ultima volta che ci sono stato, e ho visto gli apparecchi a colori. E devo dirti onestamente, Hiram, che non ce n’era uno che fosse buono come questo.

Taine si terse la fronte con la manica della camicia. Per una ragione o l’altra, lo scantinato sembrava diventare più caldo: era del tutto sudato.

Henry tirò fuori un grosso sigaro da una delle sue tasche e lo porse a Taine. — No, grazie, non fumo.

— Forse sei un saggio — enunciò Henry. — È un brutto vizio.

Si cacciò il sigaro in bocca e lo fece rotolare da est a ovest.

— A ogni uomo il suo — proclamò espansivo. — Quando capita una cosa del genere, tu sei l’uomo adatto. Sembra che tu pensi attraverso aggeggi meccanici e circuiti elettronici; io non ci capisco proprio niente. Anche per quella faccenda dei calcolatori, ancora adesso non ci capisco niente; assumo degli uomini perché lo facciano. Non so segare una tavola né piantare un chiodo. Però so come organizzare. Ti ricordi, Hiram, come tutti mi ridevano dietro quando ho messo su la fabbrica?

— Be’, penso che qualcuno l’abbia fatto, allora.

— Puoi dirlo forte, che l’hanno fatto. Mi hanno girato attorno per settimane con la mano sulla bocca per nascondere quei loro sorrisetti presuntuosi. Ma che cavolo pensa di fare Henry, dicevano, impiantando una fabbrica di calcolatori, qui in provincia; non crederà mica di poter competere con quelle grosse società dell’est, no? E non hanno smesso col loro sogghigno finché non ne ho venduto un paio di dozzine e ho avuto ordini per un anno o due.

Pescò un accendino dalla tasca e accese il sigaro amorevolmente, senza mai togliere gli occhi dal televisore.

— Qui dentro — disse con aria saggia — hai qualcosa che potrebbe valere un pozzo di quattrini: qualche piccolo adattamento che si può fare su qualche apparecchio. Se hai messo il colore in questa vecchia baracca, puoi metterlo in qualunque apparecchio.

Ridacchiò in una nuvola di fumo. — Se alla R.C.A. sapessero quello che hai combinato qui adesso, andrebbero tutti a tagliarsi la gola.

— Ma io non so proprio che cosa ho fatto — protestò Taine.

— Be’, fa lo stesso — disse Henry tutto allegro. — Domani mi porto questo televisore giù in fabbrica e ci lascio divertire su qualcuno di quei ragazzi. Troveranno quello che hai combinato prima di aver finito.

Si tolse il sigaro di bocca, lo studiò intento e poi se lo ricacciò in bocca.

— Come ti stavo dicendo, Hiram, è questa la differenza tra noi. Tu sai fare le cose ma non ne capisci le possibilità: io non so far niente, però quando una cosa è fatta sono capace di organizzarla. Prima che abbiamo finito con questa roba nuoterai in un mare di biglietti da venti dollari.

— Ma io non ho…

— Non ti preoccupare. Lascia fare tutto a me. La fabbrica e tutto il denaro necessario ce l’ho io. Poi faremo a mezzo.

— Gentile da parte tua — disse Taine meccanicamente.

— Di niente — insistette Henry magnanimo. — È soltanto il mio aggressivo e avido senso del profitto. Dovrei vergognarmi di intromettermi così nell’affare.

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