Clifford Simak - Pescatore di stelle

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Pescatore di stelle: краткое содержание, описание и аннотация

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L’Uomo vuole raggiungere le Stelle, ma non con mezzi tecnici comuni o strabilianti astronavi, bensì mediante una forma superiore di telecinetica, capace di proiettare la mente e quindi il corpo negli spazi infiniti. Il lettore compirà con la fantasia un viaggio che contempla mete raggiungibili soltanto dopo centinaia o migliaia di anni-luce, addentrandosinei misteri della più straordinaria categoria di mutanti, superando i pericoli più insidiosi dell’incomprensione e dell’odio.

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Blaine fermò la macchina piuttosto lontano dalla strada, in un boschetto di salici: la lasciò abbassare, poi spense i fari.

Il silenzio si chiuse intorno a loro, e l’oscurità pulsava di quel silenzio.

«Harriet», disse Blaine.

«Si, Shep?»

«Tu resta qui. Non ti muovere. Io vado».

«Ci metterai molto? Non potrai far niente, temo».

«Non ci metterò molto», disse lui. «Hai una lampada tascabile?»

«Ce n’è una nel cassetto del cruscotto».

La sentì frugare, nell’oscurità. La serratura dello sportello del cassetto scattò, e la minuscola lampadina che stava nell’interno si accese. La torcia elettrica stava in mezzo a un mucchio di carte topografiche, di occhiali da sole e di altri oggetti.

Harriet gliela porse. Lui premette il pulsante, per provarla. Funzionava. Tornò a spegnerla, e scese dalla macchina.

«Stai tranquilla», le disse.

«E tu», disse Harriet, «stai attento».

XXIII

Il deposito era più grande di quanto gli era sembrato quando l’aveva studiato dall’autostrada. Era circondato da una fitta coltre di erba alta, morta e secca, che frusciava con un suono furtivo al minimo movimento dell’aria. Era stato costruito con i grandi pezzi di lamiera ondulata che venivano usati per quel genere di edifici prima che, una quarantina d’anni fa, venisse introdotta la stuccoplastica di Aldebaran VII. La superficie regolare del metallo era interrotta da poche finestre, cariche di sporcizia e di vecchie ragnatele. Due grandi porte che si alzavano a bilanciere occupavano quasi completamente l’ampiezza della facciata.

Ad est si stendeva la sagoma buia della città, profilata contro un debole arrossamento del cielo che annunciava l’imminenza del sorgere della luna.

Cautamente, Blaine girò attorno alla costruzione, cercando di scoprire da che parte poteva penetrarvi. Non trovò niente. Le due grandi porte erano chiuse a chiave. Verso il basso, un paio di lastre metalliche si erano allentate, ma erano troppo pesanti perché fosse possibile storcerle e rialzarle, in modo da creare un passaggio.

C’era un unico modo, per entrare.

Si diresse verso l’angolo della costruzione più vicino all’autostrada e si fermò, in ascolto. A parte il fruscio aspro dell’erbaccia, non si sentiva nulla. L’autostrada era completamente deserta, e molto probabilmente sarebbe rimasta deserta. Non si scorgevano luci di alcun genere: né lampade, né raggi che filtrassero da qualche finestra lontana. Era come se lui e il deposito si trovassero in un mondo completamente privo di vita.

Fissò lo sguardo, per un po’ di tempo, sul boschetto di salici sul ciglio della strada: ma non vi erano scintillii o bagliori che indicassero la presenza di una macchina nascosta.

Si incamminò, rapidamente, e costeggiò la parete di metallo, fino a quando arrivò ad una finestra. Si tolse la giacca sbrindellata, se l’avvolse attorno al pugno e all’avambraccio.

Poi sferrò un colpo, ed i vetri della finestra si spezzarono. Sferrò altri colpi, per rimuovere i pezzi di vetro che erano rimasti infissi all’intelaiatura. Poi tolse ad una ad una le ultime scheggie che avrebbero potuto ferirlo.

Ritornò all’angolo e si fermò di nuovo ad ascoltare, per qualche istante. La notte era ancora immobile e silenziosa.

Raggiunse di nuovo la finestra, ed entrò nel deposito. Si calò con prudenza, e sentì il pavimento sotto i piedi. Si tolse dalla tasca la torcia elettrica, l’accese. Fece scorrere il cono di luce nella caverna vuota che era l’interno del deposito.

E lì, accanto alla porta, c’era il camion fracassato che aveva trovato finalmente riposo, e la lucente macchina delle stelle che aveva trasportato.

Cercando di non fare rumore, Blaine attraversò il deposito e si fermò accanto alla macchina, illuminandola con il raggio di luce. Era qualcosa che lui conosceva bene, era qualcosa che aveva conosciuto intimamente, all’Amo. Aveva una strana bellezza, si disse mentre la guardava, come se fosse possibile scorgere, riflesse nella sua superficie, le distese lontanissime dell’universo che l’uomo poteva raggiungere con il suo aiuto.

Ma era vecchia… un modello molto vecchio, che l’Amo aveva sostituito circa una decina di anni prima, e non c’era il minimo dubbio; in un modo o nell’altro, proveniva dall’Amo. Dovevano esserci parecchi vecchi modelli come quello, accatastati da qualche parte, in qualche magazzino semidimenticato: immagazzinati, probabilmente, perché era più facile immagazzinarli che distruggerli. Perché cose di quel genere bisognava o metterle sottochiave, al sicuro, o distruggerle: non era possibile buttarle via e basta. Quella macchina era la chiave del monopolio dell’Amo, ed era inammissibile che cadesse in mani altrui.

Eppure, una di quelle macchine era caduta in mano altrui, e adesso era lì, muta testimonianza d’uno degli intrighi più abili e più complicati di cui l’Amo era stato parte involontaria.

Blaine cercò di immaginare in quale modo Stone c’era riuscito: e, mentre ci pensava, sentì di ammirare ancora di più quell’uomo. C’èra voluto parecchio denaro, indubbiamente, e c’erano voluti agenti fidatissimi. e un piano d’operazioni che non ammetteva sviste né errori.

Si chiese vagamente fino a che punto c’entrava Harriet, in quella storia. Senza dubbio, si disse, non aveva mostrato timori o esitazioni, quando lo aveva aiutato a sfuggire alle grinfie dell’Amo. Era proprio la donna più adatta a congegnare uno scherzo del genere: calma, sicura di sè, con una notevole conoscenza di tutti i meccanismi dell’Amo. E aveva un cervello che funzionava con la spendida precisione di un cronometro svizzero.

Stone aveva riposto grandi speranze in quella macchina, e adesso quelle speranze erano svanite. Adesso Stone era morto, e la macchina delle stelle se ne stava lì, in quel deposito abbandonato, e sarebbe servita come prova ad un uomo così pieno di odio da essere capace di distruggere completamente la cinetica paranormale: radici, rami e foglie.

E Finn poteva servirsi di quella macchina; anche se veniva chiamata "macchina", in realtà era molto diversa dalle macchine cui la mente umana si era andata abituando ormai da secoli. Non aveva parti mobili, e non aveva una funzione distinguibile. Era stata creata per funzionare solo sulla mente e sui sensi umani. Funzionava per mezzo del simbolismo, non per mezzo dell’energia… eppure funzionava. Come per secoli aveva funzionato un rosario fra le mani di un devoto, prima che incominciasse a formarsi il concetto dell’esistenza di umani paranormali.

Se le speranze erano svanite, pensò Blaine, allora quella macchina non doveva assolutamente restare lì. Forse non doveva altro, a Stone: ma quello glielo doveva. Doveva ripagarlo in qualche modo, si disse, per la telefonata di avvertimento di quella notte ormai tanto lontana.

E c’era un modo per farlo… c’era un modo, e lui lo sapeva: purché fosse riuscito ad estrado dal mare schiumante di conoscenza aliena che si gonfiava dentro di lui.

Lo cercò e lo trovò, e nel trovarlo sfiorò un’altra conoscenza, e tutto quanto era bene etichettato e disposto in bell’ordine, come se un commesso solerte avesse lavorato per fare l’inventario della sua mente sovraffollata.

Si fermò, fragile e tremante di fronte alla scoperta di quegli scaffali e di quell’ordine, perché non aveva neppure immaginato che quella strana sistemazione venisse compiuta dentro di lui. Ma quello era tipico di un essere umano, si disse: era una dimostrazione dell’istintiva rivolta umana contro il disordine casuale dell’ammasso di dati che erano stati scaricati nella sua mente dall’essere rosa, su quel pianeta lontano.

L’essere era ancora con lui, o almeno l’essenza di quell’essere: e la cercò con accanimento, fra le scaffalature della sua mente. Ma non c’era. Non c’era la minima traccia della sua presenza in quanto tale, però c’era qualcosa d’altro: c’era qualcosa che non andava affatto.

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