Clifford Simak - Pescatore di stelle

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L’Uomo vuole raggiungere le Stelle, ma non con mezzi tecnici comuni o strabilianti astronavi, bensì mediante una forma superiore di telecinetica, capace di proiettare la mente e quindi il corpo negli spazi infiniti. Il lettore compirà con la fantasia un viaggio che contempla mete raggiungibili soltanto dopo centinaia o migliaia di anni-luce, addentrandosinei misteri della più straordinaria categoria di mutanti, superando i pericoli più insidiosi dell’incomprensione e dell’odio.

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Se ne rimase lì disteso, a guardare nell’oscurità del magazzino, al di là della parte che era stata adibita ad alloggio. Riusciva a distinguere le sagome vaghe dei barili, delle casse, delle balle, degli scatoloni. E mentre se ne stava lì, immerso nel silenzio rotto soltanto, talvolta, dal crepitare e dallo scoppiettare del fuoco che ardeva nel camino alle sue spalle, poco a poco percepì il debole odore che aleggiava in quella stanza… l’odore indescrivibile di cose estranee alla Terra. Non era un odore spiacevole, e neppure esotico, e tanto meno sensazionale, ma un odore quale non esisteva, sulla Terra, l’odore composito di spezie e di tessuti, di legno e di viveri, e di tutte le moltissime altre cose che erano state raccolte fra le stelle. Eppure in quel magazzino c’era soltanto un campionario molto ridotto, lo sapeva: soltanto quello che poteva essere considerato necessario per una delle Stazioni di Scambio meno importanti. Ma una Stazione di Scambio che aveva a disposizione tutte le risorse dei giganteschi magazzini dell’Amo, grazie al transo che stava in quell’angolo, e che poteva fornire qualsiasi cosa venisse richiesta.

E questa era soltanto una parte piccolissima dell’immenso traffico con le stelle… era soltanto la parte su cui si potevano mettere le mani, quella minima parte che uno poteva acquistare e possedere.

Perché c’era anche quella parte assai più grande, invisibile, quasi totalmente ignorata dall’attività dell’Amo: procurare e raccogliere e accumulare idee e cognizioni carpite nelle profondità degli spazi.

Nelle università dell’Amo, studiosi provenienti da tutte le parti del mondo frugavano in quelle idee, in quelle conoscenze, e cercavano di stabilire correlazioni e di studiarle, e in qualche caso cercavano di applicarle praticamente, e negli anni futuri sarebbero state proprio quelle conoscenze e quelle idee che avrebbero foggiato il corso e il destino dell’umanità intera.

Ma non si trattava soltanto di questo. C’era, innanzi tutto, la conoscenza e le idee rivelate e poi, in secondo luogo, gli schedari di nozioni e di fatti che venivano tenuti sottochiave o, nella migliore delle ipotesi, riveduti e corretti e censurati da commissioni segrete.

Perché l’Amo, naturalmente, non poteva, per il bene dell’umanità ed anche per il proprio interesse, rivelare al mondo tutto quello che trovava.

C’erano certi punti di vista, filosofie, idee, comunque si potesse chiamarli, assolutamente nuovi che, sebbene fossero validissimi nel contesto delle loro particolari strutture sociali, non erano umani da nessun punto di vista, e non potevano venire adattati neppure con il massimo sforzo d’immaginazione, alla razza umana ed ai valori umani. E ve n’erano altri che, sebbene fossero in pratica applicabili, dovevano venire studiati con la più grande attenzione, per cercare di scoprire i possibili effetti secondari sul pensiero umano e sulla mentalità umana, prima che fosse possibile introdurli, magari obliquamente e per vie traverse, nella struttura culturale dell’umanità. E ve ne erano altri, infine, perfettamente applicabili, che non potevano venire divulgati se non, forse, dopo un centinaio di anni… idee così avanzate, così totalmente rivoluzionarie, che bisognava aspettare che l’umanità maturasse per essere in grado di riceverle…

E proprio in questo doveva esserci qualcosa di ciò che Stone aveva pensato, quando aveva incominciato ad intraprendere la sua crociata per infrangere il monopolio dell’Amo, per condurre gli individui paranormali di tutto il mondo, esclusi dall’Amo, a scoprire almeno in una certa misura l’eredità che era loro di diritto, in virtù delle loro stesse facoltà.

Su questo punto, Blaine poteva dichiararsi d’accordo con Stone, perché non era assolutamente giusto, si disse, che tutti i risultati ottenuti dalla cinetica paranormale venissero incanalati per sempre attraverso il rigido sistema di controlli di un monopolio che, in un secolo di esistenza, aveva perso gran parte della sua fede sincera e della forza delle sue finalità umane per diventare una gigantesca centrale commerciale, quale nessuno, in nessuna epoca, aveva mai avuto occasione di vedere.

Secondo tutte le leggi dell’onestà, la cinetica paranormale apparteneva all’Uomo, e non ad un gruppo esclusivo di uomini, non ad una corporazione, e neppure ai suoi scopritori o agli eredi dei suoi scopritori… perché la sua scoperta, o la sua realizzazione, in qualunque modo si preferisse chiamarla, non poteva essere in nessun caso l’opera di un solo uomo o di un solo gruppo di uomini. Era qualcosa che doveva diventare di dominio pubblico. Era un fenomeno naturale… una risorsa naturale come lo erano il vento e i boschi e l’acqua.

Alle spalle di Blaine i ceppi, ormai completamente arsi, crollarono in un tonfo fiammeggiante. Lui si voltò per guardarlo…

O cercò di voltarsi.

Ma non riuscì.

C’era qualcosa che non andava.

In un modo o nell’altro, la vestaglia lo aveva avviluppato troppo strettamente.

Fece per scostare le mani dai fianchi, per allentarla, ma non riuscì a scostare le mani, e la vestaglia non si allentò.

Anzi, si strinse. Poté sentire che gli si stava stringendo addosso.

Terrorizzato, cercò di sollevarsi, spingendo verso l’alto il proprio corpo, tentando di mettersi a sedere.

E non ci riuscì.

La vestaglia lo teneva avvinto in una stretta delicata ma infrangibile.

Era immobilizzato efficacemente, come se fosse stato legato con una corda. La vestaglia, senza che lui se ne fosse reso conto, era diventata una camicia di forza che lo teneva bloccato: senza fargli male, ma lo teneva bloccato.

Rimase immobile, disteso sul dorso, e un brivido gelido gli corse lungo la spina dorsale, il sudore gli corse dalla fronte e gli ricadde negli occhi.

C’era stata una trappola.

Lui aveva temuto una trappola.

Era stato in guardia.

Eppure, senza sospettare di niente, di sua spontanea volontà, la trappola se l’era sistemata addosso.

XXV

Rand aveva detto «Ci vediamo», quando gli aveva stretto la mano ed era entrato nel transo. L’aveva detto in tono allegro e molto sicuro. E aveva avuto proprio tutti i motivi, pensò tristemente Blaine, perché aveva già provveduto a ogni cosa. Sapeva esattamente quello che stava per succedere, perché aveva preparato un piano perfetto… l’unico sistema per catturare un uomo di cui si aveva un po’ paura, perché non si sapeva esattamente che cosa ci si potesse aspettare, da lui.

Blaine giaceva sul pavimento, lungo, disteso, tenuto disteso e immobile dalla vestaglia che lo avvolgeva… Però, naturalmente, non era una vestaglia. Era, c’era da giurarlo, una di quelle bizzarre scoperte che l’Amo, per propria comodità, preferiva tenere accuratamente nascoste: perché prevedeva, senza dubbio, di utilizzarle in casi molto speciali.

Blaine frugò la propria memoria e non vi trovò nulla… nulla che alludesse neppure lontanamente ad una cosa di quel genere, forse una specie di parassita, capace di starsene immobile, tranquilla e silenziosa per un tempo indeterminabile, magari, ma che ritornava viva e pericolosissima se veniva posta in contatto con qualche cosa di caldo e di vivo.

Adesso l’aveva catturato, e forse fra un po’ avrebbe cominciato a nutrirsi di lui. o a mettere in pratica ciò che intendeva fare di lui. Era inutile dibattersi e lottare, lo sapeva, perché da ogni movimento del suo corpo, quella cosa lo avrebbe avvinto più strettamente.

Frugò di nuovo nella propria mente, cercando qualcosa che si riferisse alla mostruosità che lo avvolgeva. E all’improvviso trovò un luogo (poteva vederlo, quel luogo), un pianeta cupo e sconvolto, con foreste aggrovigliate e abitanti bizzarri che svolazzavano e strisciavano e si trascinavano. Era un luogo di orrore, quello che lui scorgeva soltanto vagamente attraverso le nebbie del ricordo: era assolutamente certo che quel ricordo non era suo.

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