Molti dei primi cristiani raggiunsero spesso questo stato; di più lo raggiunsero solo di rado: eppure continuarono a cercarlo. Ma, quando l'avevano sperimentato, erano profondamente cambiati, interiormente illuminati dalla grazia: era questa esperienza intensa e i suoi effetti permanenti che rendeva loro possibile sopportare i maltrattamenti e le torture più orribili, morire lietamente, e non temere nulla.
Poche descrizioni spassionate dei loro servizi religiosi, riunioni nel senso migliore della parola, sopravvivono oggi, ma i resoconti migliori affermano che la gente lasciava i campi, le botteghe, persino i palazzi, per ritrovarsi insieme in un luogo nascosto… una catacomba, una radura montana, un posto dove nessuno poteva interromperli. È significativo che si ritrovassero insieme ricchi e poveri, maschi e femmine. Dopo aver mangiato insieme, genuinamente, in una festa d'amore, e dopo aver invocato lo Spirito, probabilmente cantando e danzando, l'uno o l'altro poteva essere afferrato da ciò che chiamava lo Spirito.
Forse l'uomo o la donna in questione (e poteva essere sia l'uno che l'altra) invocava e lodava Iddio, e forse la vera espressione caritica (cioè, per dono divino) si realizzava in ciò che veniva chiamato “parlare le lingue”; ma queste esibizioni, assolutamente genuine, non erano né eccessive né frenetiche; spesso questo capitava a turno. E, con un bacio di pace, si separavano e ritornavano al loro posto nel mondo fino alla successiva riunione.
I cristiani primitivi non inventarono la religione caritica; e questa non si spense con loro. La si ritrova spesso nella storia, e assume molte forme. Frequentemente sono forme orgiastiche, dionisiache, come l'adorazione della grande Madre degli Dei, Cibele, che esercitò una influenza immensa a Roma, in Grecia e nell'Oriente, mille anni prima di Cristo. O sono movimenti basati sulla castità, come i Catari del medioevo, gli Adamiti, i Fratelli del Libero Spirito, i Valdesi (che cercarono di portare una forma della cristianità apostolica nella struttura della Chiesa di Roma) e molti, molti altri appaiono nel corso della storia. Hanno in comune un elemento: l'esperienza soggettiva, partecipante, estatica: e hanno in comune, quasi invariabilmente, l'egualianza delle donne, e sono tutte religioni di amore.
Senza eccezioni furono ferocemente perseguitate.
Sembra che vi sia un elemento dominante, nell'organizzazione umana, che considera l'amore come un anatema, e non ne tollera la sopravvivenza.
Perché?
Un esame obiettivo dei movimenti basici (e Charlie! io so che non puoi essere obiettivo! Ma accetta questo!) rivela la semplice e terribile ragione.
Vi sono due canali diretti alla mente inconscia. Uno è il sesso, l'altro è la religione; e nei tempi precristiani, era abituale esprimerli insieme. Il sistema giudeo-cristiano vi pose fine, per una comprensibile ragione. La religione caritica non interpone nulla tra l'adoratore e la Divinità. Un supplicante, soffuso di adorazione, che parla per divina ispirazione, pervaso in tutto il corpo dall'estasi, non sta a cavillare sulle dottrine e non invoca intercessioni attraverso autorità temporali o letterarie. In quanto alla sua condotta, è semplice. Cercherà di fare ciò che gli renderà possibile ripetere l'esperienza. Se fa ciò che è giusto, l'esperienza si ripeterà; se non riesce a ripeterla, questo, da solo, è la sua totale e completa punizione.
È innocente.
L'unico modo concepibile per usare il potere immenso della religione innata — la necessità di adorare — per l'acquisizione di poteri umani, consiste nel porre tra l'adoratore e la Divinità un meccanismo di colpa. L'unico modo per realizzare tutto questo è organizzare e sistematizzare l'adorazione, e il modo per riuscirvi è sorvegliare attentamente l'altro grande impulso della vita… il sesso.
L' homo sapiens è l'unica specie, esistente o estinta, che abbia escogitato modi per esprimere il sesso.
Vi sono soltanto tre modi per affrontare i problemi del sesso. Lo si può soddisfare; lo si può reprimere; lo si può sublimare. Quest'ultimo fenomeno, nella storia, è spesso un ideale e frequentemente un successo, ma è sempre un'instabilità. La semplice, quotidiana soddisfazione, quale avveniva nel periodo aureo della Grecia, quando furono istituite tre classi di donne: le mogli, le etere e le prostitute, e quando, nello stesso tempo, venne idealizzata l'omosessualità, può essere barbara e immorale secondo molti criteri, ma produce una sorprendente sanità mentale.
D'altra parte, una attenta osservazione del medioevo fa vacillare la mente; è come aprire una finestra su un immenso manicomio, grande quanto il mondo e lungo mille anni: è un prodotto della repressione. Ci sono le manie dei flagellanti, quando migliaia di persone si frustavano, andando da una città all'altra, cercando penitenza per eccesso di senso di colpa; ecco il mistico Suso, nel quattordicesimo secolo, che si era fatto fare una cintura di castità irta di centocinquanta chiodi affilati: e per non tentare di alleviare quel tormento durante il sonno, si era fatto fare una briglia di cuoio per tenersi saldi i polsi contro il collo, e poi, per non cercare sollievo dai pidocchi e dalle pulci che l'infestavano, portava guanti chiodati che gli avrebbero lacerato la carne se si fosse toccato; e poiché si toccava, quando le ferite erano rimarginate, se le riapriva. Dormiva su una vecchia porta di legno e in quarant'anni non fece mai il bagno. Ci sono i santi che baciavano le piaghe dei lebbrosi e c'è l'Inquisizione.
Tutto questo in nome dell'amore.
Come è stato possibile un simile cambiamento?
Ce lo mostra con chiarezza l'esame di una sequenza. Prendi la soppressione dell'Agape, della “festa dell'amore” che sembra sia stata una universale e necessaria caratteristica della cristianità primitiva. Lo si può accertare attraverso la documentazione degli editti contro questa e quella pratica, ed è significativo che l'abolizione di un rito così importante di adorazione abbia richiesto circa trecento o quattrocento anni, e sia stata realizzata gradualmente, con sbalorditiva abilità ed efficienza.
Il Rinascimento curò molte forme di insania, ma non l'insania in se stessa. Quando le autorità temporali ed ecclesiastiche mantenevano ancora il controllo su fondamentali problemi sessuali, sulla morale e sul matrimonio, per esempio (sebbene la Chiesa sia entrata in causa piuttosto tardi, per quanto riguarda il matrimonio; in Inghilterra ai tempi di Shakespeare, i matrimoni erano validi per contratto privato e per il benedicente “licet” della Chiesa) la colpa era ancora il filtro tra l'uomo e il suo Dio. L'amore era ancora considerato eguale alla passione e la passione al peccato, fino al punto che era considerato peccatore un uomo che amasse la propria moglie con passione.
Il piacere, orlo esterno dell'enfasi, fu considerato nei giorni del protestantesimo peccaminoso in se stesso, in qualsiasi modo fosse raggiunto; Roma sosteneva che tutti i piaceri sessuali erano peccaminosi. E anche se questo vulcano otturato ha prodotto ponti e case, fabbriche e bombe, ha causato in aggiunta uno spaventoso fenomeno di nevrosi. E anche quando una nazione rifiutava ufficialmente una chiesa, rimanevano le stesse tecniche repressive, le stesse preoccupazioni dottrinarie, filtrate attraverso lo stesso complesso di colpa.
Così sesso e religione, che sono il vero significato dell'esistenza umana, cessarono di essere dei fini e divennero dei mezzi; l'ostilità invalicabile tra i combattenti era la prova dell'identità del loro scopo… la dominazione totale, per la suprema soddisfazione del desiderio di superiorità di tutte le menti umane.
Herb Railes va a dare la buonanotte ai bambini. Si inginocchia sul pavimento, vicino al letto di Karen. Davy osserva. Herb stringe Karen tra le braccia, le solletica il pancino fino a che lei squittisce, le bacia il collo e le morde il lobo dell'orecchio. Davy osserva, ad occhi spalancati. Herb copre la testa di Karen con la coperta, si acquatta prontamente perché lei non possa vederlo quando lui abbassa la coperta. Lei cerca, lo trova, ride pazzamente. Lui la bacia ancora, le rimbocca la coperta. Sussurra: «Papà, ti amo tanto» dice buonanotte e si rivolge a Davy, che osserva con aria solenne.
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