Sheri Tepper - Pianeta di caccia

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Pianeta di caccia: краткое содержание, описание и аннотация

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Marjorie Westriding Yrarier è stata inviata sul pianeta Grass per rispondere a un misterioso interrogativo: un contagio si sta spargendo fra le stelle, un’epidemia mortale che minaccia di distruggere la razza umana. Nessun pianeta ne è rimasto immune, tranne Grass. Perché?
Poco si conosce di Grass, se non che si tratta di un luogo idilliaco, dove la natura è assolutamente intatta e l’ambiente conserva un perfetto equilibrio. Interamente coperto dalle più strane varietà di vegetazione che si possano immaginare, il pianeta è un’autentica anomalia cosmica. Un gruppo di famiglie giunte secoli prima per colonizzarlo hanno edificato rapidamente una nuova società, ignorando la presenza aliena e creando un’aristocrazia che ruota attorno all’evento della Caccia. Con il passare delle generazioni, la vita su Grass e i vari usi e costumi sono sempre più sprofondati nel mistero e la Caccia, evento già ben noto sulla Terra, si è ora trasformato in uno strano rito, tremendo e inquietante. Già, perché qual è la vera natura e la vera funzione delle creature che partecipano alla Caccia, che cosa si nasconde dietro questo ciclico rituale e soprattutto... qual è la preda? Come ben presto intuisce Lady Westriding, su questo strano pianeta lontano milioni di chilometri vi sono più misteri di quanti se ne possano immaginare.
Un romanzo originalissimo, magistrale nel ritratto di un’ecologia aliena e nello studio dei
Nominato per i premi Hugo e Locus per in 1990.

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Appena il soldato fu uscito ed ebbe chiuso l’uscio, Marjorie accostò le labbra a un orecchio del marito: — Probabilmente vi sono microfoni nascosti in tutto l’appartamento.

Rigo annuì: — Credo che frate Mainoa avesse ragione — dichiarò. — Sono convinto che quel Fuasoi fosse un Ammuffito. Probabilmente si era fatto spedire il virus e lo aveva già diffuso in città. Saremmo saggi se lasciassimo al più presto possibile il pianeta, Marjorie. — E scosse stancamente la testa. Cos’altro si può dire o fare, combinando menzogne parziali e mezze verità? pensò. Forse soltanto il terrore è in grado di indurre il Prelato ad andarsene da Grass. Sedette su un divano, addossandosi allo schienale, e chiuse gli occhi.

Mentre la stanza si colmava di sentimenti inespressi e di memorie inquietanti, Marjorie sedette accanto a lui. Nello scrutare il suo volto esausto, fu invasa da una tristezza quasi impersonale, come le era accaduto di frequente pensando agli abitanti della Città dei Procreatori. Allo stesso modo, era consapevole di non poter aiutare il marito più di quanto avesse potuto aiutare quei derelitti.

Intanto, Rigo si chiese se non fosse già troppo tardi, dopo tutto quello che era successo: Eugenie. Stella. Le accuse che ho lanciato contro Marjorie. Che stupido sono stato! Se mai so qualcosa di lei, so bene che non ha desideri di quel genere. Perché l’ho accusata? Be’, dopotutto so anche questo: perché dovevo pur accusarla di qualcosa! Ma adesso? è già troppo tardi per perdonarla di quello che non ha mai commesso?

18

Nella Città Arborica degli Arbai, due religiosi sedevano nella dolce brezza serale a mangiar frutta colta sugli alberi circostanti dalle volpi, una delle quali era rimasta per condividere la loro cena.

— Sembrano prugne — osservò padre James, che era arrivato verso metà mattina, a dorso di volpe, solo, giacché padre Sandoval aveva rifiutato di lasciare la città.

Benché si trovasse nella Città Arborica già da qualche tempo, frate Mainoa non si era ancora ripreso dalla spossatezza del viaggio e posava la testa sul petto della volpe, come un bimbo all’ombra.

Per l’ennesima volta, padre James tentò di convincersi che le volpi erano reali: non sogni, non visioni amorfe, non astrazioni o illusioni; ma ancora una volta stentò a riuscirvi, poiché in realtà non riusciva a vederle. Talvolta intravedeva una zampa, o meglio una mano; oppure un occhio; o, come un’ombra, parte di una gamba o della schiena; però quando cercava di osservare la figura nella sua interezza, gli lacrimavano gli occhi e gli veniva l’emicrania. Si volse ad osservare gli alberi, pensando che non valesse la pena preoccuparsi: presto tutto si sarebbe risolto, in un modo o nell’altro.

— Sono camaleonti psichici — sussurrò frate Mainoa. — Anche gli Hippae sono in grado di mimetizzarsi così, seppure non altrettanto bene.

Con le labbra tremanti, agognando qualcosa di famigliare, padre James insistette: — Non vi sembra che queste frutta assomiglino alle prugne? La buccia, però, è più simile a quella delle pere, anche se le dimensioni non corrispondono.

— Non ci si deve stupire che siano così piccole, giacché sono maturate tanto presto — spiegò frate Mainoa, quasi in un bisbiglio. — Le frutta estive ed autunnali sono più grandi, incluse quelle prodotte dai medesimi alberi. — Sembrava contento, anche se debolissimo.

— Dunque gli alberi fruttificano più di una volta durante la stessa stagione?

— Oh, certo — mormorò Mainoa. — Fruttificano in continuazione fino al tardo autunno.

Intanto, Janetta bon Maukerden canticchiava fra sé e sé, danzando su un ponte che partiva dalla veranda, e Dimity bon Damfels, dal parapetto, ammirava la foresta con un pollice nella bocca aperta e una remota curiosità negli occhi. La voce di Rillibee, il quale si trovava con Stella in una casetta prospiciente la veranda, giungeva al prete e al monaco: — Raccogli il frutto con la mano, Stella. Così. Adesso, mordilo. Brava ragazza. Pulisciti il mento. Così. Brava ragazza! Ecco, un altro morso, ora.

— È molto paziente — sussurrò padre James.

— È necessario che lo sia — mormorò frate Mainoa. — Con tre ragazze in quelle condizioni!

— Povere disgraziate. Il meno che possiamo fare è aiutare Rillibee a rieducarle. — Padre James rifletté brevemente, prima di aggiungere: — Se rimarremo qui abbastanza a lungo.

Alcuni ologrammi arbai impegnati in una conversazione sibilante passarono su di loro, tingendoli di colori lievi e spettrali. Con un guizzar di scarlatto e blu, un uccello che ricordava un pappagallo terrestre volò da un albero all’altro. Dove Janetta danzava, un ologramma si afferrò al cavo portante e si accosciò, sporgendo il sedere dal ponte: gli Arbai avevano sempre espletato con disinvoltura i bisogni fisiologici.

— Spetta a voi scegliere se rimanere o partire, padre — disse frate Mainoa in un debole sussurro.

— Non siamo neppure sicuri di poter sopravvivere, qui! — protestò il prete. — Consideriamo il cibo, ad esempio: non sappiamo affatto se queste frutta basteranno a sostentarci.

— Le frutta e i semi saranno più che sufficienti — garantì frate Mainoa. — Per molti anni il priore Laeroa ha studiato il potere nutritivo di varie combinazioni di semi. Dopotutto, padre, molti abitanti della terra vivono con poco più che grano, o riso, o mais: anche questi sono semi.

— Per raccogliere semi commestibili dovremmo andare nella prateria — obiettò padre James. — E gli Hippae non ce lo permetteranno.

— Potrete farlo tranquillamente: sarete protetto. — Frate Mainoa chiuse gli occhi e parve appisolarsi, come gli accadeva spesso.

D’un tratto, padre James rammentò le fattorie che aveva visitato da bambino: — Però, adesso che ci penso, qua nella palude si potrebbero allevare oche e anatre. — Cercò di ridacchiare, ma riuscì soltanto ad emettere un tremulo sospiro, rammentando che la scarsa popolazione di Grass era forse tutto quel che restava dell’umanità nell’universo: a cosa sarebbe servito allevare anatre e oche?

— Ecco. Pulisciti ancora il mento. — disse Rillibee. — Oh, Stella! Sei proprio una brava ragazza intelligente!

Sempre canticchiando, Janetta piroettò, poi si fermò un momento per dire, con assoluta chiarezza: — Pipì! — Si sollevò la gonna, si afferrò al cavo portante, e si accosciò, assumendo la stessa posizione dell’ologramma arbai — di poco prima, col sedere sporgente.

— Parla — commentò padre James, arrossendo, e distogliendo lo sguardo dalle nude natiche di Janetta.

— È in grado di apprendere — convenne frate Mainoa, risvegliandosi improvvisamente.

Sempre col viso risolutamente distolto, padre James sospirò: — Speriamo che possa imparare ad essere un po’ più modesta.

Frate Mainoa sorrise: — O che noi possiamo imparare ad essere, com’erano evidentemente gli Arbai, un po’meno assillati dalla carne.

In quel momento, padre James fu pervaso da una tristezza così struggente come un dolore fisico: d’un tratto, attraverso gli occhi di una creatura diversa, vide frate Mainoa come un amico molto debole, che non sarebbe più stato assillato dalla carne ancora per molto. Capì di essere osservato e sollevò lo sguardo. Allora si accorse che un paio di occhi inumani e splendenti fissavano i suoi ed erano colmi di lacrime enormi, molto umane.

Gli Yrarier erano stati imprigionati da poco, quando il serafino si recò in città con una pattuglia di «santi», in equipaggiamento da battaglia più per impressionare la popolazione che per esigenze militari.

I soldati della Santità cercavano un certo frate Mainoa. Tutti lo avevano visto, alcuni sapevano dove aveva dormito o dove aveva mangiato poche ore prima, ma nessuno sapeva dove si trovasse in quel momento: — Era molto depresso — spiegò un certo Persun Pollut, con cristallina onestà — a causa della morte orrenda dei Frati Verdi nell’incendio del Monastero. — Celando con espressione lugubre e con un sospiro triste il proprio desiderio di visitare la Città Arborica, soggiunse: — Non mi stupirebbe se si fosse recato nella foresta palustre e si fosse smarrito. È capitato a varie persone, di recente.

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