— Nessuno al mondo — disse Duun. — No.
— Perché? Per amore degli dei, perché?
— Chiamala curiosità. Ci sono senza dubbio ragioni adeguate, per i medici.
— I medici…
— Sono loro i tuoi padri, se vuoi. In un certo senso, lo è anche Ellud. O altri che hanno lavorato al programma.
— E tu chi sei?
— Una soluzione hatani.
Piccoli campanelli d’allarme cominciarono a suonare. Un formicolio di avvertimento. (Auto-conservazione. Perché preoccuparsi? Perché pensarci?) Ma c’era la paura.
— Per chi?
— Avrei potuto fare molte cose, ma ho scelto di darti la migliore possibilità di cui disponevo. L’unica che possa dare. Come Ehonin e sua figlia.
— Chi te l’ha chiesta?
Duun rimase a lungo silenzioso.
— Il governo.
— Ha chiesto una soluzione hatani? - L’enormità della cosa gli piombò addosso come un’ondata. Lo sguardo di Duun non lo lasciò un attimo.
— Tu sei uno dei miei compiti principali. Ti ho dato tutto quello che potevo. Continuerò a farlo. È tutto quello che posso fare.
Le stelle brillavano, traboccanti.
— Volevo amarla, Duun.
— Lo so.
— Voglio morire.
— Ti ho insegnato a combattere. Non a morire. Ti sto insegnando a trovare soluzioni.
— Trova questa.
— Mi è già stato chiesto.
Thorn ebbe un brivido e tutto il suo corpo cominciò a tremare.
— Vieni qui — disse Duun. Gli tese le mani. — Vieni, pesciolino.
Thorn andò. Era una consolazione patetica quella che Duun gli offriva, vergognosa per entrambi. Duun lo prese fra le braccia e lo tenne stretto, fino a quando i brividi cessarono. Dopo, Thorn rimase appoggiato alla spalla di Duun per molto tempo, e con le braccia di Duun che lo cullarono come avevano fatto un tempo, davanti al fuoco, a Sheon, quando lui era piccolo.
Dormì. Quando si svegliò, vide che Duun si era addormentato sopra di lui; la schiena gli faceva male, ed era ancora tutto vero.
— Bene — disse Ellud — stiamo cercando di risalire il più lontano possibile con quei documenti. Quando i canali ufficiali decidono di falsificare qualcosa, ci riescono lasciando pochissime tracce.
— Non importa. — Duun teneva la schiena dritta. La costola incrinata e la notte passata steso su Thorn rendevano lenti i suoi movimenti. Sedeva a gambe incrociate sul rialzo nell’ufficio di Ellud, con una tazza d’infuso di erbe in mano. Si godeva il calore e la quiete. — Mi congratulo con il concilio. Le notizie fornite dal servizio di sicurezza, vere o false che siano, spiegano la maniera in cui si è comportata.
— Giovane, brillante, e probabilmente indebitata fino al collo con qualcuno.
— Prova la Compagnia Dallen. Segui la pista e fai tutto il baccano che ti pare. Dovrebbe servire a tenere Shbit tranquillo per un po’.
— Sono imbarazzato per quanto è successo.
— Gli è costata parecchio. Un sacco di anni per creare quell’identità. Quello che non riesco a capire è come sia riuscita a fuggire dall’edificio senza lasciare tracce. Accidenti, come hanno fatto a nasconderle?
— Stiamo cercando di scoprire anche questo.
Duun fissò Ellud un momento, e si versò un’altra tazza di tè. Sollevò la tazza e guardò di nuovo Ellud. La faccia di Duun non aveva nessuna espressione e i suoi occhi sembravano di vetro. — Sta diventando un uomo, a parte tutto il resto. Prima o poi doveva succedere. Betan era una soluzione, quando l’ho scelta. Intuivo che aveva il coraggio sufficiente per trattare con lui. L’ho sottovalutata. Thorn, gli dei lo sanno, è in grado di badare a se stesso… fino a un certo punto. Come minimo lei era intenzionata a provocare un incidente. È l’ipotesi più probabile. Ma non dimentichiamoci che se le cose fossero andate in un certo modo, l’avrebbe probabilmente anche ucciso. Il coraggio di farlo non le mancava. Peccato che la Corporazione non l’abbia presa.
— Una libera hatani?
— Ci ho pensato. Non credo. Libera ghota, forse.
— Per gli dei, se pensavi una cosa simile…
— Il senno di poi. Può essere del medesimo vukun delle guardie del corpo di Shbit. Sono abili. Forse perfino una dei sicari della Compagnia Dallen. Certo ha combinato un pasticcio, se l’intenzione era di ucciderlo. Ma in fondo non era malvagia e io temo che la faccenda non sia poi — semplice. — Un altro sorso. — Non la troverai più, ormai, credo. Probabilmente è uscita dall’edificio. Cerca vecchi amici alla Sicurezza.
— Lo sto facendo.
— Probabilmente si è suicidata dopo aver fatto il suo rapporto. L’ho imbarazzata, e non nel suo giovanile pudore. Shbit penserà a far sparire il corpo. Francamente mi farebbe piacere se fosse andata da lui. Renderebbe molto più facili le soluzioni.
— A me questa faccenda non piace.
— Neanche a me. Può darsi che vada lo stesso da Shbit. Questa sconfitta dovrebbe tenerlo buono per un po’. Non può mettere in campo la sua testimone, adesso. È andato tutto all’aria: le accuse di assalto e violenza… — Duun respirò a fondo. Il disagio di Ellud era evidente. — Be’, è finita. Per il momento. Questa mattina l’ho messo al lavoro in palestra e mi sono rifiutato di rispondere alle sue domande. Poi gli ho dato un sedativo. In questo momento dorme, e c’è Hosi che lo sorveglia. Domani cambieremo la situazione a scuola. Penso che sia meglio. E grazie ai tuoi uomini. Mi piacerebbe tirarlo fuori, portarlo un po’ in campagna…
— Dei, no! Abbiamo appena avuto una falla nei sistemi di sicurezza. Vuoi che succeda di nuovo come a Sheon?
— … ma so che non è fattibile.
— Duun. Duun-hatani. — Ellud allungò una mano sulla scrivania, prese il foglio ottico e lo agitò. — Mi arrivano domande. Abbiamo una piccola falla che può provocare un maremoto, per l’amor del cielo, Duun! Non ci resta molto spazio di manovra. Voglio che il programma continui. Voglio che torni ai ritmi prestabiliti. Ti dico una cosa. Non c’è solo Shbit, adesso. Ci si sono messe anche le province. Riceviamo domande. Capisci?
— Ho sempre capito. C’è un limite, Ellud. La mente ha dei limiti. Voglio che Thorn sia tranquillo. Lo voglio in buona salute. È ormai a un buon punto. Ma bisogna lasciargli spazio.
— Non sa di Betan, vero?
— Come potrei spiegarglielo senza entrare nell’intera questione del concilio? È per questo che non ho potuto fermarla sul posto. Cosa avrei dovuto dirgli? C’è qualcuno che vuole ucciderti? Ci sono troppe cose che non capisce. Lascia che le ferite si rimarginino, prima che affronti il resto. — Duun guardò la tazza, la fece rotolare tra le due dita e la mise giù. — Prendi Sagot.
— Non può.
— Chiedilo a lei. No, le spiegherò io. È vecchia, astuta e femmina: la migliore combinazione possibile.
La guardia era ancora alla porta, la stessa di sempre, e Thorn si voltò per guardare quella che l’aveva scortato al piano superiore… non un’occhiata dura o vendicativa. ( Lui ha avvisato Duun. ) Dapprima Thorn aveva pensato a Cloen. Ma Thorn non aveva giocato d’astuzia. Non aveva pensato, in realtà, di coprire le sue tracce, né che fosse necessario.
Varcare quella porta, era tutto ciò che poteva fare. (“Betan se n’è andata”, gli aveva detto Duun il giorno prima. “È stata trasferita. Su sua richiesta.”) (“L’hai uccisa?” aveva chiesto Thorn, rabbrividendo una seconda volta. Non era una domanda razionale, forse; ma l’aria stessa gli sembrava fragile, piena di dubbi e d’inganni. Duun l’aveva allora guardato negli occhi, rispondendogli: “No. Niente del genere…”. Solennemente come Duun gli aveva sempre risposto e come gli aveva sempre detto le mezze verità, tenendolo lontano dal mondo fino a quanto Betan non ce l’aveva fatto entrare.)
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