C. Cherryh - Stirpe di alieno

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Stirpe di alieno: краткое содержание, описание и аннотация

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Lo avevano chiamato Thorn, e ancora neonato lo avevano affidato al più grande giudice-guerriero di quel mondo, Duun, perché lo allevasse come un membro della loro razza. Ma ben presto Thorn si rende conto di essere diverso; la sua pelle è chiara e priva di morbida pelliccia argentea, le sue mani mancano di artigli, e in tutto quel mondo non esiste un’altra creatura simile a lui. Quando poi gli attentati alla sua vita si moltiplicano, fino a condurre l’intero pianeta a una strenua guerra civile, Thorn capisce che deve cercare nello spazio la risposta all’enigma della sua origine, ben sapendo che da lui può dipendere il futuro di due lontane civiltà.
Nominato per i premi Hugo e Locus in 1986.

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— Oh, sì. Vado sulla costa ogni primavera.

(Facendogli venire in mente battute scurrili e barzellette da studenti, e qualcosa di mistico conosciuto da ogni maschio al mondo tranne che da lui, insensibile agli odori e nudo come un essere appena nato.) Betan gli sedeva vicina, con le ginocchia che toccavano le sue e con i grandi occhi scuri puntati su di lui. — Non ho mai imparato… — disse Thorn, perdendo subito il filo del discorso. (No. Lei non era hatani e lui non aveva bisogno di esserlo. Per una volta non aveva bisogno di essere complicato: doveva essere semplice con Betan, che una volta lo spaventava, e adesso gli aveva messo una mano sul ginocchio, e la faceva scivolare su.) Thron mise la mano su quella di lei. Sentì la pelliccia liscia come seta, e i muscoli scivolare sotto la pelle, tesi e vivi, mentre lei si piegava, si stirava e gli si appoggiava contro, con una mano sul suo corpo. — Non ho mai imparato…

Thorn sentì una serie di cose succedergli tutte insieme, cose interamente al di là del suo controllo. D’improvviso fu molto chiaro cosa voleva, e quello che il suo corpo stava facendo, da solo. La strinse a sé, e assaporò quella dolce sensazione finché osò, fino a quando non sentì che tutto gli scivolava via di nuovo. Le prese allora la cintura, slacciandogliela in fretta. Lei gli slacciò la sua. La testa di Betan gli scivolò sotto il mento, mentre lei si chinava sopra di lui; era tutta calda e il suo odore era cambiato.

Era paura. Thorn si tirò indietro, la scostò da sé tenendola per le braccia, e lei si agitò nella sua stretta… — Betan!

La porta si aprì alle sue spalle. Un uomo entrò dall’anticamera.

Betan si divincolò dalla stretta di Thorn, e si rimise in piedi.

Duun.

Betan si fermò, poi si rannicchiò e indietreggiò. Thorn si alzò. — Maledizione… Duun!

Duun si scostò dalla porta e fece segno a Betan di uscire. Lei esitò.

— Esci! — gridò Thorn. (Dei, la ucciderà…) — Betan! Esci!

Lei uscì precipitosamente nell’anticamera, poi dalla porta d’ingresso, come una preda in fuga. Duun la guardò uscire, poi fissò Thorn.

Thorn rimase con un piede sulla sabbia e un ginocchio sulla scrivania, e tremava per la reazione nervosa, mentre si rimetteva i vestiti. Duun era immobile come se fosse disposto ad aspettare per sempre.

— Lasciami solo — disse Thorn. — Duun, per amore degli dei, lasciami solo!

— Parleremo dopo. Torniamo a casa, Haras.

— Non ho nessuna casa! Un hatani non ha casa! Non ha niente…

— Parleremo dopo, Thorn.

Thorn era tutta una convulsione. Non c’era scelta. (Non c’è mai stata scelta. Torna a casa, pesciolino. Rinuncia, pesciolino. Fai finta che tutto sia a posto.)

(Ma lei ha avuto paura. Si è spaventata. Ha avuto paura di me… )

— Vieni — disse Duun.

— Avresti fatto meglio ad arrivare fra un po’!

Duun non disse niente. Tese la mano verso la porta. Thorn si staccò dalla scrivania, e la vista gli si fece indistinta. (Stai piangendo, Thorn.) Uscì come in una nebbia, con Duun a fianco; percorsero il corridoio fino all’ascensore rimanendo in completo silenzio fino alla porta della loro abitazione dove la guardia si tenne in disparte, come se avesse capito qualcosa.

Duun chiuse la porta e Thorn si diresse verso la sua stanza.

— Non c’era scelta — disse Duun. — Sai cosa le hai fatto?

— Non le avrei fatto del male! — Si girò di scatto, fissando Duun, dall’altra parte del corridoio. — Maledizione, non le avrei…

— Dovrò spiegarti meglio l’anatomia.

Non le avrei fatto del male! Avrei… avrei… — (Non posso, non potrei; ma toccarla, ed essere toccato da lei…)

— Immagino che ci avresti provato. — Freddamente, dall’alto della sua età e superiorità. — Il buon senso non c’era, Thorn. Lo sai.

— Dimmi. Spiegami. Dei, non m’importa quello che mi fai, ma le sei piombato addosso in quella maniera… Cosa credi di averle fatto, Duun-hatani? È questa la tua finezza?

— Ti ho promesso una risposta. Anni fa mi facesti una domanda, e io ti promisi la risposta quando saresti stato capace di battermi. Bene, ieri ci sei andato vicino. E questo basta.

Thorn rimase di sasso. Poi subentrò la ragione. Alzò una mano.

Maledizione, maledizione, mi stai manovrando! Conosco i tuoi trucchi, me li hai insegnati. So quello che stai facendo, Duun!

— Ti sto offrendo la risposta. Ecco tutto. Cosa sei, da dove vieni…

O dei, non voglio sentirla! - Thorn si voltò e si mise a correre. Poi chiuse la porta della sua stanza, e ci si appoggiò contro, tremando.

Si sentì l’intercom. — Quando vuoi, esci, Thorn. Non penso male di te. Non per questo. Anche un hatani può ricevere delle ferite. E questa è una grande ferita. Esci quando ti sentirai di vedermi. Ti aspetterò. Ti aspetterò, Thorn.

Aveva gli occhi asciutti quando uscì. Aprì la porta e percorse il corridoio fino alla sala. Duun era lì, seduto sul rialzo alla base della parete. Le finestre erano tutte stelle e buio: la notte. E forse era notte davvero. Duun non lo guardò subito, quando Thorn attraversò la sala e si sedette sul rialzo, al suo fianco.

Allora Duun girò la testa e lo guardò; non si sentiva alcun rumore, tranne qualcosa di meccanico dietro la finestra e un sussurro di aria dai condotti.

— Sei venuto per la risposta? — chiese Duun.

— Sì — disse Thorn. Sedeva con la schiena dritta, le mani sulle cosce e le caviglie incrociate. Guardava fisso Duun.

— Hai studiato genetica — continuò Duun. — Sai dunque cosa governa l’ereditarietà.

(Muoviti. Affonda in fretta il coltello, Duun. O dei, non voglio restarmene seduto a sentirlo.) — Sì. Capisco.

— Capisci che i geni ti rendono quello che sei; che ogni tuo tratto non è frutto del caso. Un insieme armonioso, Haras.

— Tu sei mio padre?

— No. Non hai padre. Né madre. Sei un esperimento. Una prova, se vuoi…

Thorn si sentiva stranamente insensibile. La voce di Duun era sospesa da qualche parte nella penombra senza tempo della finestra. La notte si stendeva all’infinito, e lui l’ascoltava.

— Non ci credo — disse Thorn alla fine. Non perché non credesse di essere qualcosa di altrettanto terribile. Ma non gli sembrava possibile — Duun. La verità. Sono nato sbagliato…

— Non sbagliato. Nessuno l’ha mai detto. Ci sono delle cose giuste in te. Ma sei diverso. Un esperimento. Tu sai come ha luogo il concepimento. Sai che è possibile la manipolazione genetica…

— Non so come. — (Clinicamente. E con precisione, come una lezione. Sembrava che non stessero parlando di lui, ma di una cosa in un piatto o di un granello di polvere sospeso in aria.) — So che viene fatto. So che si possono mettere insieme dei geni, e produrre qualcosa che non esisteva prima.

— Sai che quando qualcuno vuole dei figli, e ci sono… impedimenti fisici… esistono sistemi per fare crescere l’embrione. Un ospite. Qualche volta volontario. In altri casi un sistema artificiale. Un utero artificiale. Così è avvenuto nel tuo caso.

(Una macchina. O dei, una macchina.)

— Non c’è nulla di particolare in questo — disse Duun. — È una cosa che hai in comune con mille, duemila persone normali che non avrebbero potuto nascere in altra maniera. La medicina fa meraviglie.

— Mi hanno fabbricato.

— Qualcosa del genere.

Si era sforzato di non piangere. Ma non ce la fece più e le lacrime parvero sgorgare dal nulla, gli scesero lungo le guance, senza fermarsi. — Quando mi stavano mettendo insieme in questo laboratorio… — Non riuscì a parlare, per un certo tempo, e Duun attese. Poi ricominciò. — Quando mi hanno fabbricato, si sono preoccupati di farlo due volte? C’è qualcun altro come me?

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