C. Cherryh - Stirpe di alieno

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Stirpe di alieno: краткое содержание, описание и аннотация

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Lo avevano chiamato Thorn, e ancora neonato lo avevano affidato al più grande giudice-guerriero di quel mondo, Duun, perché lo allevasse come un membro della loro razza. Ma ben presto Thorn si rende conto di essere diverso; la sua pelle è chiara e priva di morbida pelliccia argentea, le sue mani mancano di artigli, e in tutto quel mondo non esiste un’altra creatura simile a lui. Quando poi gli attentati alla sua vita si moltiplicano, fino a condurre l’intero pianeta a una strenua guerra civile, Thorn capisce che deve cercare nello spazio la risposta all’enigma della sua origine, ben sapendo che da lui può dipendere il futuro di due lontane civiltà.
Nominato per i premi Hugo e Locus in 1986.

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(Shitti che rideva e scherzava con me, e anche Elanhen, fin dal primo momento. Non sarebbe stato naturale sentire ribrezzo? Ma loro erano preparati. Sapevano com’ero. Forse Cloen è stato l’unico sincero… l’unico che ha detto la verità.)

(Sciocco, lo sapevi: lo sapevi fin dal momento in cui sei entrato in quella stanza, ma volevi credere qualcos’altro. Hai visto come si muoveva Betan… hai pensato hatani , e hai messo da parte quel pensiero.)

(All’ultimo momento si è tirata indietro e io ho reagito… Ho sentito l’odore della paura, lei ha perso il controllo… Mi sono tirato indietro, mi sono spaventato, è stata una reazione incontrollabile, lei mi era contro, e io ho sentito l’odore della paura…)

(Thorn, dove hai la mente? L’hai lasciata a Sheon, su quella collina, quando sei tornato per lui? Ti sei dimenticato come lavora Duun?)

(Io lo amo. Lui mi ama?)

(Ma Sagot è vera? Tutte le sue chiacchiere, dall’inizio: “Mi piaci, ragazzo”. Thorn, sciocco.)

(Duun ha detto la verità, su quello che sono, e da dove vengo?)

Thorn rimase seduto sul letto, con le mani fra le ginocchia. Alla fine si alzò, accese le luci e controllò il letto, come se potesse esserci un sasso.

Non c’era.

(Lo odio. Lo odio per quello che mi ha fatto.)

(È stata la cosa più bella del mondo quando lui mi ha sorriso, oggi.)

10

— Ancora.

Questa volta usavano i coltelli wer , con le lame ricoperte da plastica trasparente. Duun si chinò, fece un affondo ed evitò la risposta di Thorn; Thorn evitò la sua, rotolò a terra e balzò di nuovo in piedi, a una certa distanza. — È una mossa che hai inventato tu? — chiese Duun freddamente, e Thorn abbassò la testa, guardandolo di sottecchi, come se avesse combinato qualcosa di sciocco. — L’ho appena inventata — disse Thorn. — Quando sono finito sui talloni. Mi dispiace, Duun.

Ma era stata fatta bene. Duun appiattì le orecchie. — Ancora.

Altre tre volte. I wer così rivestiti erano tutt’altra cosa rispetto ai wer con la lama nuda: la plastica faceva troppa resistenza. Duun indietreggiò e tolse la custodia dalla lama. Gli occhi di Thorn tradirono il timore, ma tolse anche lui la protezione e la gettò via.

Acciaio nudo. Duun strinse il coltello nella mano mutilata e mise la sinistra vicino, pronto a cambiare mano all’improvviso. Thorn fece lo stesso, muovendosi e guardando soltanto gli occhi di Duun e il suo coltello.

Duun attaccò direttamente, senza la finta che gli era abituale; si arrestò all’ultimo istante, quando vide Thorn coprirsi e sfuggire all’assalto, finta, doppia finta, cambio di mano, ritirata in cerchio, passo di lato, attacco.

La lama sibila scivolando sull’altra lama; ma il movimento continua, in un attacco continuo.

Thorn sfuggì di nuovo rotolando a terra. Si rialzò con la sabbia nei capelli e ormai alle strette, perché Duun continuava ad avanzare e il muro era quasi alle spalle di Thorn.

Thorn se ne accorse e si spostò, troppo in fretta. Duun cambiò mano, e le lame si incontrarono, mentre Thorn indietreggiava di nuovo senza ostacoli alle spalle.

Duun chiamò tempo. — Maledizione, è un acciaio troppo affilato per trattarlo in questa maniera! Non urtare il filo!

— Sì, Duun. — Thorn respirò grandi boccate d’aria. Il sudore gli colava negli occhi, e se l’asciugò.

— È la tua maledetta abitudine a usare una mano sola. Lo sai cosa hai fatto?

— Mi sono spostato a destra — disse Thorn. Abbassò le spalle e si asciugò di nuovo il sudore. — Ho fatto una finta a sinistra.

— Ma sei andato a destra, sciocco!

— Sì, Duun. Ho pensato che avresti pensato che questa volta sarei andato a sinistra.

— No, perché non lo fai mai! Dei, coglimi di sorpresa, almeno una volta!

La faccia di Thorn era mortificata.

— In guardia! — Duun colpì, veloce come un fulmine. Thorn sfuggì, sfuggì, e ancora sfuggì; poi attaccò e sfuggì di nuovo, con le lame che risuonavano.

Allora Duun fece un affondo, girò la lama e lo colpì col pugno sul braccio. Thorn buttò in alto il braccio per diminuire la forza del colpo, si ritirò e si copri di nuovo.

Duun chiamò tempo, e Thorn si guardò il braccio aspettandosi di vedere del sangue. — Almeno — disse Duun — non ti sei fermato quando ti ho colpito.

— No. — Questo l’aveva imparato in molte dolorose lezioni, perdendo le abitudini del principiante a forza di botte. — Mi dispiace. — Senza fiato, asciugandosi ancora una volta il sudore. Thorn si riferiva all’urto fra le lame.

— Hai sviluppato una nuova forma di finta: quella di nascondere i tuoi errori! Sei meglio quando sfuggi!

— Mi dispiace, Duun-hatani.

— Questo non è non combattimento con le mani: hai un artiglio maledettamente affilato, giovane sciocco! Usa il cervello. Ancora!

Thorn venne avanti. Duun sfuggì, colpì, sfuggì, colpì.

— Alt!

Thorn si tirò indietro e si fermò. Il respiro gli usciva a rantoli e il sudore gli colava negli occhi. Si raddrizzò. — Mi dispiace, Duun. — Era diventato un ritornello. C’erano sempre errori. Aveva un’espressione contrita.

Duun gli allungò una mano verso la faccia, lentamente. Thorn fece un passo indietro. C’era una minaccia in quell’atteggiamento, e cautela. Duun sorrise.

Thorn raddrizzò le spalle, ansimando. (Perché gridi? Perché mi lanci imprecazioni? Cosa non va oggi? Cerco di ascoltare, Duun, non prenderti gioco di me in questa maniera.)

— Lascia che ti tocchi, pesciolino. Una volta.

La mano con il coltello si abbassò. Thorn rimase immobile. Duun gli venne vicino e gli mise la mano in mezzo al petto, sulla pelle che era diventata pallida, senza la luce del sole, ed era scivolosa per il sudore. Il cuore batteva sotto la mano di Duun con colpi forti e regolari. Non si ritrasse. Non tremò. Duun alzò la mano fino al collo, e sentì lo stesso battito. Un piccolo scatto. Riflessi. O insegnamento. Guardò i bianchi occhi alieni: era curioso quanto poco il centro azzurro fosse cambiato dalla prima volta che li aveva guardati: un bambino nel suo grembo; un bambino con la pancia rotonda, che gli si arrampicava sulle ginocchia incrociate e cercava di tirargli le orecchie; la faccia di un ragazzo che lo guardava con improvvisa emozione, trovandoselo sulla pista…

Pareva che non avessero mai cambiato dimensioni. Le ossa attorno sì. La faccia si era incavata, la mascella allungata e la pelle era diventata ispida per i peli neri che Thorn si radeva sempre… (Rideranno di me, Duun; i peli del mio corpo non diventano fitti abbastanza, e non voglio che crescano in faccia in questa maniera, a chiazze.) Thorn si radeva anche il corpo, qui e là, dove le chiazze erano più evidenti. Si tagliava e si pettinava, in modo che i cambiamenti del suo corpo non sopraffacessero il Thorn a cui entrambi si erano abituati. Thorn aveva un odore diverso rispetto a un tempo. Il petto e le spalle erano più ampi e muscolosi, la pancia piatta e dura; i fianchi stretti, le gambe lunghe e agili. Era forte: Thorn poteva ora sollevare Duun, anche se lui non aveva nessuna intenzione di lasciarglielo fare.

Stranamente, Thorn non era brutto. Diciassette anni, quasi diciotto e Duun lo guardava dritto negli occhi, anzi, negli ultimi tempi doveva anche alzarli un po’. E c’era in Thorn una simmetria che gli rendeva la faccia giusta su quel corpo, le cui parti si componevano in una grazia di movimenti che nessun esteta avrebbe potuto negare. (“Quando ti ci abitui, è bellissimo” aveva detto Sagot. “Terribile, come un grande animale a cui ti sei avvicinato più di quanto avevi voluto. Ma desideri lo stesso vederlo muoversi. C’è un fascino in queste cose, no?”)

Le pupille si dilatavano e si contraevano a seconda dei pensieri. Con ansietà. (È un gioco, Duun? Devo fare qualcosa?)

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