Isaac Asimov - Neanche gli dei

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Contro la stupidaggine, neanche gli Dei possono nulla. Questo pessimistico giudizio che Friedrich von Schiller pronunciò nel 1802 è all’origine del più felice evento dell’anno fantascientifico 1972: il ritorno di Isaac Asimov al romanzo, dopo quasi quindici anni in cui non aveva più scritto che racconti. Il giudizio di Schiller ha infatti fornito ad Asimov:
a) lo spunto e il titolo del romanzo stesso;
b) la base per la scoperta del Pu 186, strabiliante isotopo al plutonio;
c) lo strumento indispensabile per l’esplorazione del Para-Universo
d) la possibilità di modificare ottimisticamente
le prospettive del nostro Universo (e di tutti gli altri Universi in cui dominano gli imbecilli) mediante l’aggiunta di un semplice punto interrogativo: Contro la stupidaggine neanche gli Dei possono nulla?
Vincitore del premio Nebula per il miglior romanzo in 1972.
Vincitore del premio Hugo per il miglior romanzo in 1973.

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— E dopo di allora cos’è stato fatto?

— Pochissimo, almeno da parte dei Terrestri.

— E da parte dei Lunariti?

— Non lo so. I loro scienziati lavorano nelle installazioni di gran mole che vi ho detto e in altre. Ma una volta ho controllato i cartellini orari e ho trovato delle lacune.

— Lacune?

— Passano molto tempo fuori da quelle istallazioni. Come se avessero dei laboratori personali.

— Ma non è ovvio, se fabbricano congegni miniaturizzati e prodotti biochimici?

— Sì, ma… Gottstein, non lo so. La mia ignoranza mi fa paura.

Seguì un lungo silenzio che Gottstein ruppe per dire: — Montez, suppongo che mi abbiate parlato così per farmi capire che devo stare attento e cercare di scoprire cosa stanno facendo i Lunariti?

— Più o meno — ammise Montez, impacciato.

— Però non siete nemmeno sicuro che stiano realmente facendo qualcosa.

— Non lo so, ma lo sento.

— È strano — riprese Gottstein. — Dovrei cercare di persuadervi che sono tutte impressioni dettate da un vostro timore… mistico, ma, è strano…

— Cosa?

— A bordo della nave che mi ha portato sulla Luna c’era un uomo… Voglio dire c’era un mucchio di gente, ma un viso, in particolare, mi ha colpito. Non gli ho parlato, non ne ho avuto l’occasione. Non ci avevo pensato più, ma le vostre parole hanno fatto scattare la molla del ricordo.

— E allora?

— Una volta ho fatto parte di un comitato relativo a certe faccende circa la Pompa Elettronica. Problemi di sicurezza. Come dite voi, la Terra si è infiacchita e tutti hanno paura di tutto. Be’, temevano per qualcosa in rapporto alla Pompa… È un bene, comunque, avere paura di qualcosa. I particolari mi sfuggono, ora, ma ricordo di avere visto quell’uomo che ho rivisto a bordo.

— Credete, che fosse importante?

— Non vi saprei dire. Però, associo quella faccia a qualcosa di preoccupante. Ci penserò sopra e un giorno o l’altro ricorderò. Casomai posso consultare l’elenco dei passeggeri, per vedere se un nome mi aiuta. Colpa vostra, Montez, mi avete messo una pulce nell’orecchio.

— Ne sono contento non dispiaciuto. Quanto a quell’uomo, potrebbe essere un qualsiasi turista che ripartirà fra quindici giorni. Ma sono contento che vi dia da pensare.

Gottstein pareva non lo ascoltasse. Mormorò: — Dev’essere un fisico o uno scienziato. Non so perché, ma lo associo a un pericolo.

4

— Salve! — esclamò allegramente Selene.

Il Terrestre si voltò e la riconobbe immediatamente — Selene! Dico giusto? Selene?

— Giusto. Pronuncia esatta. Vi state divertendo?

— Moltissimo — rispose serio il Terrestre. — Mi sto rendendo conto di quanto straordinario sia il nostro secolo. Fino a poco tempo fa ero sulla Terra, e mi sentivo stanco del mio ambiente e di me stesso. Poi ho pensato: “Be, se fossi vissuto cent’anni fa, l’unico modo di lasciare questo mondo sarebbe stato morire, invece adesso… posso andare sulla Luna”. — Sorrise, ma senza gaiezza.

— Siete più felice adesso che ci siete? — domandò Selene.

— Un poco. — Si guardò in giro. — Non avete un branco di turisti da curare, oggi?

— Oggi, no. È il mio giorno di libertà. Chissà, forse riuscirò ad averne due o tre. Il mio è un lavoro monotono.

— Che peccato, allora, che vi siate imbattuta in un turista proprio oggi!

— Non mi sono imbattuta, vi stavo cercando. E ho faticato a trovarvi. Non dovreste andarvene in giro da solo.

Il Terrestre la guardò con interesse.

— Perché mi cercavate? Vi piacciono i Terrestri?

— No — rispose lei con disarmante franchezza. — Mi danno la nausea. Non mi piacciono per principio, e avere a che fare con loro per lavoro non fa che peggiorare ulteriormente le cose.

— Eppure siete venuta a cercarmi, e non c’è niente sulla Terra… voglio dire sulla Luna, che possa convincermi che lo avete fatto perché sono giovane e bello.

— Anche se lo foste, sarebbe lo stesso. I Terrestri non m’interessano, come sanno tutti, eccetto Barron.

— Allora perché mi cercavate?

— Perché ci sono altri modi di essere interessanti e perché voi interessate a Barron.

— Chi è? Il vostro ragazzo? Un amico?

Selene rise: — Barron Neville. È molto più di un ragazzo e anche di un amico. Quando ne abbiamo voglia ce la spassiamo insieme.

— È quello che intendevo dire. Avete bambini?

— Un maschio di dieci anni. Vive quasi sempre nella sezione ragazzi. E, per risparmiarvi la prossima domanda, aggiungo che non è figlio di Barron. Può darsi che avrò un figlio anche da Barron, se saremo ancora insieme quando… se mi verrà dato il permesso di avere un secondo figlio. Ma sono sicura che me lo daranno.

— Siete molto franca.

— Riguardo ad argomenti che non considero segreti? Certo… Ma cosa vi piacerebbe fare adesso?

Stavano camminando lungo un corridoio dalle pareti di roccia color latte, nella cui superficie levigata erano incastonate schegge di “gemme lunari” che si trovavano facilmente in molte zone della superficie. Selene calzava sandali che sfioravano a malapena il terreno, mentre lui portava stivali dalla pesante suola di piombo che lo aiutavano a camminare con relativa facilità.

Il corridoio era a senso unico. Di tanto in tanto venivano sorpassati da un piccolo e silenzioso veicolo elettrico.

Il Terrestre rispose: — Che cosa avrei voglia di fare, dite? Be’, è un invito a raggio talmente ampio!… Non vorreste porvi qualche condizione limitativa in modo che io non possa offendervi, anche senza volerlo?

— Siete un fisico?

Il Terrestre esitò. — Perché me lo domandate?

— Per sentire cosa mi rispondete. Lo so che siete un fisico.

— Come fate a saperlo?

— Nessuno parla di “condizioni limitative”, se non lo è specialmente se la prima cosa che vuole vedere della Luna è il protosincrotrone.

— È per questo che mi cercavate? Perché sembro un fisico?

— È il motivo per cui Barron mi ha mandato a cercarvi. Perché lui è un fisico. Io sono venuta perché penso, che… siate fuori del comune, per un Terrestre.

— In che senso?

— Se andate in cerca di complimenti… non è un complimento. È solo che mi pare che i Terrestri non vi piacciano.

— Come fate a dirlo?

— Vi ho osservato mentre guardavate gli altri turisti. E poi io lo sento. Sono i Terragni a cui non piacciono gli altri Terragni quelli che tendono a rimanere sulla Luna. E questo mi riporta alla domanda di prima. Che cos’avete voglia di fare, adesso? E porrò le mie condizioni limitative… voglio dire, per quanto riguarda le cose che andremo a vedere.

— È strano, Selene — ribatté lui, lanciandole un’occhiata penetrante. — Avete un giorno di libertà e, dal momento che il vostro lavoro non vi dà nessuna soddisfazione, dovreste godervelo. Invece siete disposta a lavorare volontariamente per me… Solo perché v’interesso un pochino.

— Perché interessate a Barron. Lui ha da fare, adesso e non c’è niente di male se v’intrattengo io finché non sarà libero… E poi è diverso. Non lo capite? Il mio lavoro consiste nel guidare un branco di Terragni… Non vi offenderete se uso questo termine?

— Lo uso anch’io.

— Perché siete un Terrestre. Alcuni Terrestri lo considerano denigratorio e si offendono se lo usano i Lunariti.

— Volete dire se lo usano i lunatici?

Selene arrossì, poi disse: — Sì. Proprio così.

— Bene, allora non stiamo a scambiarci insulti. Su, continuate a parlarmi del vostro lavoro.

— Nel mio lavoro ci sono questi Terragni che devo sorvegliare perché non finiscano con l’ammazzarsi e a cui devo dire come muoversi e camminare, e devo badare che mangino e bevano secondo il manuale. E loro vedono le loro cosette, fanno le loro cosette, e io devo essere tremendamente materna e gentile.

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