Disse, nello Standard Planetario, ma con accento diverso da quello di Montez: — Pare che vogliate scusarvi di qualcosa.
— È vero, è vero — ammise Montez. Se il viso di Gottstein era nell’insieme bonario e ottimista, le linee allungate del viso di Montez avevano un che di tragicomico.
— Mi sento imbarazzato in due sensi — spiegò. — Mi imbarazza lasciare la Luna, perché è un mondo attraente ed eccitante, e mi imbarazza di essere imbarazzato. Mi vergogno perché provo una certa riluttanza a riprendere sulle spalle il peso terrestre… gravità compresa.
— Già, immagino che riprendere gli altri cinque sesti sarà dura — ammise Gottstein. — Io sono qui solo da pochi giorni, ma sento già che un sesto di g è perfetto.
— Cambierete parere quando comincerà la stitichezza e sarete costretto a bere olio di vaselina — ribatté Montez con un sospiro. — Ma poi passa… e non pensate di potervi muovere con la leggerezza di una gazzella, solo perché vi sentite leggero. È un’arte che bisogna imparare.
— L’ho già capito.
— Lo credete, Gottstein. Avete mai visto come camminano i canguri?
— In televisione.
— Be’, ne danno una pallida idea. Bisogna provarlo. È il modo migliore, anzi l’unico, per muoversi a velocità elevata sulla superficie lunare. I piedi vanno all’unisono indietro, dando una spinta che sulla Terra vi permetterebbe solo di fare un salto. A mezz’aria i piedi vi si spostano in avanti, e cominciano a tornare indietro appena prima di toccare il suolo in modo di rimandarvi in aria, e così via. È un movimento che secondo gli standard terrestri sembra lento con una gravità così scarsa a dare il rimbalzo, ma ogni passo si fanno sei o sette metri e lo sforzo muscolare è minimo. Si ha la sensazione di volare.
— Voi avete provato? Siete in grado di muovervi così?
— Ho provato, ma nessun Terrestre può dire di esserne capace. Io sono riuscito a far cinque balzi di fila, ma poi si perde la sincronizzazione, si sbagliano i calcoli e si finisce a ruzzoloni per tre o quattrocento metri. I Lunariti sono molto educati e non vi prendono mai in giro. Loro, naturalmente, sono degli esperti. Cominciano da bambini e ci riescono subito senza difficoltà.
— È il loro mondo — commentò Gottstein. — Pensate come si troverebbero loro sulla Terra!
— Non potrebbero trovarsi sulla Terra. Anzi, non possono. E questo, credo, è uno dei nostri vantaggi.’Noi possiamo vivere sia sulla Terra che sulla Luna. Loro possono vivere solo qui. Lo dimentichiamo spesso, perché confondiamo i Lunariti con gli Immi.
— Con cosa?
— È così che loro chiamano gli immigranti terrestri, quelli che vivono più o meno in permanenza sulla Luna, ma che sono nati e cresciuti sulla Terra. Gli immigranti, naturalmente, possono tornare sulla Terra, ma i veri Lunariti non hanno né ossa né muscoli adatti a sopportare la forza di gravità terrestre. Per questo motivo accaddero delle vere tragedie nei primi tempi della storia della Luna.
— Ah?
— Sì. Gente che tornò sulla Terra con i loro figli nati sulla Luna. Ma noi abbiamo tendenza a dimenticare. Avevamo in corso o appena passato la nostra Crisi e la morte di qualche bambino non era rilevante, in confronto all’enorme numero di morti che avevamo avuto verso la fine del ventesimo secolo e a tutto quello che ne seguì. Qui sulla Luna, però, viene mantenuto vivo il ricordo di tutti i Lunariti che dovettero soccombere alla forza di gravità terrestre… Li aiuta, credo, a sentirsi un mondo a sé stante.
— Credevo che sulla Terra mi avessero dato tutte le informazioni necessarie, ma vedo che ho ancora molto da imparare — osservò Gottstein.
— È impossibile arrivare a conoscere tutto della Luna restando sulla Terra, perciò vi ho lasciato una relazione esauriente, così come fece il mio predecessore per me. Troverete la Luna affascinante, ma anche atroce, sotto certi punti di vista. Non credo che sulla Terra abbiate mai mangiato razioni lunari e, se le conoscete solo per sentito dire, non siete preparato ad affrontare la realtà… però le mangerete e vi ci abituerete, per forza. Non è buona politica farsi mandare viveri terrestri. Dobbiamo mangiare e bere prodotti locali.
— Visto che voi avete resistito per due anni, penso che anch’io riuscirò a sopravvivere.
— Non sono rimasto qui due anni di fila. Ho fatto qualche scappata sulla Terra. Sono viaggi obbligatoli. Ve l’hanno detto, no?
— Infatti — disse Gottstein.
— Nonostante tutto l’esercizio fisico che farete qui, è necessario tornare di tanto in tanto a gravità normale, perché le ossa e i muscoli non se ne dimentichino. E quando sarete sulla Terra, ah, che mangiate! E un po’ di contrabbando di viveri non guasta.
Gottstein disse: — All’arrivo hanno accuratamente ispezionato il mio bagaglio, naturalmente, ma avevo in tasca una scatoletta di carne. Non l’avevo vista… e anche loro hanno fatto finta di niente.
Montez sorrise, poi disse, esitando: — Immagino che adesso mi offrirete di dividerla con voi.
— No — disse Gottstein giudiziosamente, arricciando il naso a patata. — Stavo per dire con tutta la tragica nobiltà di cui sono capace: “Ecco, Montez, tenetevela tutta! Ne avete più bisogno di me”.
Il sorriso di Montez si allargò, ma poi si spense. — No — disse, scuotendo la testa. — Fra una settimana potrò mangiare cibi terrestri a sazietà. Voi no. Dovrete tirare la cinghia nei prossimi anni e passerete fin troppo tempo a rimpiangere la generosità di adesso. Tenetevela voi… Insisto. Non vorrei guadagnarmi il vostro odio retroattivo.
Parlava con serietà, tenendo una mano sulla spalla di Gottstein, e fissandolo negli occhi. — Inoltre — aggiunse — voglio parlarvi di una cosa che ho continuato a rinviare perché non so come abbordarla, e quella scatoletta sarebbe una scusa per un ulteriore rinvio.
Gottstein si affrettò a rimettere in tasca la scatoletta e tornò serio a sua volta. — Si tratta di qualcosa che non potevate inserire nei vostri dispacci, signor Montez?
— Si tratta di qualcosa che ho tentato di inserire nei dispacci, signor Gottstein, ma fra la mia incapacità a esprimermi e la riluttanza terrestre ad afferrare i miei sottintesi, abbiamo finito col non capirci. Voi, me lo auguro, potrete fare meglio di me. Uno dei motivi per cui non ho chiesto la proroga del mio mandato è il fatto che non riuscivo a sopportare la responsabilità del mio fallimento nelle comunicazioni.
— Da come parlate, mi pare che si tratti di una cosa grave.
— Vorrei che la riteneste grave, ma francamente potrebbe sembrarvi sciocca. Nella colonia lunare ci sono alcune decine di migliaia di persone, di cui meno della metà Lunariti di nascita. Essi sono ostacolati dall’insufficienza delle risorse naturali, dall’insufficienza di spazio, da un mondo ostile, e tuttavia… tuttavia…
— Tuttavia? — ripeté Gottstein in tono incoraggiante.
— Sta succedendo qualcosa qui… Non so esattamente cosa, ma potrebbe esser pericoloso.
— Pericoloso in che senso? Che cosa possono fare? Far guerra alla Terra? — Gottstein faceva fatica a mantenersi serio.
— No, no, è qualcosa di indefinibile. — Montez si passò una mano sulla faccia, fregandosi a lungo gli occhi. — Permettetemi di essere franco con voi. La Terra si è infiacchita.
— Come sarebbe a dire?
— Be’, in che altro modo potreste definire la situazione? Nell’epoca in cui venne fondata la colonia lunare la Terra fu colpita dalla Grande Crisi. Questo non c’è bisogno che ve lo ricordi.
— No di certo — rispose con disgusto Gottstein.
— Da sei, la popolazione terrestre scese a due miliardi.
— E sulla Terra si sta meglio, adesso, non è vero?
— Senza dubbio, anche se io sono del parere che poteva esserci un sistema migliore per diminuire la popolazione… A ogni modo dopo la Crisi è rimasta una grande sfiducia nella tecnologia, un’inerzia diffusa, la riluttanza a correre rischi per il timore degli effetti collaterali. Progetti molto importanti, ma ritenuti pericolosi, sono stati abbandonati perché si temeva più il pericolo di quanto non se ne desiderassero i risultati.
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