Neville era nell’angolo cucina a preparare il caffè. Non fece commenti perché aveva già sentito più d’una volta quelle parole. Disse invece: — Cos’ha la tua scorta d’acqua? È già finita.
— Davvero? Be’, si vede che ne ho adoperata troppa. Abbi pazienza.
— Niente di spiacevole, oggi?
— No, tutto normale e piuttosto disgustoso, come al solito. Fingono di gustare i nostri cibi e hanno paura che gli si chieda di spogliarsi… Figurati che roba se lo facessero!
— Sei diventata pudica? — Le chiese portando due tazzine di caffè e deponendole sul tavolino.
— In questo caso il pudore è necessario. I miei turisti sono rugosi, cascanti, panciuti, nonché pieni di germi. C’è la quarantena, lo so, ma per me sono sempre pieni di germi… E tu, hai novità?
Barron rispose con un cenno di diniego. Era tarchiato, per essere un Lunarita, e teneva sempre la fronte aggrottata e gli occhi socchiusi, quasi per vezzo. Ma, a parte questo, aveva lineamenti regolari ed era nel complesso un bell’uomo, almeno secondo Selene.
Le rispose: — Niente d’importante. Stiamo ancora aspettando il cambio del Commissario. Staremo a vedere com’è questo nuovo, questo Gottstein.
— Potrebbe creare difficoltà?
— Non più di quante ne abbiano sempre fatte. In fin dei conti, cosa possono fare? Non possono infiltrarsi. È impossibile che un Terragno riesca a farsi passare per un Lunarita! — Ma pareva a disagio, dicendolo.
Selene bevve il caffè fissandolo. — Ci sono dei Lunariti che, nel loro intimo, sono dei Terragni.
— Lo so, e vorrei sapere chi sono. Qualche volta penso che non dovrei fidarmi… Oh, be’, sto perdendo un sacco di tempo col progetto del mio sincrotrone, senza approdare a niente. Non ho fortuna con le richieste e i diritti di precedenza!
— È probabile che non si fidino di te, e non li biasimo. Ti comporti come se fossi un cospiratore!
— Non è vero. Mi farebbe un immenso piacere uscire dalla camera del sincrotrone e non ritornarci mai più, ma allora sì che diventerebbero sospettosi… Se hai consumato tutta la razione di acqua, Selene, forse sarà difficile farci una seconda tazza di caffè.
— Infatti. E, già che siamo sul discorso, mi hai aiutato anche tu a sprecare acqua. La settimana scorsa ti sei fatto due docce in casa mia!
— Ti darò un buono. Non sapevo che tu ne tenessi conto!
— Non io, ma il serbatoio.
Finì di bere il caffè e rimase a fissare con aria pensosa la tazzina vuota. — I turisti fanno sempre delle smorfie quando lo bevono — disse. — Chissà perché. A me pare buono. Tu hai mai assaggiato il caffè terrestre Barron?
— No.
— Io sì. Un turista aveva portato di contrabbando un pacchetto di quello che loro chiamano caffè istantaneo. Me l’ha offerto in cambio di quello che sai. Pareva convinto che fosse uno scambio equo.
— E l’hai accettato?
— Ero curiosa di assaggiarlo. Era amaro e metallico. Uno schifo. Poi ho detto a quel tizio che la mescolanza razziale era contraria all’uso dei Lunariti e allora è diventato lui amaro e metallico.
— Non me lo avevi mai raccontato. E ha tentato altro, vero?
— Non è cosa che ti riguardi, ti pare? Comunque, no, non ha tentato altro. Se si fosse provato, alla gravità per lui sbagliata, l’avrei mandato a finire in fondo al corridoio uno.
Fece una breve pausa, poi continuò: — Ah, sì. Ho conosciuto un altro Terragno, oggi. Ha voluto sedersi al mio tavolo.
— E che cosa ti ha offerto in cambio di quello che tu con tanta delicatezza definisci “quello che sai”?
— Niente, voleva solo sedersi al mio tavolo e basta.
— A guardarti il seno?
— È uno spettacolo che merita di essere guardato, lo ammetto, ma invece quello ha guardato la targhetta… Ma a te cosa importa quello che guardava o non guardava quel tizio? Ognuno è libero di guardare e di pensare quel che gli pare. E non per questo io mi sento obbligata ad assecondare le fantasie altrui. Cosa credi? Che se lui aveva voglia di venire a letto con me, io ci sarei andata di corsa? A letto con un Terragno? Sai che bel risultato, con uno che non è ancora abituato al nostro campo gravitazionale? Non dico che non riuscirebbe a concludere qualcosa, ma non con me. Ti basta? Sei soddisfatto? Posso tornare al Terragno? Il quale ha almeno cinquant’anni e non dev’essere stato bello neanche a venti. Ammetto però che è un tipo interessante, questo sì.
— Va bene. Faccio a meno di una descrizione dettagliata. Cosa mi dici di lui?
— Mi ha chiesto del protosincrotrone.
Neville si alzò in piedi di scatto, barcollando un poco, cosa inevitabile dopo un movimento brusco in ambiente a bassa gravità, e sbottò:
— Cosa ti ha domandato del sincrotrone?
— Niente! Perché ti ecciti tanto? Mi hai raccomandato di dirti tutte le cose fuori dal normale che i miei turisti fanno o dicono. Finora nessuno mi aveva chiesto del sincrotrone, perciò te l’ho riferito.
— Va bene. — Tacque, poi aggiunse in tono normale: — Perché gl’interessava il sincrotrone?
— Non ne ho la più pallida idea — rispose Selene. — Mi ha chiesto solo se poteva visitarlo. Può darsi che sia un turista con interessi scientifici. Secondo me era solo una scusa per rendersi interessante ai miei occhi.
— E immagino che ci sia riuscito. Come si chiama?
— Non lo so, non gliel’ho chiesto.
— Perché?
— Perché a me non interessa! Insomma, si può sapere cosa vuoi? Inoltre, la sua è una domanda proprio da turista. Se fosse un fisico, non me l’avrebbe fatta. Lavorerebbe qui.
— Mia cara Selene — disse Neville — lascia che ti spieghi. Date le attuali circostanze, chiunque chieda di visitare il sincrotrone è un tizio fuori dell’ordinario, sul quale è necessario indagare a fondo. E mi sai dire come mai è venuto a chiederlo proprio a te? — Si mise nervosamente a passeggiare da un capo all’altro della stanza, come se volesse smaltire un po’ d’energia, poi disse: — Tu che sei l’esperta conoscitrice d’uomini. Lo trovi interessante?
— Dal punto di vista sessuale?
— Sai bene cosa intendo. Non scherzare, Selene !
Con palese riluttanza, lei rispose: — È interessante, anzi preoccupante. Ma non so perché. Non ha detto né fatto niente di particolare.
— Interessante e preoccupante? Allora lo rivedrai.
— Per fare che?
— E cosa ne so? Sono fatti tuoi. Scopri come si chiama. Scopri tutto quello che puoi sul suo conto. Hai cervello, quindi fallo funzionare per uno scopo utile, tanto per cambiare.
— Ah, bene ordini dall’alto! — disse Selene. — D’accordo.
L’alloggio del Commissario, quanto a dimensioni, non si distingueva da quello di un qualunque Lunanta. Sulla Luna non c’era spazio, nemmeno per gli alti funzionali terrestri: niente sprechi, niente lussi, nemmeno come simbolo del pianeta natale. Né, quanto a questo, c’era modo di cambiare l’opprimente realtà della Luna — ambiente sotterraneo a bassa gravità — nemmeno per il più grand’uomo della Terra.
— L’uomo è ancora una creatura legata al suo ambiente — sospirò Luiz Montez. — Vivo da due anni sulla Luna e ci sono state volte in cui ho avuto la tentazione di restare, ma… sono ormai in là con gli anni. Ne ho più di quaranta e, se voglio tornare sulla Terra, è meglio che mi decida subito. Più si invecchia, meno si riesce a riadattarsi alla gravità terrestre.
Konrad Gottstein aveva solo trentaquattro anni e ne dimostrava meno. Aveva una faccia tonda dai lineamenti marcati, quel tipo di faccia che non si vedeva tra i Lunariti e che sembrava loro la caricatura della faccia di un Terragno. Era snello — non mandavano mai uomini troppo robusti sulla Luna — e forse per questo la sua faccia sembrava più larga.
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