Lui scosse la testa. — No, sono solo, ma, se anche non lo fossi, i Terragni non mi attirano molto.
Lei tornò a guardarlo. Era sulla cinquantina e aveva un aspetto stanco che però gli occhi brillanti e dallo sguardo inquisitore sembravano smentire: aveva cioè l’aspetto inconfondibile del Terrestre schiacciato dalla forza di gravità. Gli disse: — Terragno è un’espressione della Luna, e non molto lusinghiera.
— Io vengo dalla Terra — replicò lui — perciò spero di poterla usare senza offendere nessuno. A meno che a voi dispiaccia.
Selene alzò le spalle come per dire: “Fate come vi pare”.
Aveva gli occhi leggermente a mandorla, comuni a molte ragazze lunari, ma i capelli erano colore del miele e il naso pronunciato. Pur senza essere una bellezza classica, era indubbiamente attraente.
Il Terrestre aveva gli occhi fissi sulla piastrina con il nome che lei portava appuntata sulla camicetta, nella parte superiore del seno sinistro, sostenuto anche se non troppo voluminoso. Giudicò che stesse guardando proprio la piastrina e non il seno, per quanto la camicetta fosse quasi trasparente, specie se la luce la colpiva da un’angolazione particolare, e lei non indossasse niente, sotto. Lui chiese: — Ci sono molte Selene sulla Luna?
— Oh, sì. Centinaia, credo. E anche Cinzie, Diane e Artemidi. Selene è un nome piuttosto sfruttato. La metà delle Selene che conosco si fa chiamare “Silly” e l’altra metà “Lena”.
— E voi come vi fate chiamare?
— In nessuno dei due modi. Io sono Selene per esteso. Sé-le-ne — ripeté, marcando forte la prima sillaba, — per chi mi chiama solo col nome proprio. Per gli amici.
Un lieve sorriso aleggiò sul viso del terrestre, che sedeva un po’ a disagio, come se non vi fosse abituato. — E se qualche estraneo vi chiedesse di potervi chiamare così, cosa fareste, Selene?
— Non me lo chiederebbe due volte — gli rispose, ferma.
— Ma ve lo hanno chiesto?
— C’è sempre qualche sciocco, al mondo.
Al loro tavolo era arrivata una cameriera, che posò loro davanti i piatti colmi con gesti veloci e fluidi.
Il Terrestre ne rimase impressionato e disse alla ragazza: — Sembra che li facciate volare.
La cameriera sorrise e se ne andò.
— Non cercate di imitarla — lo avvertì Selene. — Lei è abituata alla gravità lunare.
— Mentre se lo facessi io, lascerei cadere tutto, vero?
— Fareste un gran pasticcio — confermò lei.
— Bene, allora non mi ci proverò.
— Ma vedrete che prima o poi qualcuno vorrà farlo, e allora il piatto gli andrà a finire sul pavimento e se si chinerà per prenderlo, finirà anche per cadere dalla sedia lui! Io avverto sempre i turisti, ma è inutile, perché si sentono solo imbarazzati. Vedrete, tutti rideranno… tutti i turisti, naturalmente, perché noi lo abbiamo visto troppe volte per trovarlo ancora divertente, e poi le pulizie restano da fare a noi!
Sollevando con cautela la forchetta, il Terrestre disse: — Capisco. Qui anche i gesti più semplici sembrano strani.
— Sì, ma ci si abitua in fretta. Almeno alle cose più semplici, come il mangiare. Camminare è più difficile. E non ho mai visto un Terrestre correre in modo efficace, qui sulla Luna.
Mangiarono per un poco in silenzio. Poi lui disse: — Cosa significa la elle? — Stava di nuovo osservando la piastrina, su cui era scritto “Selene Lindstrom L.”.
— Sta per Luna — rispose lei con indifferenza. — Per distinguermi dagli immigrati. Io sono nata qui.
— Davvero?
— Non c’è da meravigliarsi. La comunità lunare esiste da più di cinquant’anni. Credete che sulla Luna non nascano bambini? C’è gente nata qui che ha già dei nipoti.
— Voi, quanti anni avete?
— Trentadue.
L’uomo parve incredulo, poi mormorò: — Naturalmente.
Selene inarcò le sopracciglia. — Ah, avete capito? Mi tocca spiegarlo a quasi tutti i Terrestri.
— Sono abbastanza informato da sapere che i segni più visibili dell’invecchiamento come guance o seno cascanti, sono dovuti all’ineluttabile vittoria della gravità sui tessuti — replicò il Terrestre. — E dal momento che sulla Luna la gravità è un sesto di quella della Terra, non è difficile capire che qui la gente conserva più a lungo un aspetto giovanile.
— Solo l’ aspetto - precisò Selene. — Non significa che qui siamo immortali. La durata della vita è pressappoco uguale che sulla Terra, ma di solito invecchiamo meglio.
— Non è un vantaggio da poco… Naturalmente ci sono anche i lati negativi, immagino. — Il Terrestre aveva appena bevuto il primo sorso di caffè. — Dovete bere questa… — S’interruppe per cercare un termine adatto, poi preferì non aggiungere altro.
— Potremmo importare cibi e bevande dalla Terra — disse lei, divertita. — Ma solo per nutrire una minima parte di noi e per un tempo minimo. Perciò usiamo lo spazio disponibile sulle navi per articoli più importanti e utili. E poi siamo abituati a questa schifezza… o vi pare che il termine sia troppo blando?
— Non per il caffè. Per il cibo, forse… ma non importa, ditemi, signorina Lindstrom, nel nostro itinerario turistico non vedo citata nessuna visita al protosincrotrone.
— Il protosincrotone? — Selene stava finendo il caffè e il suo sguardo stava facendo il giro della sala in attesa del momento di avvertire i turisti che dovevano alzarsi. — È di proprietà della Terra e non è aperto ai turisti.
— Volete dire che ne è vietato l’ingresso ai Lunariti?
— Oh, no! La maggior parte del personale è composta da Lunariti. È solo che il regolamento è fatto dal governo terrestre. Niente turisti.
— A me piacerebbe visitarlo.
— Lo immagino… Sapete che mi avete portato fortuna? Niente piatti per terra, nessun turista caduto dalla sedia. — Si alzò e, rivolgendosi a tutti, disse: — Signore e signori, fra dieci minuti usciremo. Vi prego di lasciare i piatti dove stanno. Per chi lo voglia, ci sono locali di riposo. Poi andremo a visitare gli impianti alimentari dove si producono i pasti come quello che avete appena consumato.
L’alloggio di Selene era piccolo, naturalmente, e ridotto all’essenziale, ma complicato. Aveva tre finestre panoramiche con scene raffiguranti gruppi di stelle che si rinnovavano di continuo e non avevano niente a che fare con le vere costellazioni. Inoltre, era possibile ingrandire a volontà quelle vedute.
Barron Neville detestava quelle scene, e non mancava di sbottare, dopo aver spento di colpo i panorami: — Come fai a sopportarle? Sei l’unica persona che conosco che abbia il cattivo gusto di mettersi in casa un simile orrore. E quelle nebulose e quegli ammassi stellari, non esistono nemmeno.
E Selene rispondeva alzando le spalle: — Cos’è la realtà? Come fai a sapere che le stelle visibili in cielo esistono? E poi, quei panorami mi danno una sensazione di libertà e di movimento. Non posso tenerli in casa mia se mi piacciono?
Al che Neville brontolava qualcosa e poi rimetteva in funzione i meccanismi, cercando di sistemare gli indici nel punto in cui li aveva trovati. E Selene diceva: — Lascia perdere!
Il mobilio era tutto curve e le pareti tinteggiate a colori tenui e riposanti che formavano disegni astratti. Non c’era alcuna riproduzione di creature viventi.
— La vita appartiene alla Terra, non alla Luna — diceva Selene.
Adesso, entrando, come spesso accadeva, trovò Barron Neville, steso su un divano, e con un solo sandalo infilato. L’altro era sul pavimento dove lui lo aveva lasciato cadere, e sul suo stomaco c’era una lunga fila di segni rossi, dove si era grattato distrattamente.
— Ci facciamo un caffè, Barron? — disse lei, sgusciando fuori dagli abiti con un unico aggraziato movimento, unito a un sospiro di sollievo. Poi li buttò con un calcio in un angolo. — Che sollievo spogliarsi! — esclamò. — Doversi vestire come i Terragni è la parte peggiore del lavoro.
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