Se non fosse stato per il lavoro che stava facendo, non sarebbe riuscita a sopportare quella stanchezza e quella fame. A volte sperava addirittura che i Duri la distruggessero… ma solo dopo che avesse finito quello che intendeva fare.
I Duri non potevano farle niente finché lei rimaneva dentro la roccia. Qualche volta li captava vicinissimi a dov’era lei, in uno spazio aperto. Avevano tutti paura. In principio aveva pensato che avessero paura per lei , ma era impossibile. Perché dovevano avere paura per lei, paura che lei trapassasse per totale mancanza di nutrimento, per totale esaurimento? No, dovevano avere paura di lei : avevano paura di una macchina che non funzionava come loro avevano progettato che funzionasse, erano sbigottiti per un prodigio così grande, atterriti perché impotenti nei suoi confronti.
Stava molto attenta a evitarli. Sapeva sempre dove si trovavano, perciò non potevano né prenderla né fermarla. Loro non erano in grado di controllare tutti i vari posti in continuazione, e a volte aveva pensato di non tener nemmeno conto della pochissima percezione che possedevano.
Usciva dalla roccia vorticando e andava a studiare le copie registrate delle comunicazioni che i Duri avevano ricevuto dall’altro universo. Loro non sapevano cosa lei cercasse di fare, ma, anche se le avessero nascoste, lei le avrebbe ritrovate ovunque. E se le avessero distrutte, be’, non importava più. Ormai lei le ricordava benissimo.
Al principio non le aveva capite, ma poi, a causa della sua lunga permanenza nelle rocce, tutti i suoi sensi si erano affinati, tanto che le pareva di capire senza nemmeno pensare. Cioè, sebbene non conoscesse il loro significato, i simboli le ispiravano determinate sensazioni, li sentiva.
Aveva scelto i segni che percepiva esatti e li aveva sistemati dove sarebbero stati trasmessi nell’altro universo. I segni erano: P-A-U-B-A. Non aveva idea di cosa volessero dire in realtà, ma la loro forma le dava un senso di paura e così aveva fatto del suo meglio per imprimere quel senso di paura sugli stessi segni. Forse gli esseri-altri, studiandoli, avrebbero provato paura anche loro.
Quando erano cominciate a giungere le risposte, Dua aveva percepito in esse molta eccitazione. Non riusciva sempre a riceverle lei. Talvolta erano i Duri a trovarle per primi e ormai, certamente, avevano capito cosa lei stesse facendo. Eppure loro non sapevano leggere i messaggi, non potevano nemmeno percepire le emozioni di chi li aveva mandati e che le giungevano insieme ai segni.
Perciò non si preoccupava più dei Duri. Nessuno l’avrebbe fermata, finché lei non avesse finito… qualunque cosa i Duri scoprissero di lei non importava più.
Adesso aspettava l’arrivo di un messaggio che avesse trasportato l’emozione che lei desiderava. E finalmente arrivò: P-O-M-P-A M-A-L-E.
Ecco, in esso c’erano la paura e l’odio che lei voleva. Lo rimandò indietro ampliandolo, aggiungendovi più paura, più odio. Ora la gente dell’altro universo avrebbe capito. Ora avrebbero fermato la Pompa. I Duri avrebbero dovuto trovare qualche altro sistema, qualche altra fonte di energia, poiché non l’avebbero più ottenuta a prezzo della morte di tutte le migliaia di esseri viventi di quell’altro universo.
Si accorse di rimanere a riposare troppo a lungo all’interno della roccia, di cadere in una specie di torpore. Aveva un disperato desiderio di cibo, e attese di poter strisciare fuori, fino a una batteria. Ma ancor più disperatamente del nutrimento contenuto in una batteria, desiderava che tutta la batteria di accumulatori si spegnesse. Desiderava poterne assorbire l’energia fino all’ultima scintilla, sapendo che dall’altro universo non ne sarebbe più giunta e che il suo compito era terminato.
Alla fine emerse dalla roccia e ne rimase fuori a lungo, sconsideratamente, succhiando e succhiando a una delle batterie. Voleva vederne il fondo, vuotarla, essere sicura che non entrasse più energia… ma la fonte era inesauribile, inesauribile, inesauribile…
Dua vibrò e si allontanò dalla batteria con disgusto. Così, la Pompa Positronica funzionava ancora. Che i suoi messaggi non avessero convinto gli esseri viventi dell’altro universo a fermare la loro Pompa? Oppure non li avevano ricevuti? O non ne avevano capito il significato?
Doveva ritentare. Doveva renderglielo chiaro, chiarissimo. Gli avrebbe mandato tutte le combinazioni di segni che le sembravano dare una sensazione di pericolo, tutte le combinazioni che trasportassero la preghiera di fermare la Pompa.
Con disperazione si mise a incidere i simboli nel metallo, fondendolo con tutta l’energia che possedeva. Per farlo attinse senza nessuna limitazione all’energia che aveva appena assorbito dalla batteria, finché non l’ebbe spesa tutta e si sentì più esausta che mai: POMPA NON FERMA NON FERMA NOI NON FERMA POMPA NOI NON SENTE PERICOLO NON SENTE NON SENTE VOI FERMA FAVORE FERMA VOI FERMA COSÌ NOI FERMA FAVORE VOI FERMA PERICOLO PERICOLO PERICOLO FERMA FERMA VOI FERMA POMPA.
Era tutto quello che poteva fare. Dentro di lei non restava altro che un dolore continuo, tormentoso. Sistemò il messaggio nel posto in cui poteva essere trasmesso, ma non attese che fossero i Duri a trasmetterlo involontariamente come al solito: attraverso una nebbia di agonia manovrò i comandi, così come aveva visto fare ai Duri, raccogliendo gli ultimi sprazzi di energia che possedeva.
Il messaggio sparì e così fece la caverna, in uno scintillio violetto di vertigine. Lei stava… trapassando… di totale… esaurimento.
Odeen… Tri…
Odeen era già in arrivo, fluttuando più veloce di quanto avesse mai fluttuato prima d’allora. Dapprima aveva seguito la direzione indicata dal senso percettivo di Tritt, acuito a causa della nuova bambina, ma ormai era abbastanza vicino da captare e localizzare Dua soltanto coi i suoi sensi più ottusi. Sentiva da sé che la coscienza di Dua tremolava e andava spegnendosi, e corse ancora più in fretta, mentre Tritt faceva del suo meglio per arrancargli dietro, ansimando e incitando: — Più svelto… più svelto…
Odeen la trovò in uno stato di collasso totale, viva a malapena, e così piccola che pareva un’Emotiva bambina.
— Tritt — ordinò, brusco — porta qui quella batteria. No, no… non toccare lei. È troppo rarefatta per poterla trasportare. Fa’ presto. Se affonda nel pavimento…
Nel frattempo, anche i Duri cominciarono ad arrivare e a raccogliersi intorno a loro. Erano in ritardo, naturalmente, a causa della loro incapacità di percepire a distanza le altre forme di vita. Se fosse dipeso da loro, sarebbe stato troppo tardi per salvare Dua. Non sarebbe trapassata, sarebbe stata davvero distrutta e… e insieme a lei sarebbe andato distrutto molto più di quello che lei sapeva.
Adesso, invece, stava lentamente riacquistando vita e vigore dalla batteria di energia, con tutti i Duri fermi e silenziosi intorno.
Odeen si raddrizzò, ed era un nuovo Odeen, che sapeva esattamente che cosa stava succedendo. Fece un gesto imperioso, ordinando loro di allontanarsi, ed essi se ne andarono. In silenzio. Senza una protesta.
Dua si agitò un poco.
Tritt chiese: — Adesso sta bene, Odeen?
— Zitto, Tritt — disse Odeen. — Dua?
— Odeen? — Dua si mosse ancora e sussurrò: — Credevo di essere trapassata.
— Non ancora, Dua. Non ancora. Prima devi mangiare e riposare.
— È qui anche Tritt?
— Sono qui, Dua — intervenne Tritt.
— Non tentate di riportarmi indietro — bisbigliò Dua. — È tutto finito. Ho fatto quello che volevo fare. La Pompa Positronica si… si fermerà presto. Ne sono sicura. Così i Duri continueranno ad avere bisogno dei Morbidi… e si prenderanno cura di voi, o almeno dei bambini.
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