— Immagino che vogliate alludere al programma d’ingegneria genetica.
— Questo, ovviamente, fu il caso più spettacolare, ma non fu l’unico — disse Montez, con amarezza.
— Francamente non rimpiango che abbiano abbandonato l’ingegneria genetica. Era stata un seguito di fallimenti.
— Ma abbiamo perso l’intuitivismo.
— Be’, non c’era nessuna prova che l’intuitivismo fosse una qualità mentale desiderabile, e molte che dimostravano la sua pericolosità… Ma, a proposito della colonia lunare? Vi pare che sia una prova dell’inerzia della Terra?
— Sissignore! — esclamò con enfasi Montez. — La colonia lunare è un pesante retaggio dei giorni precedenti la Crisi: qualcosa di simile all’estrema avanzata dell’umanità, prima di ritirarsi definitivamente.
— Come siete drammatico, Montez!
— Non direi. La Terra è in ritirata. L’umanità è in ritirata, ovunque meno che sulla Luna. La colonia lunare è l’ultima frontiera dell’uomo, non solo materialmente ma anche psicologicamente. Questo è un mondo in cui non è mai esistita una forma di vita da distruggere o un ambiente complesso in equilibrio precario da sovvertire. Tutto quello che sulla Luna vi è di utile all’uomo, è un manufatto dell’uomo. La Luna è un mondo costruito dall’uomo fin dall’inizio e perciò senza fondamenta. Qui non hanno un passato.
— E allora?
— Sulla Terra stiamo andando alla deriva a causa della nostalgia di un passato pastorale che in realtà non è mai esistito e, se anche fosse esistito, non potrebbe mai più tornare. Sotto alcuni aspetti l’ecologia è stata sconvolta dalla Crisi e noi stiamo facendo del nostro meglio con i cocci, perciò abbiamo paura, una paura che non ci abbandona un istante… Sulla Luna non esiste un passato da temere o da sognare. Qui esiste un’unica direzione: verso l’avvenire. — Infervorato dalle sue stesse parole, Montez proseguì: — Gottstein, io l’ho osservato per due anni, e voi farete altrettanto, forse per più tempo. C’è un fuoco che arde senza mai spegnersi, qui sulla Luna! Qui si espandono in tutte le direzioni. Fisicamente. Tutti i mesi vengono scavati nuovi corridoi e sistemati nuovi alloggi per fare posto a potenziali nuovi abitanti. E sfruttano al massimo le risorse locali, trovano nuovi materiali da costruzione, nuove sorgenti d’acqua, nuovi filoni. Allargano le stazioni di accumulatori a energia solare, ingrandiscono le fabbriche di materiale elettronico… Immagino sappiate che le diecimila persone che vivono qui costituiscono la maggior fonte produttiva di congegni elettronici miniaturizzati e prodotti biochimici di altissima qualità per la Terra.
— So che ne sono importanti fornitori.
— I principali: la Terra non può farne a meno. Andando avanti di questo passo, saranno anche gli unici in un prossimo futuro… Qui progrediscono anche intellettualmente, Gottstein. Sono sicuro che non esiste sulla Terra un giovane d’ingegno portato per le scienze che non sogni più o meno vagamente, o forse non tanto vagamente, di venire un giorno sulla Luna. Con la Terra in ritirata dalla tecnologia, la Luna è l’unico posto in cui si combatta.
— Immagino che vogliate alludere al protosincrotrone.
— È un esempio. Quando è stato costruito l’ultimo protosincrotrone sulla Terra? Ma è solo l’esempio più evidente e più grande. Se volete sapere qual è l’apparecchio scientifico più importante qui sulla Luna…
— Una cosa segreta di cui non mi hanno informato?
— No, anzi, una cosa talmente ovvia che non ci si bada neppure. I diecimila migliori cervelli umani che sono qui. L’unico gruppo compatto di cervelli umani, portati per le scienze che è qui.
Gottstein si mosse dalla sedia, ma questa, essendo inchiodata al pavimento, restò immobile. Sarebbe caduto se Montez non si fosse sporto a impedirglielo.
— Scusate — disse Gottstein, arrossendo.
— Di che? Vi abituerete alla gravità.
— Gottstein chiese: — Non credete di dipingere le cose a tinte troppo fosche? Sulla Terra, in fin dei conti, non siamo nati ieri. Abbiamo inventato la Pompa Elettronica. È una conquista terrestre. Nessun Lunarita ci ha messo mano.
Montez scosse la testa mormorando qualcosa nel suo spagnolo natio. Il tono non era calmo. Poi disse: — Avete mai conosciuto Frederick Hallam?
Gottstein sorrise. — Sì, in effetti l’ho conosciuto. Il Padre della Pompa Elettronica. Credo che questa frase l’abbia tatuata sul petto.
— Quello che dite e il vostro sorriso mi fanno capire che condividete il mio punto di vista. Provate a domandarvi: è possibile che un uomo come Hallam abbia inventato la Pompa Elettronica? L’uomo della strada può anche esserne convinto, ma in realtà sapete benissimo che non esiste un Padre della Pompa Elettronica. L’hanno inventata i para-abitanti del para-universo, chiunque siano. Hallam è stato il loro strumento, e solo per caso. Tutta la Terra è il loro strumento.
— Ma noi siamo stati abbastanza intelligenti da approfittare della loro iniziativa.
— Sì, allo stesso modo che le mucche sono abbastanza intelligenti da mangiare il fieno che noi forniamo loro. La Pompa non significa un passo avanti per l’umanità, anzi il contrario.
— Se la Pompa è un passo indietro, allora ringrazio l’arretramento. Non potrei farne a meno.
— E chi lo farebbe? Ma il punto fondamentale è che la Pompa si adatta alla perfezione all’attuale stato d’animo terrestre. Energia in quantità illimitata a costo zero, tranne che per la manutenzione, e a zero inquinamento. Però sulla Luna non ci sono Pompe Elettroniche.
— Immagino che non ce ne sia bisogno — disse Gottstein. — Le batterie solari sopperiscono a tutte le necessità dei Lunariti. Energia illimitata a costo zero, o quasi, e a zero inquinamento… Non è la stessa litania?
— Già, però le batterie solari sono in tutto e per tutto un manufatto dell’uomo. Ecco dove volevo arrivare: era stata prevista una Pompa anche per la Luna, e si tentò d’installarla.
— E?
— Non ha funzionato. Nel para-universo non hanno accettato il tungsteno.
— Non lo sapevo. Come mai?
— E chi lo sa? — ribatté Montez inarcando spalle e sopracciglia. — Possiamo presumere che i para-abitanti vivano in un pianeta privo di satelliti; che non concepiscano l’esistenza di due mondi vicini e ambedue abitati; che, avendone trovato uno, non ne cerchino un secondo. Chi lo sa? Resta il fatto che non collaborarono, e noi da soli non possiamo far niente.
— Noi da soli — ripeté pensoso Gottstein. — Con questo, intendete noi Terrestri?
— Sì.
— E i Lunariti?
— Loro non c’entravano.
— Ma erano interessati al progetto?
— Non lo so. Ecco il motivo principale della mia incertezza e anche della mia paura. I Lunariti, quelli nati sulla Luna in particolare, hanno reazioni diverse da quelle dei Terrestri. Ignoro quali siano i loro progetti o le loro intenzioni. Non sono riuscito a scoprirlo.
— Ma che cosa possono fare? — domandò Gottstein, sempre più pensoso. — Avete motivo di supporre che vogliano farci del male? O che possano far del male alla Terra se ne avessero l’intenzione?
— Non sono in grado di rispondere alle vostre domande. Sono in gamba, molto intelligenti. Io ho l’impressione che siano incapaci di vero odio, come anche di vera paura. Ma forse è solo una mia impressione. Quello che mi preoccupa di più è quello che non so.
— Le apparecchiature scientifiche sulla Luna sono tutte in mano ai Terrestri, mi pare.
— Infatti, come il protosincrotrone. E così pure il radiotelescopio sulla faccia invisibile alla Terra, e il telescopio ottico da trecento pollici. Insomma, tutte le apparecchiature più grosse, installate già da una cinquantina d’anni.
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