Frederik Pohl - Uomo più

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Questo nuovo romanzo di Frederik Pohl ci presenta il primo tentativo di colonizzazione del pianeta Marte: non il Marte sognato dalla fantascienza di cinquant’anni fa, ma il Marte che oggi conosciamo attraverso i risultati trasmessi dalle sonde spaziali.
Il protagonista della colonizzazione è Uomo Più: l’uomo più gli ausili che gli possono offrire i computer, e il protagonista del romanzo è il primo di questi uomini. Macchine sofisticate collegate al suo corpo hanno sostituito i suoi organi con altri organi artificiali, ed egli è ora adatto a vivere nell’atmosfera rarefatta di Marte, a trarre dal sole l’energia che gli occorre. Ma i suoi ex simili, le persone umane normali, non lo riconoscono più come uno di loro, e Marte, considerato come un’avventura e un episodio, si rivela il suo esilio e la sua casa.
Nominato per i premi Hugo, Campbell e Locus in 1977.

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Scanyon gettò via il microfono e si strofinò gli occhi. — Cosa diavolo è successo? — domandò. Nessuno rispose a quella domanda retorica; impacciato, il generale riprese il microfono. — Ricevo una specie di segnale di guasto, — annunciò.

— Possiamo mandare un uomo, generale, — propose il vicecapo del servizio di sicurezza. — Ci sono due dei nostri in quella macchina, là davanti alla casa. — L’inquadratura ripresa dall’elicottero si era spostata, fermandosi ad una quota di 600 metri sopra Courthouse Square della città di Tonka. Un rettangolo buio circondato dalle luci mobili delle macchine, appena sotto il punto centrale dello schermo, era Courthouse Square, e la casa di Roger era indicata da una stellina rossa. Il vicecapo tese la mano verso la chiazza di luce vicina, per mostrare la macchina. — Eravamo in contatto con loro, generale, — proseguì. — Non hanno visto entrare il colonnello Torraway.

Sulie si alzò. — Non lo consiglio, — disse.

— I suoi consigli non mi entusiasmano molto, adesso, maggiore Carpenter, — ringhiò Scanyon.

— Comunque, generale… — Sulie s’interruppe, quando Scanyon alzò la mano.

Dall’altoparlante uscì, esile, la voce di Dorrie: Voglio una tazza di tè. E poi la voce di Roger: Non preferisci che ti prepari qualcosa da bere? E la risposta, quasi impercettibile: No.

— Comunque, — intervenne Sulie, — adesso Roger è abbastanza stabile. Non roviniamo tutto.

— Ma non posso lasciarlo là! Chi diavolo può sapere cosa combinerà, dopo? Lei , forse?

— Lo ha individuato. Non credo che si muoverà, comunque, almeno per un po’. Don Kayman non si trova molto lontano di lì, ed è un amico. Gli dica di andare a prendere Roger.

— Kayman non è specialista di combattimento.

— È questo che vuole? Se Roger non torna indietro con le buone, cos’ha intenzione di fare?

Vuoi un po’ di tè?

No… No, grazie.

— E spenga quell’apparecchio, — aggiunse Sulie. — Lasci un po’ d’intimità a quel povero diavolo.

Scanyon tornò a sedere, lentamente, battendo entrambe le mani sul piano della scrivania, con molta delicatezza. Poi prese il telefono e impartì gli ordini. — Faremo ancora una volta a modo suo, maggiore, — disse. — Non perché io abbia molta fiducia. Ma non ho altra scelta. Non posso minacciarla. Se va male anche questa volta, non credo che sarò in condizioni di punire nessuno. Ma sono certo che qualcuno provvederà anche a questo.

Telesforo Rasmez disse: — Signore, capisco la sua posizione, ma penso che lei non sia giusto nei confronti di Sulie. La simulazione mostra che Roger deve avere un confronto con sua moglie.

— Lo scopo di una simulazione, dottor Ramez, è dirci quello che accadrà prima che accada.

— Bene, e dimostra anche che Torraway è fondamentalmente piuttosto stabile sotto ogni altro aspetto. Sistemerà tutto, generale.

Scanyon riprese a battere le mani sulla scrivania.

Ramez proseguì: — È un uomo complicato. Lei ha visto i suoi risultati nei Test di Appercezione Tematica, generale. Ha punteggi elevati in tutte le aspirazioni fondamentali: realizzazione, affiliazione… non molto elevati per quanto riguarda il potere, ma comunque ragionevoli. Non è un manipolatore. È introspettivo. Ha bisogno di chiarire le cose dentro di sé. Queste sono le qualità che lei vuole, generale. Roger ne ha bisogno. Non può pretendere che abbia una personalità, qui in Oklahoma, e su Marte ne abbia un’altra.

— Se non mi sbaglio, — disse il generale, — è quanto lei mi aveva promesso, con le sue modifiche del comportamento.

— No, generale, — disse pazientemente lo psichiatra. — Ho promesso soltanto che, se gli avesse dato una ricompensa come Sulie Carpenter, Roger avrebbe trovato più facile riconciliarsi con i problemi nei confronti della moglie. Ed è stato così.

— Il mod-B ha la sua dinamica, generale, — intervenne Sulie. — Lei mi ha chiamato piuttosto tardi.

— E cosa vorreste dirmi? — chiese minacciosamente Scanyon. — Che Torraway crollerà, quando sarà su Marte?

— Spero di no. Le probabilità sono buone, le migliori che noi possiamo creare, generale. Roger si è liberato di una quantità di vecchio ciarpame: può vederlo dai suoi ultimi Test di Appercezione Tematica. Ma fra sei giorni se ne sarà andato, e io non farò più parte della sua vita. E questo è un errore. Il mod-B non dovrebbe mai venire troncato bruscamente. Andrebbe interrotto gradualmente… Roger dovrebbe vedermi sempre meno spesso, fino a che avesse la possibilità di costruirsi delle difese.

Il delicato battito sul piano della scrivania era più lento, adesso. Scanyon disse: — È un po’ tardi per dirmi questo.

Sulie alzò le spalle e non rispose.

Scanyon si guardò intorno, pensieroso. — Sta bene. Per stanotte, abbiamo fatto tutto quel che potevamo. Siete tutti in libertà fino alle otto… no, facciamo fino alle dieci di domattina. A quell’ora ognuno di voi dovrà aver preparato un rapporto, non più lungo di tre minuti, per il rispettivo campo di responsabilità, e per proporre ciò che dovremmo fare.

Don Kayman ricevette il messaggio da una macchina della polizia di Tonka: gli piombò alle spalle, con i fari che lampeggiavano e la sirena che urlava, e lo bloccò per ordinargli di tornare indietro e di andare all’appartamento di Roger.

Kayman bussò alla porta con una certa trepidazione, senza sapere cosa avrebbe trovato. E quando la porta si aprì per lasciare apparire gli occhi scintillanti di Roger, Kayman bisbigliò in fretta un’Ave Maria mentre cercava di sbirciare nell’appartamento… per cercare che cosa? Il cadavere smembrato di Dorrie Torraway? Lo sfacelo della devastazione? Ma non vide altro che Dorrie, raggomitolata su una poltrona, piangente. Quella scena quasi lo rallegrò, poiché si era preparato a ben peggio.

Roger lo seguì senza discutere. — Addio, Dorrie, — disse, e non attese una risposta. Faticò a sistemarsi a bordo della piccola auto di Don Kayman, ma le sue ali si ripiegarono. Spingendo indietro al massimo il sedile, riuscì ad accomodarsi, in una posizione precaria e rattrappita che sarebbe stata disperatamente scomoda per qualunque essere umano normale. Ma Roger, naturalmente, non era un essere umano normale. Il suo sistema muscolare accettava sovraccarichi prolungati in quasi tutte le posizioni che poteva assumere.

Tacquero fino a quando arrivarono nelle vicinanze del progetto. Poi Don Kayman si schiarì la gola. — Ci hai spaventati tutti.

— L’immaginavo, — rispose la voce inespressiva del cyborg. Le ali fremettero inquiete, strofinandosi l’una contro l’altra, come in un soffregarsi di mani. — Volevo vederla, Don. Per me era molto importante.

— Posso capirlo. — Kayman entrò nell’ampio parcheggio deserto. — E allora? — sondò. — Va tutto bene?

La maschera del cyborg si girò verso di lui. I grandi occhi compositi scintillavano come ebano sfaccettato, senza espressione, mentre Roger diceva: — Sei matto, padre Kayman. Come può andar bene?

Sulie Carpenter pensava con nostalgia al sonno, come avrebbe pensato a una vacanza sulla Costa Azzurra. Ma l’uno e l’altra, per il momento, erano egualmente impossibili. Prese due compresse di anfetamine e si fece un’iniezione di vitamina B-12 in un punto del braccio che aveva imparato a individuare molto tempo prima.

La simulazione del comportamento di Roger era stata compromessa quando la corrente era venuta meno, perciò dovette ricominciare da cima a fondo. Noi eravamo contenti che fosse così: ci offriva l’occasione di apportare qualche correzione.

Mentre Sulie Carpenter aspettava le risposte, fece un lungo bagno caldo in una vasca da idroterapia, e quando la simulazione fu completata la studiò scrupolosamente. Aveva imparato a leggere le enigmatiche lettere maiuscole ed i numeri per evitare gli errori di programmazione: ma questa volta non dedicò neppure un attimo al hardware e prese subito in esame la risposta finale in chiaro. Era eccezionalmente in gamba, nel suo lavoro.

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