Non era un tipo ammirevole. Comunque, era la miglior persona al mondo, quando si trattava di fare ciò che occorreva al cyborg: cioè fornire a Willy Hartnett una mediazione tra lo stimolo e l’interpretazione. Il che significava a un certo punto, tra l’oggetto esterno che il cyborg vedeva e le conclusioni che il suo cervello ne traeva, doveva esserci una fase in cui le informazioni superflue venivano eliminate. Altrimenti il cyborg sarebbe impazzito, molto semplicemente.
Per capire meglio, pensate alla rana.
Pensate alla rana come a una macchina funzionale, progettata per produrre girini. È la concezione darwiniana e in effetti costituisce il fulcro dell’evoluzione. Per riuscire al suo scopo, la rana deve vivere abbastanza a lungo per crescere e, se è femmina, per venire fecondata, o, se è maschio, per fecondare una femmina. Per crescere deve evitare di farsi mangiare.
Tra i vertebrati, la rana è un essere piuttosto stupido e semplice. Ha un cervello, ma non è molto grande né molto complesso. Nel cervello d’una rana non ci sono facoltà in eccesso, perciò non vengono sprecate per le cose superflue. L’evoluzione è sempre imperniata su precisi principi economici. Le rane maschio non scrivono poesie e non si arrovellano per paura che le loro rane femmine siano loro infedeli. E non ci tengono a pensare a cose che non interessino direttamente il mestiere di restar vive.
Anche l’occhio della rana è semplice. Negli occhi umani vi sono complessità che i ranocchi non conoscono. Supponiamo che un umano entri in una stanza dove c’è un tavolo su cui sta una bistecca con contorno di patatine fritte; anche se non è in grado di udire, non ha più né il senso del gusto né l’olfatto, è attratto dal cibo. Il suo occhio si volge sulla bistecca. Vi è un punto nell’occhio, chiamato «fovea», la parte con cui una persona vede meglio, ed è questo il punto che si orienta sul bersaglio. La rana non fa niente del genere: una parte del suo occhio è efficiente quanto una qualsiasi altra. O inefficiente quanto un’altra. Perché il particolare più interessante, per quanto riguarda la visuale di un occhio di rana è questo: di fronte a ciò che per il ranocchio equivale a una bistecca — cioè un insetto abbastanza grosso perché valga la pena di ingoiarlo, ma abbastanza piccolo da non essere pericoloso — il ranocchio stesso è in pratica cieco, a meno che il cibo non si comporti da cibo. Provate a circondarlo con il più nutriente dei patè d’insetti tritati che riuscite a ideare. Si lascerà morire di fame… a meno che passi di lì una coccinella.
Se si pensa però al modo in cui una rana mangia, questo strano comportamento comincia ad avere un senso. La rana occupa una precisa nicchia ecologica. Allo stato naturale, nessuno riempie quella nicchia di cibo tritato. La rana mangia insetti, e perciò vede insetti. Se nel suo campo visivo passa qualcosa che ha le dimensioni di un insetto e si muove alla velocità giusta per un insetto, la rana non sta a chiedersi se ha fame o no e quale insetto ha il miglior sapore. Lo mangia e basta. E poi si mette ad aspettare che ne passi un altro.
Nel laboratorio, questa è una caratteristica antisopravvivenza. Potete imbrogliare una rana con un brandello di stoffa, un pezzetto di legno legato a uno spago, qualunque cosa che si muova nel modo giusto e abbia la grandezza giusta. La rana lo mangerà, e morirà di fame. Ma in natura non esistono trucchi del genere: in natura soltanto gli insetti si muovono da insetti; e ogni insetto è cibo per le rane.
Non è un principio difficile da comprendere. Ditelo a un amico ingenuo e quello esclamerà: — Oh, sì, capisco. La rana ignora tutto ciò che non ha aspetto d’insetto. — Errore! La rana non si comporta affatto così. Non ignora l’oggetto non-insetto. Innanzi tutto, non li vede mai. Collegate il nervo ottico di una rana a uno strumento e poi fate rotolare lentamente una bilia: è troppo grossa, troppo lenta, e nessuno strumento capterà un impulso nervoso. Non c’è, infatti. L’occhio non si prende la briga di «vedere» ciò che alla rana non interessa. Ma fatele dondolare davanti una mosca morta, e i quadranti dell’apparecchio scatteranno: il nervo trasmette un messaggio, la lingua dell’anfibio guizza e cattura.
E così arriviamo al cyborg. Bradley aveva creato uno stadio di mediazione tra i complessi occhi di rubino e il dolente cervello umano di Willy Hartnett, che filtrava, interpretava e in generale preconfezionava tutti gli input visivi del cyborg. L’«occhio» vedeva tutto, persino nella parte ultravioletta dello spettro, persino nell’infrarosso. Il cervello non era in grado di occuparsi di un flusso così enorme di input. La fase di mediazione ideata da Bradley eliminava i bit privi d’importanza.
Quella fase era un trionfo della tecnica, poiché Bradley era effettivamente di un’efficienza straordinaria nell’unica cosa che sapeva fare bene. Ma non era presente per installare l’apparecchio. E quindi, poiché Brad aveva un appuntamento, e anche perché il presidente degli Stati Uniti doveva andare in bagno e due cinesi che si chiamavano Sing e Sun volevano assaggiare la pizza, la storia del mondo cambiò.
Jerry Weidner, che era l’assistente principale di Brad, sovrintendeva il processo lento e laborioso della risistemazione della vista del cyborg. Era un lavoro meticoloso e delicato. Come quasi tutte le cose che bisognava fare a Willy Hartnett, a Willy causò il massimo fastidio. I nervi sensibili delle palpebre erano già stati isolati da tempo: altrimenti gli avrebbero dato un dolore acutissimo, urlante, giorno e notte. Tuttavia, egli poteva sentire ciò che accadeva: se non come una sofferenza, almeno come la consapevolezza psichicamente inquietante che qualcuno stava insinuando strumenti affilati in una parte delicatissima della sua anatomia. La sua vista veniva mantenuta in «stand-by», perciò egli «vedeva» solo ombre vaghe in movimento. Era già abbastanza. Hartnett non lo sopportava.
Rimase disteso per un’ora o più mentre Weidner e gli altri provvedevano a cambiare i potenziali, prendevano nota delle letture, si parlavano con il linguaggio dei numeri, tipico dei tecnologi. Quando furono finalmente soddisfatti della forza del campo del suo sistema percettivo e gli permisero di alzarsi in piedi, all’improvviso per poco il cyborg non cadde. — Sssschifo, — ringhiò. — Mi gira ancora la tesssta.
Preoccupato e rassegnato, Weidner disse: — Bene, faremmo meglio a chiedere un controllo delle vertigini. — Vi fu quindi un altro indugio di trenta minuti, mentre la squadra degli specialisti dell’equilibrio controllava i suoi riflessi. Alla fine, il cyborg sbottò: — Crissto, piantatela. Possso sssstare sssu un piede sssolo per venti ore filate, che cosssa dimossstra? — Ma quelli lo fecero stare ugualmente ritto su un piede solo, misurando fino a che punto era in grado di accostare a un oggetto le punte delle dita, con la vista ancora in « stand-by».
Poi gli specialisti dell’equilibrio si dichiararono soddisfatti, ma Jerry Weidner no. Le vertigini si erano prodotte altre volte, e non era mai stata trovata la causa precisa: né nell’orizzonte meccanico innestato, né nelle rozze ossa naturali dell’orecchio, staffa e incudine. Weidner non sapeva che erano causate dal sistema di mediazione di cui era responsabile egli stesso: ma non sapeva neppure che non erano causate da quello. Non vedeva l’ora che Brad si decidesse a tornare da quel pranzo interminabile.
In quello stesso momento, dall’altra parte del mondo, c’erano i due cinesi che si chiamavano Sing e Sun. Non erano i protagonisti di una barzelletta oscena. Quelli erano i loro veri nomi. Il bisnonno di Sing era morto sulla bocca di un cannone russo dopo la fine della rivolta dei Boxer, che avevano cercato di scacciare dalla Cina i diavoli bianchi. Suo padre lo aveva generato durante la Lunga Marcia, ed era morto prima che lui nascesse, combattendo contro i soldati di un «Signore della Guerra» alleato di Ciang Kai-scek. Sing aveva quasi novant’anni. Aveva stretto la mano al compagno Mao, aveva deviato il corso del Fiume Giallo per ordine dei successori dello stesso Mao, e attualmente era il supervisore del più grande progetto d’ingegneria idraulica della sua carriera, in una città australiana che si chiamava Fitzroy Crossing. Quello era il suo primo lungo viaggio lontano dal territorio della Nuova Asia Popolare. Aveva tre ambizioni da soddisfare, in quel viaggio: vedere un film pornografico non censurato, bere una bottiglia di Scotch che venisse dalla Scozia e non dalla provincia popolare di Honshu, e assaggiare una pizza. In compagnia del suo collega Sun aveva cominciato piuttosto bene con lo Scotch, aveva scoperto dove poteva vedere il film e adesso era ansioso di assaporare la pizza.
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