Però nei musical degli anni Sessanta e Settanta c’era una bella quantità di alcol, anche se c’era poco ballo. Un padre marcio di gin in My Fair Lady , una squinzia marcia di gin in Oliver , un intero branco di minatori marci di gin in La ballata della città senza nome. E poi saloon, birra, whisky, liquoracci da due soldi, un Lee Marvin che crollava a terra sbronzo (il quale Marvin non sapeva né cantare né ballare, ma del resto non sapevano farlo nemmeno Clint Eastwood o Jean Seberg, e chi se ne frega? C’è sempre il doppiaggio). Gli anni Venti inzuppati di gin in un film di Lucilie Ball (che non sapeva nemmeno recitare; l’apice della depravazione), Mame.
E Alis come ballerina di fila in Addio mister Chips e Il boyfriend. Eseguiva la tapioca in Millie , sgambettava al ritmo di Put on Your Sunny Clothes in Hello Dolly! , in vestitino azzurro cielo e parasole.
Andai a Burbank. E magari il viaggio nel tempo era possibile. Erano trascorsi per lo meno due semestri, ma gli studenti erano ancora lì. E Michael Caine teneva la stessa lezione.
— Sono state prospettate molte ragioni per spiegare la fine del musical — stava intonando. — L’escalation dei costi di produzione, le complicazioni tecnologiche create dallo schermo panoramico, la scarsa fantasia negli allestimenti dei numeri. Ma la vera ragione è più profonda.
Io restai sulla soglia ad ascoltare il suo elogio funebre, mentre gli studenti prendevano rispettosi appunti sui loro palmtop.
— La morte del musical non è dovuta a catastrofi di regia e di cast, ma a cause naturali. Semplicemente, il mondo ritratto dal musical non esisteva più.
Il monitor che Alis aveva usato per provare era ancora lì, come le sedie ammonticchiate, solo che adesso ce n’erano molte di più. Michael Caine e gli studenti erano pigiati in uno spazio troppo stretto per una beguine, e le sedie non erano state mosse da un pezzo. Erano coperte di polvere.
— Il musical degli anni Cinquanta dipingeva un mondo di speranze innocenti e innocui desideri. — Caine borbottò qualcosa al computer, e apparve Julie Andrews, seduta sul fianco di una collina con chitarra e bambini assortiti. Strana scelta per la sua tesi dei “tempi più semplici”, visto che il film era stato girato nel 1965, l’anno dell’intervento americano in Vietnam. Per non parlare del fatto che era ambientato nel 1939, in piena era nazista.
— Erano tempi più solari, meno complicati, tempi in cui il lieto fine era ancora credibile.
Lo schermo mostrò Vanessa Readgrave e Franco Nero, circondati da soldati con torce e spade. Camelot. — Quel mondo idilliaco è morto, e con esso il musical hollywoodiano, che non risorgerà mai.
Aspettai che gli allievi fossero usciti e lui si fosse fatto la sua fiutata di neve, poi gli chiesi se sapesse dove fosse Alis, per quanto lo ritenessi inutile: lui non l’avrebbe mai aiutata, e l’ultima cosa di cui Alis potesse avere bisogno era qualcun altro pronto a ripeterle che il musical era morto.
Lui non se la ricordava nemmeno, neanche dopo che lo ebbi ammorbidito con la chocha , e si rifiutò di darmi l’elenco degli studenti che avevano seguito il corso con Alis. Potevo ottenerlo da Hedda, ma non volevo scatenare la sua commiserazione, farle pensare di essere impazzito. Charles Boyer in Angoscia.
Tornai alla mia stanza, tolsi da Carousel le bevute di Billy Bigelow e metà della trama, poi andai a letto.
Mezz’ora dopo il computer mi destò da un sonno profondo con un casino come quello del reattore di Sindrome cinese. Barcollai fino allo schermo e restai a sbattere le palpebre per cinque minuti buoni prima di rendermi conto che era il controlla-e-avverti. Quindi Sette spose non doveva più essere conteso. Mi occorse un altro minuto per capire quale comando dovessi dare.
Non si trattava di Sette spose. Si trattava di Fred Astaire, e la decisione della corte stava scorrendo sullo schermo: RICHIESTA DI PROPRIETÀ INTELLETTUALE RESPINTA, RICHIESTA DI FORMA D’ARTE NON RIPRODUCIBILE RESPINTA, RICHIESTA DI PROPRIETÀ SUL LAVORO ESEGUITO IN COLLABORAZIONE RESPINTA. Il che significava che gli eredi di Fred e la RKO-Warner dovevano avere perso, e che l’ILMGM, dove Fred aveva trascorso tanti anni a rimediare alle pecche di partner che non sapevano ballare, aveva vinto.
— Balla con me — dissi, e guardai iniziare la beguine esattamente come la ricordavo: stelle e pavimento lucido ed Eleanor in bianco, a fianco di Fred.
Non lo avevo mai guardato da sobrio. Avevo creduto che il silenzio, l’aria rapita, quella sensazione di immobile bellezza fossero effetto del klieg, ma non lo erano. Ballavano agili, leggeri, su un pavimento nero e lucido, con le mani che arrivavano appena a sfiorarsi, ed erano muti e immobili come la sera in cui ero rimasto a osservare Alis che li guardava. Erano la realtà del ballo.
E quel mondo innocuo, innocente, non era mai esistito. Nel 1940 Hitler bombardava a tappeto l’Inghilterra e deportava già ebrei sui carri bestiame. I dirigenti degli studios eseguivano manovre di corridoio contro la guerra e concludevano affari. Il vero Mayer dirigeva lo studio e le starlet si lasciavano scopare sul divano del produttore per una particina di cinque secondi. Fred ed Eleanor giravano cinquanta, cento ciak in uno studio caldo, senza aria, e tornavano a casa a mettere a mollo i piedi che sanguinavano.
Non era mai esistito quel mondo di pavimenti cosparsi di stelle e capelli illuminati da dietro e agili piroette, e il pubblico del 1940, guardandolo, sapeva che non esisteva. Ed era quello il suo fascino: non il fatto di riflettere “tempi più solari, meno complicati”, ma il fatto di essere impossibile. Il fatto di essere ciò che il pubblico desiderava e non avrebbe mai potuto avere.
Sullo schermo riapparve il leguleio. Il ricorso era già stato presentato, e io non avevo visto finire il numero, non lo avevo registrato su nastro o su disco.
Ma non importava. Quella era Eleanor, non Alis, e nonostante tutto ciò che potesse pensare Hedda, nonostante apparisse molto logico, non ero stato io a intervenire. Perché se lo avessi fatto, causa legale o no, avrei messo Alis lì, a ballare fianco a fianco con Fred, a girare la testa per rivolgergli quel sorriso deliziato.
SCENA DI MONTAGGIO: primissimo piano su uno schermo di computer. I titoli di testa si dissolvono l’uno nell’altro: South Pacific, Il trionfo della vita, Alla fiera per un marito, Musica indiavolata, L’allegra fattoria.
Dopo un po’ finii i film da guardare. Tornai a Hollywood Boulevard, ma nessuno si ricordava di lei e nessuno aveva un digitrasparente, a parte È Nata Una Stella, che aveva già chiuso con tanto di saracinesca. Le altre lezioni seguite da Alis erano state quelle sulla tecnologia della trasmissione via cavo a fibre ottiche, e la sua compagna di stanza, molto fatta, aveva l’impressione che Alis fosse tornata a casa.
— Ha messo tutto in valigia — disse. — Ha preso su tutta la roba che aveva, costumi e parrucche eccetera, e se n’è andata.
— Quanto tempo fa?
— Non so. L’altra settimana, mi sembra. Prima di Natale.
Parlai con la compagna di stanza cinque settimane dopo avere visto Alis in Sette spose. Al termine della sesta settimana avevo finito i musical. Non erano poi molti, e li avevo guardati tutti, fatta eccezione per quelli non disponibili per via di Fred. E di Ray Bolger, sul quale la Paramount chiese il copyright il giorno dopo la mia spedizione a Burbank.
La corte decise sul caso Russ Tamblyn, e così un bip mi svegliò nel cuore della notte per dirmi che qualcuno aveva ottenuto il diritto di stuprare e squartare Russ sul grande schermo. Richiamai la scena della costruzione del fienile e guardai anche West Side Story , per precauzione. Alis non c’era.
Читать дальше