— È stato bello vederti, April, ma penso che adesso farei meglio ad andare.
— Quanto tempo ti resta?
Alzandosi lui la fissò, scosso. — Non sto morendo, mamma.
— Per tutta la vita mio figlio ha lavorato per giungere al suo momento supremo. Ho la sensazione che sia arrivato, Verge.
— Queste sono sciocchezze, pura follia.
— Tu non hai fatto altro che dirmi cose folli, figliolo. Io non sono un genio, ma neppure una stupida. Hai affermato d’aver creato dei batteri intelligenti, e allora io ti dico questo… chiunque abbia disinfettato un gabinetto o pulito un secchio della spazzatura può rabbrividire all’idea di microbi che pensano. Cosa succederebbe se volessero combatterci, Verge? Rispondi questo alla tua vecchia mamma.
Non c’era nessuna risposta. Vergil non era neanche certo che il soggetto di quella discussione fosse in vita: tutto gli sembrava insensato. Ma avvertì una contrazione alla bocca dello stomaco.
Era già passato attraverso quel rituale, mettendosi nei guai e poi facendo visita a sua madre, a disagio e incerto, senza sapere neanche quale fosse precisamente il guaio. Con immancabile regolarità lei aveva sempre osservato la cosa da un altro punto di vista e identificato il suo problema, presentandoglielo in modo da farlo divenire inevitabile. Questo non era un servizio che riusciva a fargliela amare di più, ma la rendeva preziosa per lui.
Si fermò ad accarezzarle un braccio. Lei si volse e gli prese la mano fra le sue. — Vai via adesso?
— Sì.
— Quanto tempo ci resta, Vergil?
— Cosa? — Non capì cosa volesse dire realmente, ma d’un tratto gli occhi gli si riempirono di lacrime e fu scosso da un tremito.
— Ritorna da me, se puoi — disse lei.
Terrorizzato lui raccolse la valigetta, preparata la sera prima, corse giù per gli scalini fino alla Volvo, spalancò il baule e ve la gettò dentro. Aggirando l’auto batté malamente un ginocchio nel paraurti. La fitta di dolore gli salì lungo la gamba, poi rapidamente svanì. Sedette al volante e avviò il motore.
Sua madre era in piedi sulla porta della veranda, la gonna di seta che fluttuava nella lieve brezza mattutina, e dopo aver ingranato la marcia Vergil le fece un cenno con la mano. Normalità , pensò. Saluti tua madre. Parti.
Parti, sapendo che tuo padre non è mai esistito, e che tua madre è una strega. E questo cos’ha fatto di te?
Scosse il capo finché la vista non cominciò a confonderglisi, riuscendo in qualche modo a tenere l’auto in linea retta lungo la strada.
Una sottile cresta bianca si stagliava sul dorso della sua mano sinistra, come una cordicella appiccicata all’epidermide con del muco.
Un insolito temporale estivo aveva lasciato il cielo striato di nuvole, l’aria fresca, e la finestra della camera da letto dell’appartamento rigata di gocce d’acqua. La risacca del mare si udiva anche da quattro isolati di distanza: un mormorio intercalato dallo scrosciare dei cavalloni. Vergil sedeva davanti al suo computer, il palmo di una mano poggiato sul bordo della tastiera, le dita chiuse. Sul VDT una molecola di DNA roteava e si evolveva, circondata da una nebbia proteica. Piccoli lampi sulla struttura a doppia elica di zuccheri e fosfati indicavano le rapidissime intrusioni degli enzimi, che si disseminavano nei punti in cui la molecola codificava con essi. Una colonna di cifre scorreva lungo il bordo inferiore dello schermo. Gli occhi di lui le fissavano senza troppa attenzione.
Avrebbe dovuto parlare al più presto con qualcuno. Qualcuno che non fosse sua madre, e certo non Candice. La ragazza s’era trasferita da lui una settimana dopo il suo ritorno da Livermore, e ora si incaricava dei lavori domestici e di preparargli i pasti con ferma decisione.
A volte uscivano a far compere insieme, cosa che li divertiva. A Candice piaceva aiutare Vergil nella scelta dei vestiti più alla moda, e lui la lasciava fare, anche sapendo che la cosa intaccava il suo già scarso conto in banca.
Quando la ragazza gli faceva domande su cose che a lei non piacevano, i suoi silenzi si facevano sempre più prolungati. Si meravigliava che lui insistesse per fare all’amore al buio.
Suggeriva che andassero alla spiaggia, ma Vergil cambiava discorso.
Si preoccupava per tutto il tempo che lui trascorreva sotto le nuove lampade che aveva comprato.
— Verge? — Candice apparve sulla porta della camera da letto, vestita con un abito aderente ricamato di rose.
— Non chiamarmi così. È già abbastanza che lo faccia mia madre.
— Scusa. Abbiamo deciso di andare a cavalcare al parco degli animali. Ricordi?
Vergil si poggiò un dito sui denti e mordicchiò l’unghia. Parve non averla affatto udita.
— Vergil?
— Non mi sento molto bene.
— Non esci mai. Ecco perché.
— In questo momento mi sento bene — disse lui, girando la sedia. La fissò, senza offrirle una spiegazione a quella frase.
— Be’, non ti capisco.
Le indicò lo schermo. — Non hai mai lasciato che te lo spiegassi.
— Perché ti arrabbi quando io non capisco. — Candice s’imbronciò.
— È più di quanto io abbia mai creduto possibile.
— Che cosa, Vergil?
— Le concatenazioni. Le combinazioni. La forza.
— Per favore, sii chiaro.
— Sono in trappola. Sedotto, ma non abbandonato.
— Io non ti ho esattamente sedotto…
— Non tu, dolcissima — disse distrattamente lui. — Non tu.
Candice si accostò al tavolo cautamente, quasi che lo schermo potesse mordere. I suoi occhi erano un po’ persi nel vuoto e si mordicchiava il labbro inferiore. — Tesoro…
Lui stava annotando le cifre che apparivano sul VDT.
— Vergil.
— Mmh?
— Hai fatto qualcosa sul lavoro? Voglio dire prima che tu lo lasciassi, prima che ci incontrassimo.
Lui rialzò il capo, girandosi a fissarla dolcemente.
— Ad esempio coi computer? Ti è preso un attacco di follia e hai spremuto i loro computer?
— No — ghignò lui. — Non ho spremuto niente. Ho spremuto un po’ loro, forse, ma niente che possano mai scoprire.
— Perché ho conosciuto un tipo, una volta. Aveva fatto qualcosa di illegale e cominciò a comportarsi stranamente. Non usciva di casa e non parlava molto. Proprio come te.
— E che aveva fatto? — chiese Vergil, seguitando ad annotare cifre.
— Aveva rapinato una banca.
La sua penna s’immobilizzò. Sollevò gli occhi. Candice stava piangendo.
— Io gli volevo bene e quando l’ho scoperto ho dovuto lasciarlo — disse la ragazza. — È che non posso vivere con uno che fa queste cose.
— Non preoccuparti.
— Ero già sul punto di lasciarti, poche settimane fa — continuò lei. — Pensavo che quello che potevamo fare insieme, tu e io, lo avevamo già fatto, e che non c’era altro. Ma questo era idiota. Non avevo mai incontrato uno come te. Tu eri… pazzo. Pazzo simpatico, non un pazzo con la testa cattiva come altri che ci sono in giro. E ho pensato che se avessimo potuto capirci veramente questo sarebbe stato meraviglioso. Ti sono stata ad ascoltare quando mi spiegavi qualcosa, perché forse avresti potuto insegnarmi un po’ di biologia e di elettronica. — Accennò allo schermo. — Potrei cercare di ascoltarti. Mi piacerebbe, sul serio.
La bocca di Vergil si aprì lentamente. La richiuse di colpo e fissò lo schermo, sbattendo le palpebre più volte.
— Ho capito che ti amavo. Quando sei andato a casa di tua madre. Non è strano?
— Candice…
— E se tu avessi fatto qualcosa di davvero brutto questo ferirebbe me adesso, non te. — Si fece indietro coi pugni premuti alla base del collo, come se si stesse colpendo da sola, lentamente.
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