Greg Bear - L'ultima fase

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L'ultima fase: краткое содержание, описание и аннотация

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Vergil Ulam, brillante ricercatore dei Genetron Labs, sta lavorando segretamente ad un esperimento che promette risultati sensazionali, e cioè la produzione di nuclei intelligenti di materia cellulare, capaci di evolversi e di apprendere con straordinaria rapidità. Ma quando Ulam infrange le norme di sicurezza del laboratorio e viene licenziato, si rifiuta di distruggere il frutto delle sue ricerche, come gli è stato ordinato, e decide invece di iniettarsi nel sangue le colonie cellulari, e diventare così egli stesso la cavia di un nuovo straordinario esperimento. Ma sarà il primo di un incredibile processo di mutazione e trasformazione, i cui limiti non sono facilmente immaginabili, perché infatti è subito chiaro che questa forma di intelligenza virale può assorbire e riplasmare qualsiasi materia vivente. Un’epidemia assolutamente inattaccabile, un vero e proprio universo di miliardi di cellule senzienti in frenetica espansione, che lentamente inghiottono l’America del Nord, trasformandola in uno scenario “alieno” che suscita al tempo stesso orrore e meraviglia. Ma si può parlare di catastrofe? O non è piuttosto un nuovo gradino nella scala dell’evoluzione? E che ne sarà dell’umanità, letteralmente trasfigurata da questi microscopici organismi che rappresentano una nuova dimensione di ciò che si può concepire come “vita”?
Nominato per il premio Nebula in 1985.
Nominato per i premi Hugo, Campbell e BSFA in 1976.

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— Io non voglio fare del male a nessuno — disse Vergil.

— Lo so. Non è questa la tua intenzione.

— Potrei spiegarti tutto, se solo sapessi cosa sta succedendo a me. Ma non lo so. Non ho fatto nulla per cui potrebbero mettermi in prigione. Nulla d’illegale. — Salvo falsificazioni di documenti e registrazioni.

Non puoi farmi credere che niente ti preoccupa. Perché non possiamo parlarne? — Andò a prendere una seggiola pieghevole nel bagno e la aprì, poggiandola a un paio di metri dal tavolo, poi sedette con le ginocchia compostamente unite.

— Ho detto sul serio. Non so cosa sia.

— Hai fatto qualcosa… a te stesso? Voglio dire, hai preso qualche malattia in quel laboratorio, o qualcosa del genere? Ho sentito dire che succede, e che medici e scienziati lavorando con le malattie a volte si contagiano.

— Tu e mia madre — sospirò lui, scuotendo il capo.

— Siamo preoccupate. Pensi che conoscerò tua madre?

— Per qualche tempo probabilmente no.

— Mi spiace che… — Lei si morse le labbra. — Voglio soltanto che esista la sincerità fra noi.

— Questo è giusto — annuì lui.

— Vergil?

— Sì?

— Tu mi ami?

— Sì — disse lui, e fu sorpreso nel sentire che era vero, anche se non aveva distolto gli occhi dallo schermo.

— Perché?

— Perché siamo molto simili — le disse. Non era del tutto certo di come fosse giunto a quella conclusione; forse perché entrambi portavano il marchio dei falliti, o di coloro che comunque non sarebbero mai emersi… il che per Vergil era l’equivalente del fallimento.

— Oh, andiamo!

— Sul serio. Forse tu non te ne sei accorta.

— Io non sono intelligente come te, questo è certo.

È questo ciò che stanno scoprendo quei minuscoli globuli bianchi? La sofferenza legata all’intelligenza, alla necessità di sopravvivere?

— Ti va di fare un giro in macchina oggi? Potremmo fermarci da qualche parte per un picnic. C’è il pollo freddo avanzato da ieri sera.

Lui annotò l’ultima colonna di cifre e capì che ora sapeva quello che aveva desiderato conoscere. I linfociti potevano senz’altro trasmettere la loro struttura biologica ad altri tipi di cellule.

Avevano modo di fare facilmente ciò che aveva sospettato gli stessero facendo.

— Sì — disse. — Un picnic sarebbe favoloso.

— E poi, quando saremo tornati… con le luci accese?

— Perché no? — Lei avrebbe dovuto sapere, prima o poi. E lui avrebbe trovato qualche scusa per spiegare il reticolo di linee bianche. Le creste sporgenti e mucose s’erano appiattite fin da quando aveva cominciato a irradiarle con le lampade UV, un piccolo favore di cui ringraziava Iddio.

— Ti amo — disse lei, immobile sulla sedia e continuando a guardarlo.

Lui registrò nella memoria elettronica la grafica e i calcoli, e spense il computer. — Te ne sono grato — disse sottovoce.

PROFASE

OTTOBRE-DICEMBRE

IX

Irvine, California

Erano trascorsi due anni dall’ultima volta che Edward Milligan aveva visto Vergil. Adesso stentava a riconoscere il giovanotto abbronzato ed elegante che veniva sorridendo verso di lui. Il giorno prima s’erano accordati telefonicamente di pranzare insieme, dandosi appuntamento nel bar degli impiegati al nuovo Mount Freedom Medical Center di Irvine, davanti alla larga porta d’ingresso.

— Vergil! — Edward gli strinse la mano e poi gli girò attorno, esibendo un’esagerata espressione di meraviglia. — Dico, sei proprio tu?

— È un piacere rivederti, Edward. — Gli batté una mano su una spalla con energia. Aveva perso una dozzina di chili, e ciò che restava sembrava assai ben proporzionato. Alla scuola di medicina Vergil era stato un goffo e dinoccolato ragazzone senza il minimo gusto per i vestiti, che non si pettinava mai e propinava ai compagni di camera punch che rendevano azzurre le loro urine. E non aveva mai avuto un appuntamento salvo che con Eileen Termagant, la quale condivideva alcune delle sue caratteristiche fisiche.

— Hai un aspetto fantastico — disse Edward. — Hai trascorso l’estate a Cabo San Lucas?

Si misero in fila al bancone del self-service e cominciarono a riempirre i loro vassoi. — L’abbronzatura — disse Vergil prendendo un cartone di latte al cioccolato — è frutto di tre mesi sotto una lampada solare. Dall’ultima volta che ci siamo visti mi si sono raddrizzati i denti.

Edward lo scrutò da vicino e gli sollevò un labbro con la punta di un dito. — Li avevi storti, già. Ma sono ancora decolorati.

— Sì — annuì Vergil. Si passò una mano sulle labbra e fece un sospiro. — Be’, ti spiegherò anche il resto, ma è meglio cercare un posto dove si possa parlare in privato, o senza attrarre l’attenzione di nessuno.

Edward lo precedette verso l’angolo dei fumatori, dove tre appassionati della pipa avevano fatto il vuoto intorno a sei tavoli. — Sul serio mi stupisci — disse, mentre trasferivano sul piano di fòrmica il contenuto dei vassoi. — Sei cambiato. Non ti ho mai visto così in forma.

— Sono cambiato più di quel che credi — confessò Vergil in tono cupo da film dell’orrore, inarcando un sopracciglio per incrementare l’effetto. — Come sta Gail?

— Bene. Ci siamo sposati un anno fa.

— Ehi, congratulazioni! — Vergil abbassò un attimo lo sguardo sui suoi piatti: fette di ananas, formaggio di campagna e un pezzo di torta di banana alla crema. — Non noti altro in me? — chiese, con un filo di tensione nella voce.

Edward lo osservò attentamente. — Uh!

— Guardami bene.

— Non ne sono certo. Be’, sì. Non hai gli occhiali. Lenti a contatto?

— No. Non ho più bisogno di lenti.

— E sei un figurino. Chi è che ti sceglie i vestiti? Spero che sia carina quanto ha buon gusto.

— Candice — annuì lui, col suo vecchio e familiare sogghigno autodeprecatorio. Ma negli occhi ebbe un lampo di strana malizia. — Sono stato licenziato. Quattro mesi fa. Adesso vivo sulle spese.

— È dura — disse Edward. — Ma questo è un mondo duro. Perché non me lo racconti dal principio? Avevi un lavoro. Dove?

— Ultimamente ero alla Genetron, nella Enzyme Valley.

— A nord della Torrey Pine Road?

— Proprio lì. Un posto infame. E ne sentirai parlare presto. Stanno producendo materiale a spron battuto, e invaderanno il mercato. Si sono dedicati ai MAB, con successo.

— Biochip?

Lui annuì. — Ne hanno alcuni che funzionano.

— Cosa? — Edward lo fissò stupito.

— Circuiti logici microscopici. Tu li inietti nel corpo di un malato, e loro mettono su bottega nei punti predeterminati. Il tutto con l’approvazione del Dr. Michael Bernard.

Le sopracciglia di Edward balzarono all’insù. — Gesù, Vergil! Bernard è quasi un santo, oggi. È stato sulla copertina di Mega e di Rolling Storie neanche due mesi fa. Perché mi dici tutto questo?

— Si suppone che sia ancora un segreto… il progetto, il colpo a sorpresa sul mercato e il resto. Ma io ho qualche contatto alla Genetron. Conosci Hazel Overton?

Edward scosse il capo. — Dovrei?

— Probabilmente no. Penso che detesti a morte i miei metodi. D’altra parte ha per me una specie di astioso rispetto. Due mesi fa mi ha dato un colpo di telefono e mi ha chiesto se volevo far pubblicare a mio nome un suo studio sul fattore-F nei geni dell’ E. Coli. - Si guardò attorno e abbassò la voce. — Tu puoi fare quel che diavolo credi. Ma io voglio tirare lo sgambetto a quei bastardi.

Edward fischiò fra i denti. — Vuoi farmi arricchire, eh?

— Se è questo ciò che desideri. Oppure puoi starmi ad ascoltare un momento, prima di correre dal tuo agente a dirgli su quali azioni buttarsi.

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