Clifford Simak - L'anello intorno al sole

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Al principio sono modeste bottegucce, sparse qua e là per l’America, che vendono oggetti d’uso comune, lampadine, lamette, accendisigari. La gente passa, legge il cartellino che ne vanta la durata eterna, e sorride. Ma poi, incuriosita, entra. Il prezzo è bassissimo, perché non provare? E a migliaia, a milioni, le lampadine e le lamette eterne cominciano a diffondersi, seguite dalle automobili eterne, dalle case prefabbricate eterne, dagli indumenti eterni... Di colpo, tutto il mondo industriale si trova sull’orlo del collasso, i governi sono presi dal panico, il sistema economico internazionale sta per saltare. Chi sono i misteriosi fabbricanti? Cosa si nasconde dietro questa incredibile operazione commerciale? Un gruppo operativo segreto, formato dai massimi cervelli della politica, della scienza, dell’economia, viene incaricato di scoprire il nemico e combatterlo con qualsiasi mezzo. E questi uomini disperati, con le spalle al muro, hanno l’idea di convocare uno scrittore niente affatto celebre, che vive in campagna, e di fargli una proposta giornalistica niente affatto stravagante. Sembra un po’ poco come contromisura: non c’è libro o inchiesta che possa capovolgere la situazione, a questo punto. A meno che lo scrittore non sia affatto quello che sembra, che il suo mestiere sia soltanto una facciata, che la sua vera identità si nasconda tra le strisce colorate di una vecchia trottola che gira all’infinito, verso l’infinito, dentro l’infinito.

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Ann avrebbe chiamato tra dieci minuti. Ciò che sarebbe accaduto entro i prossimi dieci minuti avrebbe deciso del successo o del fallimento.

Non del successo o del fallimento di tutto, pensò Vickers. Ci sarebbero state altre strade, certamente. Ma sarebbero state più dure… più difficili. Loro avevano di fronte una resistenza fatta di mutanti, ed era una resistenza dura e implacabile e rabbiosa, e quello che sarebbe scaturito avrebbe creato una catastrofe, e molto sarebbe andato perduto. Per questo lui voleva riuscire.

Dieci minuti, per qualcosa che i mutanti avevano previsto, qualcosa che era stato preparato in vista di una crisi, e la crisi era venuta, e adesso la soluzione era nelle sue mani, nelle mani di Vickers. Tre androidi… Jay Vickers, Ann e il vecchio Flanders, e un destino che era stato preparato, e dieci minuti soltanto avrebbero deciso la situazione.

Crawford si fermò davanti alla porta, in fondo al corridoio.

«Sa quello che sta facendo, Vickers?»

Non gli era nuova, quella domanda.

Vickers annuì.

«Perché,» continuò Crawford, «basterà un minimo errore, e…» sibilò tra i denti, passandosi un dito sotto la gola.

«Capisco perfettamente,» disse Vickers.

«Gli uomini che si trovano là dentro sono disperati. Ha ancora il tempo di andarsene. Non dirò loro che è venuto qui. È il massimo che io possa fare per proteggerla, Vickers.»

«La smetta di temporeggiare, Crawford.»

«Un momento. Cos’ha lì?»

«È un documentario,» disse Vickers. «Servirà a spiegare meglio quanto ho da dire. Ha un proiettore, là dentro?»

«Quale tipo di proiettore?»

«Un proiettore normale. Non occorrono apparecchiature speciali.»

«Abbiamo molti tipi di proiettori. Mi faccia vedere.»

Sospettoso, quasi temendo un trucco, Crawford osservò per un momento la pizza. Poi annuì, brevemente

«Sì, abbiamo il proiettore. Ma non abbiamo l’operatore.»

«Farò funzionare io stesso l’apparecchio,» disse Vickers. «Ne avrei portato uno io stesso, ma temevo che lei diffidasse… temendo qualche trucco dei mutanti.»

«Lei dice che c’è una proposta di accordo?»

«Una soluzione, Crawford. Una soluzione.»

Crawford non impiegò molto tempo a prendere una decisione.

«Benissimo, allora. Entri.»

Le veneziane erano abbassate, la stanza era immersa nella penombra, e il lungo tavolo intorno al quale sedevano gli uomini presentava una fila di volti bianchi girati verso di loro.

Vickers seguì Crawford attraverso la stanza, camminando sui folti tappeti. Guardò gli uomini seduti intorno al tavolo, e molti di loro erano personaggi pubblici, volti famosi che nessuno poteva ignorare.

Alla destra di Crawford, ora, c’era un banchiere, uno degli uomini che decidevano le sorti dell’economia del mondo, e oltre questo un uomo che veniva spesso chiamato alla Casa Bianca e incaricato di missioni semidiplomatiche per le quali nessun diplomatico di carriera sarebbe mai stato prescelto. E c’erano anche altri che riconobbe, e molti altri che non riconobbe affatto, e alcuni indossavano gli abiti tipici di altri paesi.

Quello, dunque, era il consiglio direttivo della North American Research: della North American Research, e delle organizzazioni che avevano altri nomi, in altri paesi, ma che facevano sempre capo a essa. Quelli erano gli uomini che guidavano il destino dei normali contro la minaccia dei mutanti… gli uomini che i mutanti non potevano raggiungere, gli uomini che implacabilmente difendevano il genere umano dalla minaccia di sopraffazione e di estinzione, gli uomini che si credevano neanderthalensi armati di clava, pronti a combattere l’impari battaglia contro i mutanti armati di lance e di fuoco e di intelligenza superiore.

Quelli erano i disperati di Crawford.

La figura di Crawford era imponente, anche in quella vasta sala. Egli prese la parola:

«È accaduta una cosa strana e inaspettata, signori,» disse. «Una cosa veramente molto strana. Abbiamo un mutante tra noi.»

In silenzio, i volti sbiancati si girarono verso Vickers, esprimendo confusi sentimenti… curiosità, avversione, sgomento, sorpresa… ma soprattutto disperazione, una disperazione fredda che brillava sui loro volti come la luce delle stelle palpitava nel cielo sereno. Lo fissarono, poi distolsero lo sguardo, e Crawford riprese a parlare.

«Il signor Vickers,» proseguì, «è una nostra vecchia conoscenza, una conoscenza di una certa importanza. Ricorderete che abbiamo già discusso di lui. Un tempo avevamo la speranza che lui potesse aiutarci a riconciliare le posizioni contrastanti dei due rami nei quali si è scisso il genere umano. Era una speranza motivata, che si rivelò poi superata dagli avvenimenti.

«Ora il signor Vickers è venuto qui spontaneamente, e mi ha fatto capire di avere portato con sé, forse, una possibilità di soluzione. Non mi ha detto quale possa essere la soluzione, perciò l’ho condotto qui. Sta a voi, naturalmente, decidere se volete ascoltare quanto ha da dire.»

La reazione fu immediata.

«Ma certo,» disse uno. «Lasciatelo parlare.»

E un altro;

«Con piacere.»

Molti altri annuirono, approvando. Ci fu un brusio diffuso, che si calmò quasi subito.

Crawford si rivolse a Vickers:

«Le do la parola.»

Vickers andò a capotavola, pensando: Fin qui, tutto bene. Adesso deve funzionare anche il resto. Non devo commettere errori. Debbo farcela. Perché non c’erano vie di mezzo: o vinceva o perdeva. E giunti a questo punto, non c’erano neppure possibilità di tirarsi indietro.

Posò l’astuccio del filmato sul tavolo, sorrise, e disse:

«Questa non è un’arma infernale, signori. È un film che, con il vostro permesso, vi mostrerò tra poco.»

Nessuno di loro rise. Rimasero seduti a guardarlo, e le loro facce erano indecifrabili, ma lui poteva sentire il gelo del loro odio che lo avvolgeva, che pareva un’entità fisica presente nell’aria. Non c’era bisogno delle doti dei telepati per capire perché lo odiavano. E per capire anche le ragioni di quel loro odio.

«Voi state per scatenare una guerra,» disse. «Vi siete riuniti qui per decidere se potete aprire il rubinetto…»

Le facce bianche parvero protendersi tutte verso di lui.

Uno di loro disse:

«Vickers, lei è un coraggioso, oppure è uno stupido.»

«Sono venuto qui,» disse Vickers, senza curarsi dell’interruzione, «per porre fine alla guerra prima che incominci.»

Si frugò in tasca, e con un movimento rapido estrasse la mano e gettò sulla tavola un oggetto.

«È una trottola,» disse. «Ci giocano i bambini… o ci giocavano. Voglio parlarvi un poco di una trottola.»

«Una trottola?» fece qualcuno. Cos’è questa sciocchezza?»

Ma il banchiere che si trovava alla sua destra disse, in tono che si manteneva freddo, ma nel quale vibrava un sottofondo di ricordi:

«Una trottola. Io ne avevo una così, da bambino. Non ne fabbricano più. Non ne ho più viste da anni.»

Allungò la mano, raccolse la trottola, e la fece girare sul piano lucido del tavolo. Gli altri allungarono il collo per guardarla.

Vickers diede un’occhiata all’orologio. Tutto secondo la tabella di marcia. E adesso, se non succedeva niente…

«Qualcuno, tra voi, può associare l’idea della trottola a qualcosa di più vicino nel tempo, e di più concreto,» disse. «Lei ricorda la trottola, Crawford? Quella che era nella mia stanza, quella notte?»

«La ricordo,» disse Crawford.

«Lei la fece girare, e la trottola sparì,» disse Vickers.

«E poi ricomparve.»

«Crawford, perché la fece girare?»

Crawford s’inumidì le labbra, nervosamente.

«Non so perché. Forse è stato un tentativo di recuperare l’infanzia, l’impulso di ritornare bambino.»

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