Arthur Clarke - La città e le stelle

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Diaspar, un’immensa metropoli del futuro. Una superciviltà arrivata all’ultimo stadio dello sviluppo. Un pianeta deserto, ostile, «proibito»: è in questo scenario che si muove Alvin, il giovane eroe di questo romanzo che resta fra i più celebri di Clarke. La domanda che lo ossessiona é: come riscoprire l’antico segreto della razza umana? Come uscire dal labirinto sotto vetro e tornare al volo spaziale?

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La filosofia di quella gente era così in antitesi con quella di Diaspar che Alvin non ci si raccapezzava. Perché si doveva accettare di morire quando c’era la possibilità di vivere per migliaia di anni e poi di restare in letargo per qualche altro millennio, preparandosi a rinascere per vivere in quel mondo che si aveva contribuito a creare? Era ben deciso a risolvere quel mistero non appena gli fosse capitata l’occasione di discuterne con franchezza. Gli era difficile credere che Lys avesse fatto di sua volontà quella scelta, sapendo che esisteva un’alternativa.

Trovò parte della risposta tra i bambini, quelle piccole creature più strane degli animali. Trascorse gran parte del suo tempo in mezzo a loro, osservandoli giocare o prendendo parte ai loro giochi. Certe volte non gli sembravano nemmeno umani con quella loro logica e perfino quel linguaggio così particolari. Guardava incredulo gli adulti, chiedendosi come era possibile che fossero stati prima simili a quelle straordinarie creature che parevano passare la vita in un mondo loro proprio.

Eppure, anche quando lo sconcertavano, facevano nascere nel suo cuore un sentimento che lui non aveva mai conosciuto. Quando, come accadeva a volte, scoppiavano in lacrime di delusione o di rabbia, i loro piccoli crucci gli sembravano più tragici della reclusione dell’Uomo. La perdita dell’Impero Galattico era qualcosa di troppo grande e di troppo remoto per la comprensione di oggi, mentre il pianto di un bambino faceva male al cuore.

Alvin aveva incontrato l’amore a Diaspar; ora stava imparando qualcosa di altrettanto prezioso, senza il quale l’amore stesso non avrebbe mai potuto raggiungere il suo più alto appagamento, ma avrebbe dovuto rimanere incompleto per sempre. Stava imparando la tenerezza.

Mentre Alvin studiava Lys, Lys studiava Alvin e ne era piuttosto soddisfatta. Tre giorni dopo, Seranis propose all’ospite di visitare il resto del territorio. Alvin accettò con entusiasmo, a condizione che non pretendessero di farlo cavalcare su uno di quegli scalpitanti animali.

«Vi assicuro» rise Seranis, divertita «che nessuno si sognerebbe di rischiare una di quelle preziose bestie. Dato il caso eccezionale, vi offrirò il più comodo dei nostri mezzi di trasporto. Hilvar vi farà da guida, ma potrete andare dove volete.»

Alvin fece le sue brave riserve su questo. Sapeva che, se avesse tentato di ritornare in cima alla collina dalla quale era arrivato, avrebbe incontrato parecchie obiezioni. Comunque, per il momento non aveva fretta di ritornare a Diaspar e, per la verità, dopo il primo incontro con Seranis non aveva più pensato al problema. La vita a Lys era nuova e interessante, e per il momento Alvin si accontentava di vivere alla giornata.

Apprezzò il gesto di Seranis, che gli aveva offerto suo figlio come guida anche se dovevano aver certamente dato a Hilvar l’incarico di badare che non si cacciasse in qualche guaio. C’era voluto un po’ di tempo perché Alvin si abituasse a Hilvar, per una ragione che non avrebbe potuto confessare senza ferire i sentimenti dell’altro. La perfezione fisica era così universale a Diaspar, che la bellezza personale era una qualità priva di valore e nessuno ci faceva caso. A Lys le cose erano diverse. L’attributo più lusinghiero che poteva essere usato per Hilvar era «un tipo alla buona». Secondo i concetti di Alvin, Hilvar era decisamente brutto, tanto che all’inizio l’aveva evitato. Se anche Hilvar se n’era accorto, non l’aveva dato a vedere, e dopo non molto il suo carattere dolce e cordiale spezzò la barriera sorta tra loro.

Ben presto Alvin doveva fare una tale abitudine al largo sorriso di Hilvar, alla sua forza e alla sua simpatia, da non poter più capacitarsi del perché l’avesse trovato repellente, e da non volerlo cambiare per nessun motivo.

I due lasciarono Airlee poco dopo l’alba, in un piccolo veicolo che Hilvar chiamava vettura e che era basato sullo stesso principio di quello che aveva trasportato Alvin da Diaspar. Fluttuava nell’aria a pochi centimetri dal suolo, e sebbene non esistesse alcun segno di binario, Hilvar spiegò che le vetture potevano seguire solo determinati percorsi. Tutti i centri abitati erano legati tra loro in quel mondo, ma durante la sua intera permanenza a Lys, Alvin non vide un solo veicolo terrestre in funzione.

Hilvar ci teneva alla spedizione quasi quanto Alvin; e s’era dato un gran daffare per organizzare i preparativi. Aveva stabilito l’itinerario tenendo cura di certi suoi interessi particolari. La storia naturale era la sua grande passione. Sperava di scoprire insetti sconosciuti nelle regioni poco abitate che aveva intenzione di visitare. Aveva stabilito che sarebbero andati a sud finché la macchina li avesse portati, e poi avrebbero proseguito a piedi.

Alvin, senza rendersi conto di ciò che questo implicava, non mosse obiezioni. Nel loro viaggio li accompagnava anche Krif, il più spettacolare degli animali di Hilvar. Quando Krif riposava, le sei ali trasparenti stavano ripiegate lungo il corpo facendolo somigliare a uno scettro ricoperto di gioielli. Quando veniva disturbato, si alzava nell’aria con un fremito di colori. Il grosso insetto rispondeva quando veniva chiamato e obbediva a certi semplici ordini, ma era quasi totalmente senza cervello. Tuttavia aveva una sua personalità definita, e per qualche ragione particolare era sospettoso di Alvin, tanto da rendere inutile ogni tentativo di farglisi amico.

Il viaggio attraverso Lys pareva ad Alvin come un sogno. La macchina, silenziosa come un fantasma, si apriva la via nei boschi senza mai deviare dal suo invisibile binario. Andava dieci volte più in fretta di un uomo a piedi; raramente, a Lys, la premura esigeva maggiore velocità.

Oltrepassarono parecchi villaggi, alcuni più grandi, ma quasi tutti simili ad Airlee. Alvin stava attento a cogliere le leggere ma significative differenze degli abiti, e un poco anche dei caratteri somatici, che c’erano tra una comunità e l’altra. Lys si componeva di centinaia di culture distinte, ciascuna delle quali apportava un suo talento particolare alla società. Il veicolo era abbondantemente provvisto del più famoso prodotto di Airlee: delle piccole pesche gialle che venivano sempre ricevute con gioia ogni volta che Hilvar le distribuiva.

Hilvar si fermava spesso per chiacchierare con amici e presentarli ad Alvin, e ogni volta Alvin restava impressionato dalla cortesia che usavano verso di lui, ricorrendo al linguaggio parlato non appena venivano a sapere chi fosse. A volte doveva essere noioso per loro ma, da quanto poteva giudicare, riuscivano sempre a resistere alla tentazione di comunicare telepaticamente, e lui non si sentì mai escluso dalla conversazione. La sosta più lunga avvenne in un paesino seminascosto da un’alta erba dorata che ondeggiava dolcemente al vento, al di sopra delle loro teste. Avanzando venivano continuamente colpiti dagli steli che ondeggiavano sopra di loro. In un primo momento fu irritante, perché Alvin aveva la sensazione che l’erba si piegasse per osservarlo, poi ci si abituò.

Alvin scoprì ben presto la ragione della fermata. Tra la piccola folla che si era fatta incontro alla vettura c’era una timida ragazza bruna che Hilvar presentò come Nyara.

Nyara e Hilvar erano evidentemente felici di vedersi, e Alvin provò un po’ d’invidia per quella gioia a lui sconosciuta. Hilvar era combattuto fra i suoi doveri di guida e il desiderio di restare solo con Nyara; Alvin lo salvò subito dalla difficile situazione allontanandosi per una passeggiatina. Non c’era molto da vedere nel villaggio, ma il giovane fece di tutto per perdere tempo.

Quando si rimisero in cammino, avrebbe voluto fare a Hilvar molte domande. Non riusciva a immaginare come potesse essere l’amore in una società telepatica. Prese il coraggio a due mani e affrontò l’argomento. Hilvar lo accontentò di buon grado, sebbene Alvin avesse il sospetto di avergli fatto interrompere un tenero e prolungato scambio di addii mentali.

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