Arthur Clarke - La città e le stelle

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Diaspar, un’immensa metropoli del futuro. Una superciviltà arrivata all’ultimo stadio dello sviluppo. Un pianeta deserto, ostile, «proibito»: è in questo scenario che si muove Alvin, il giovane eroe di questo romanzo che resta fra i più celebri di Clarke. La domanda che lo ossessiona é: come riscoprire l’antico segreto della razza umana? Come uscire dal labirinto sotto vetro e tornare al volo spaziale?

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L’improvvisa e irrazionale paura venne lentamente rimpiazzata da un profondo e più fondato allarme. Fino a quel momento Khedron non aveva mai dato un grande valore a quelle che potevano essere le conseguenze dei suoi atti. La sua stessa curiosità e la lieve ma vera simpatia che provava per Alvin erano state un motivo sufficiente per fare tutto ciò che aveva fatto. Anche se aveva dato il suo incoraggiamento e il suo aiuto ad Alvin, non aveva mai creduto che sarebbe veramente capitata una cosa del genere.

Nonostante l’abisso di anni e di esperienza che li separava, la volontà di Alvin era sempre stata più forte della sua. In quel momento era troppo tardi per fare qualcosa. Khedron sentiva che gli eventi lo stavano trascinando verso una situazione completamente al di fuori del suo controllo.

Date tutte queste cose, era ingiusto che Alystra lo considerasse il cattivo genio di Alvin e che lo accusasse di tutto quel che era accaduto. Alystra non era vendicativa, ma era in collera, e parte della sua irritazione si sfogò su Khedron. Se ciò che stava per fare gli avrebbe procurato dei guai, lei non se ne sarebbe certo rammaricata.

Si separarono nel più gelido silenzio, all’uscita del Parco. Khedron restò a fissare Alystra che spariva in lontananza, chiedendosi cosa avrebbe combinato ora quella ragazza. C’era solo una cosa di cui poteva essere certo: per un po’ la noia non avrebbe costituito un problema.

Alystra agì con prontezza e intelligenza. Scartò subito l’idea di informare Eriston ed Etania; i genitori di Alvin erano due simpatiche nullità per cui lei provava un certo affetto, ma nessun rispetto. Oltre a sprecare tempo in chiacchiere inutili avrebbero potuto fare solo quel che lei aveva già in mente: rivolgersi al tutore.

Jeserac ascoltò il racconto dominando benissimo ogni emozione. Tanto bene, che Alystra ne restò quasi seccata. Le sembrava che una cosa tanto importante e straordinaria non fosse mai successa prima di allora, e il comportamento indifferente di Jeserac la deluse. Quando la ragazza ebbe finito di parlare, Jeserac le fece altre domande, lasciando intendere che, secondo lui, aveva preso un abbaglio. Per quale ragione credere che Alvin avesse lasciato la città? Non poteva essere uno scherzo fatto a lei? Era probabilissimo, data la presenza di Khedron. Magari, proprio in quel momento, Alvin, nascosto da qualche parte, se la stava ridendo beatamente.

L’unica reazione positiva che riuscì a strappare a Jeserac fu la promessa che avrebbe fatto un’inchiesta, e che le avrebbe fatto sapere qualcosa. Lei, dal canto suo, non avrebbe fatto parola con nessuno. Era illogico spargere l’allarme per un incidente che si sarebbe forse chiarito in poche ore.

Alystra si congedò da Jeserac piuttosto frustrata. Sarebbe stata di tutt’altro umore se avesse potuto seguire il contegno del tutore subito dopo la sua partenza.

Jeserac, che aveva fatto parte un tempo del Consiglio, aveva parecchi amici influenti. Chiamò i tre più fidati e accennò loro la cosa. Come tutore di Alvin si trovava in una posizione delicata. Per il momento, era bene essere in pochi al corrente del fatto.

Furono tutti d’accordo: il primo passo da fare era mettersi in contatto con Khedron.

Ma Khedron, che l’aveva previsto, si era reso irreperibile.

Se c’era qualcosa di ambiguo nella posizione di Alvin, i suoi ospiti avevano tanto tatto da non ricordarglielo. Era libero di andare dovunque gli piacesse, ad Airlee, il piccolo villaggio sul quale Seranis governava. Governare era forse una parola troppo forte per esprimere le reali funzioni di Seranis. A volte la donna sembrava un dittatore benevolo, a volte pareva non avere alcun potere. Per ora Alvin non era riuscito affatto a comprendere il sistema sociale di Lys, forse perché era troppo semplice, o forse perché tanto complesso che i suoi ordinamenti gli sfuggivano. Per certo Alvin sapeva che Lys era divisa in innumerevoli villaggi, dei quali Airlee era un esempio tipico. E tuttavia non esistevano esempi tipici, poiché gli avevano assicurato che ogni villaggio faceva di tutto per essere il più possibile diverso dai suoi vicini. C’era da fare una confusione spaventosa.

Airlee, così piccolo e con meno di mille abitanti, era pieno di sorprese.

Non c’era un solo aspetto della vita che non differisse in pieno dall’equivalente a Diaspar. E questo perfino in cose fondamentali come la parola. Qui solo i piccoli parlavano; gli adulti di rado, e quando lo facevano era più che altro per un riguardo ad Alvin. Era sconcertante trovarsi solo in mezzo a quella rete di comunicazioni senza suono, indistinguibili. Ma poco alla volta Alvin ci fece l’abitudine. Trovava strano che la parola fosse sopravvissuta, dato che era diventata inutile, ma in seguito si accorse che alla gente di Lys piaceva molto cantare e che amava ogni forma musicale. Senza quell’incentivo, forse da lungo tempo sarebbero stati completamente muti.

Tutti erano occupatissimi, intenti a problemi e compiti che parevano ad Alvin incomprensibili. A suo giudizio, facevano un sacco di cose inutili.

Invece di usare cibi sintetici, coltivavano quasi tutto. Se Alvin faceva un commento, gli spiegavano pazientemente che era bello veder crescere le piantine, fare esperimenti genetici, ottenere nuovi sapori e aromi. Airlee era famosa per la sua frutta, ma Alvin non la trovò affatto migliore di quella che avrebbe potuto materializzare a Diaspar con un semplice cenno della mano.

Dapprima si chiese se la gente di Lys avesse perduto, o non avesse mai posseduto, le forze e le macchine sulle quali si basava la vita a Diaspar.

Ben presto si rese conto che non si trattava di questo. Le macchine e la tecnica esistevano, ma si ricorreva a esse solo quando era indispensabile. Il sistema di trasporti, per esempio, se poteva essere degno di questo nome.

Per le distanze brevi, la gente andava a piedi e ci trovava gusto. Se avevano fretta, o dovevano trasportare un piccolo carico, si servivano di animali.

C’erano gli animali da tiro, bestie basse, a sei gambe, docili e non molto intelligenti. Gli animali da corsa erano invece a quattro zampe, ma se dovevano correre alla massima velocità si servivano soltanto delle zampe posteriori. Potevano attraversare Lys in poche ore e il passeggero se ne stava a cavalcioni su una seggiolina legata alla groppa con cinghie. Niente al mondo avrebbe indotto Alvin a correre un simile rischio, sebbene quello sport fosse molto popolare tra i giovani. I corsieri di razza erano l’aristocrazia del mondo animale, e lo sapevano benissimo. Erano in grado di parlare, e Alvin li sentì vantarsi di vittorie passate e future. Quando cercava di mostrarsi cordiale e tentava di unirsi alla loro conversazione, loro facevano finta di non capirlo, e se insisteva, si allontanavano con aria di dignità oltraggiata.

Quelle due qualità di animali riuscivano a soddisfare tutte le normali necessità, e potevano dare ai padroni un piacere che nessuna macchina sarebbe riuscita a supplire.

Se invece occorreva una velocità massima, o c’erano grossi carichi da trasportare, si ricorreva alle macchine.

Il mondo animale era per Alvin una continua scoperta, ma quel che proprio l’affascinava erano le due età estreme della popolazione: i giovanissimi e i vecchi. Il più anziano di Airlee aveva sì e no toccato il secondo secolo di vita, e non gli restava molto, ormai. A quell’età, pensava Alvin, lui sarebbe stato circa come ora, mentre quel vecchio, che non aveva davanti a sé una catena di esistenze future come compenso, era arrivato al limite delle sue forze fisiche. I capelli erano tutti candidi, la faccia era una massa incredibilmente intricata di rughe. Passava la maggior parte del tempo seduto al sole, o passeggiando nel villaggio e scambiando saluti con quelli che incontrava. Per quel che poteva dire Alvin, sembrava assolutamente contento, non chiedeva di vivere ancora a lungo, e non era affatto rattristato all’idea della morte.

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