Dopo una settimana di lenta e cauta revisione, tutte le funzioni di routine e di sorveglianza di Hal erano state sicuramente riattivate. Egli era come un uomo in grado di camminare, di eseguire semplici ordini, di svolgere compiti non specialistici e di impegnarsi in una conversazione a basso livello. In termini umani, aveva un quoziente di intelligenza pari a forse 50; per il momento erano emersi soltanto i più vaghi profili della sua personalità originaria.
Continuava ad essere qualcosa di simile a un sonnambulo; ciò nonostante, in base all’esperto parere di Chandra, il computer era ormai capacissimo di pilotare la Discovery dall’orbita ravvicinata intorno a Io all’appuntamento con il Grande Fratello.
La prospettiva di allontanarsi di altri settemila chilometri dall’inferno in fiamme sotto di loro riuscì gradita a tutti. Sebbene in termini astronomici quella distanza fosse insignificante, allontanarsi sia pure di così poco voleva dire che il cielo non sarebbe stato più dominato da uno scenario quale avrebbero potuto immaginarlo Dante o Geronimo Bosch. E, sebbene neppure le eruzioni più violente avessero scaraventato materiale fino alle astronavi, esisteva sempre il timore che Io potesse tentare di stabilire un nuovo primato. In ogni modo, la visibilità dal ponte di volo della Leonov veniva ridotta dalla sottile pellicola di zolfo e, prima o poi, qualcuno sarebbe dovuto uscire per eliminarla.
Soltanto Curnow e Chandra si trovavano a bordo della Discovery quando ad Hal venne affidato per la prima volta il controllo dell’astronave. Si trattava di un controllo assai limitato: egli doveva soltanto ripetere il programma immesso nella sua memoria e sorvegliarne l’esecuzione. E l’equipaggio umano sorvegliava lui: se fosse stato commesso un qualsiasi errore, lo avrebbero sostituito immediatamente.
La prima accensione dei propulsori si protrasse per dieci minuti, poi Hal riferì che la Discovery era entrata nell’orbita di trasferimento. Non appena i rilevamenti radar e ottici della Leonov lo confermarono, anche l’astronave russa si inserì sulla stessa traiettoria. Due piccole correzioni vennero apportate lungo l’orbita; poi, tre ore e quindici minuti dopo, entrambe le astronavi giunsero senza incidenti di sorta nel primo punto Lagrange, L1 — diecimilacinquecento chilometri più in alto, sulla linea invisibile che collega i centri di Io e di Giove.
Hal si era comportato in modo impeccabile, e Chandra lasciò trasparire tracce inequivocabili di stati d’animo puramente umani, come la soddisfazione e persino la felicità. Ormai, tuttavia, i pensieri di ognuna delle persone a bordo andavano altrove; il Grande Fratello, alias Zagadka, si trovava ad appena cento chilometri di distanza.
Anche da tale lontananza appariva già più grande della Luna come la si vede dalla Terra, e sembrava spaventosamente innaturale a causa della perfezione geometrica dei suoi spigoli. Sullo sfondo dello spazio sarebbe rimasto completamente invisibile. Ma le nubi gioviane, in corsa trecentocinquantamila chilometri più in basso, lo rivelavano con drammatico risalto. Esse davano luogo, inoltre, a un’illusione che la mente, dopo averla sperimentata, trovava quasi impossibile confutare. Siccome a occhio nudo risultava assolutamente impossibile valutarne la vera posizione, il Grande Fratello sembrava spesso un trabocchetto spalancato e situato sulla superficie stessa di Giove.
Non esisteva alcun motivo per supporre che la distanza di cento chilometri potesse essere più sicura di una distanza di dieci, o più pericolosa di una distanza di mille chilometri; sembrava soltanto psicologicamente giusta per una prima ricognizione. Da quel punto, i telescopi dell’astronave avrebbero potuto rivelare particolari aventi dimensioni di appena pochi centimetri — eppure non se ne scorgeva alcuno. Il Grande Fratello sembrava essere completamente liscio e uniforme; la qual cosa, per un oggetto che, presumibilmente, era sopravvissuto a milioni di anni di bombardamento da parte di detriti vaganti nello spazio, aveva dell’incredibile.
Quando Floyd lo osservò con il binocolo, gli parve che allungando una mano sarebbe riuscito a toccare quelle lisce superfici simili ad ebano — proprio come aveva fatto sulla Luna anni addietro. Quella prima volta, si era arrischiato a toccare il monolito con la mano protetta dal guanto della tuta spaziale. Soltanto dopo che il monolito di Tycho era venuto a trovarsi in una cupola pressurizzata aveva potuto toccarlo con la mano nuda.
Ma non vi era stata alcuna differenza; gli sembrava di non aver mai realmente toccato il TMA-1. Le punte delle dita gli avevano dato l’impressione di scivolare su una barriera invisibile; quanto più energicamente egli premeva, inoltre, tanto più venivano respinte. Ora egli si domandò se il Grande Fratello avrebbe causato lo stesso effetto.
In ogni modo, prima di giungere così vicini, dovevano effettuare ogni esame che riuscissero a escogitare e riferire le loro osservazioni alla Terra. Si trovavano all’incirca nella stessa situazione di esperti artificieri che tentassero di disinnescare una bomba di nuovo tipo, la quale avrebbe potuto esplodere alla minima mossa falsa. Per quello che ne sapevano, anche il più delicato dei sondaggi radar avrebbe potuto scatenare qualche catastrofe inimmaginabile.
Durante le prime ventiquattr’ore non fecero altro che osservare mediante strumenti passivi — telescopi, macchine fotografiche, sensori su ogni lunghezza d’onda. Vasili Orlov colse inoltre l’occasione per misurare, con la massima precisione possibile, le dimensioni del monolito, e confermò il famoso rapporto 1:4:9 fino a sei decimali. Il Grande Fratello aveva esattamente la stessa forma del TMA-1, ma, essendo lungo oltre due chilometri, era 718 volte più grande del fratellino.
Ed ecco un secondo mistero matematico. Gli uomini avevano discusso per anni a causa di quel rapporto 1:4:9 — i quadrati dei primi tre numeri interi. Non era possibile che si trattasse di una coincidenza; bisognava pertanto evocare un altro numero.
Sulla Terra, studiosi di statistica e fisici matematici cominciarono ben presto a divertirsi allegramente con i loro computer, cercando di collegare il rapporto con le costanti fondamentali della natura — la velocità della luce, il rapporto tra le masse del protone e dell’elettrone, la costante di struttura fine. Ad essi si unirono rapidamente torme di numerologi, astrologi e mistici, che si richiamarono all’altezza della Grande Piramide, al diametro di Stonehenge, agli orientamenti azimutali delle linee di Nazca, alla latitudine dell’Isola di Pasqua e a tutta una serie di altri fattori dai quali erano in grado di trarre le conclusioni più stupefacenti riguardo al futuro. Non si lasciarono minimamente scoraggiare quando un celebre umorista di Washington dichiarò che, in base ai suoi calcoli, il mondo era finito il 31 dicembre del 1999… ma nessuno aveva avuto il modo di accorgersene trovandosi sotto gli effetti di una sbornia madornale.
Né il Grande Fratello parve avvertire la presenza delle due astronavi giunte nelle vicinanze — nemmeno quando lo sondarono cautamente con il radar e lo bombardarono con successioni di impulsi radio che, si sperava, avrebbero potuto incoraggiare un ascoltatore intelligente a rispondere nello stesso modo.
Dopo due giornate deludenti, con l’approvazione del Controllo Missione, le navi spaziali ridussero la distanza della metà. Da cinquanta chilometri la faccia maggiore del monolito sembrava quattro volte più larga di quanto appaia la Luna nel cielo terrestre — imponente, ma non così immensa da opprimere psicologicamente. Non poteva ancora emulare Giove, sempre dieci volte più grande; e già lo stato d’animo degli uomini della spedizione stava passando da una intimorita vigilanza a una certa impazienza.
Walter Curnow espresse il pensiero della maggioranza: «II Grande Fratello può essere disposto ad aspettare alcuni milioni di anni… noi invece vorremmo andarcene un po’’ prima.»
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