Arthur C. Clarke
2061 Odissea tre
Alla memoria di JudyLynn Del Rey, editor straordinaria, che acquistò questo libro per un dollaro — ma non seppe mai se spese bene i suoi soldi.
Traduzione di Marco e Dida Paggi
© 1987 by Serendib BV
© 1990 RCS Libri S. p.A., Milano
Indice
PREMESSA
PARTE I–LA MONTAGNA MAGICA
PARTE II–LA VALLE DELLA NEVE NERA
PARTE III–LA ROULETTE D’EUROPA
PARTE IV–IN ACQUA
PARTE V — ATTRAVERSO GLI ASTEROIDI
PARTE VI — HAVEN
PARTE VII–LA GRANDE MURAGLIA
PARTE VIII–IL REGNO DELLO ZOLFO
EPILOGO 3001
RINGRAZIAMENTI
ADDENDUM
Così come 2010: Odissea due non era esattamente il seguito di 2001: Odissea nello spazio, allo stesso modo questo libro non è propriamente il seguito di 2010. Questi tre lavori vanno considerati alla stregua di variazioni sullo stesso tema: essi hanno sì molti personaggi e situazioni in comune, ma non è detto che avvengano nello stesso universo.
Dal 1964, quando Stanley Kubrick mi propose (cinque anni prima che l’uomo mettesse piede sulla Luna!) di fare «un buon film di fantascienza», l’idea originaria ha conosciuto sviluppi successivi: e una coerenza perfetta è impossibile, perché nelle mie cose più recenti si fa riferimento ad avvenimenti e scoperte che erano ancora di là da venire quando scrissi i miei primi libri.
Ho potuto scrivere 2010 grazie al successo della missione Voyager, che nel 1979 ha effettuato un passaggio ravvicinato intorno a Giove; ed era mia intenzione ritornare sull’argomento solo quando si fossero avuti i risultati di una missione ancora più ambiziosa, la missione Galileo.
La missione Galileo contemplava l’invio di una sonda nell’atmosfera di Giove e, per un periodo di due anni, lo studio di tutti i principali satelliti del pianeta. Il lancio sarebbe dovuto avvenire nel maggio del 1986 per mezzo dello Shuttle; l’obiettivo si sarebbe dovuto raggiungere nel dicembre del 1988. Cosicché io contavo di poter disporre di nuove informazioni su Giove e le sue lune verso il 1990…
Purtroppo la tragedia del Challenger ha vanificato questo programma; Galileo — che ora è in attesa nel Jet Propulsion Laboratory di Pasadena — dovrà trovarsi un altro vettore di lancio. E potrà ritenersi fortunato se arriverà su Giove con soli sette anni di ritardo.
Io ho deciso di non aspettare tanto.
ARTHUR C. CLARKE
Colombo, Sri Lanka
aprile 1987
PARTE I
LA MONTAGNA MAGICA
«Per un uomo di settant’anni, sei in ottima forma» commentò il dottor Glazunov alzando gli occhi dall’ultimo tabulato stampato dal Medcom. «Io non te ne darei più di sessantacinque.»
«Mi fa davvero piacere, Oleg. Tanto più che ho centotré anni, come tu sai benissimo.»
«Ecco che ci risiamo! Come se tu non avessi letto il libro della Rudenko!»
«Povera Katerina! Avevamo deciso di vederci in occasione del suo centesimo compleanno. Mi è spiaciuto molto che non ci sia arrivata… Ecco che cosa succede a passare troppo tempo sulla Terra.»
«E, ironia della sorte, era stata lei a inventare lo slogan famoso «È la gravità che porta la vecchiaia».»
Il dottor Heywood Floyd osservò pensieroso il mutevole panorama del bel pianeta, solo seimila chilometri lontano, su cui non avrebbe mai più potuto rimettere piede. Per un’altra e più vistosa ironia della sorte, a causa di uno stupidissimo incidente, lui stava benissimo quando invece praticamente tutti gli amici suoi coetanei erano morti.
Era tornato sulla Terra da nemmeno una settimana quando, malgrado tutti gli avvertimenti e l’assoluta convinzione che a lui mai sarebbe potuta accadere una cosa del genere, era cascato da un balcone al secondo piano. (Sì, si stava dando ai bagordi: però se l’era meritato… era un eroe sul nuovo mondo dove la Leonov aveva fatto ritorno.) Aveva riportato numerose fratture multiple ed erano insorte complicazioni, così che era stato ricoverato all’ospedale orbitale Pasteur.
Era l’anno 2015. E ora — era incredibile, ma c’era il calendario appeso alla parete a confermarlo — era il 2061.
Nel caso di Heywood Floyd, l’orologio biologico non era stato solo rallentato a opera della gravità ridotta dell’ospedale, pari a un sesto di quella terrestre, ma per ben due volte nel corso della sua vita l’orologio biologico si era mosso a ritroso. Era ormai convinzione comune sebbene alcuni autorevoli scienziati non fossero d’accordo che l’ibernazione non si limitasse a fermare il processo dell’invecchiamento, ma innescasse un processo di ringiovanimento. Il viaggio fino a Giove e ritorno aveva fatto diventare Floyd più giovane.
«Allora, secondo te non corro rischi se vado?»
«Nell’universo si corrono sempre rischi, Heywood. Posso dire solo che non ci sono controindicazioni di carattere fisiologico. In fondo, a bordo della Universe troverai esattamente le stesse condizioni ambientali cui sei abituato qui. Dal punto di vista medico non vi saranno le attrezzature sofisticate che abbiamo qui all’ospedale Pasteur, ma il dottor Mahindran è un bravo medico. Se dovesse insorgere qualche problema che non è in grado di affrontare ti può sempre mettere in ibernazione e rispedire qui da noi come un pacco postale.»
Era quanto Floyd aveva sperato di sentirsi dire, eppure la sua soddisfazione era venata di tristezza. Fare il viaggio significava restare assente per molte settimane da casa — da quella che da mezzo secolo era la sua casa — e dagli amici che si era fatto negli ultimi anni. E sebbene la Universe fosse una lussuosa nave passeggeri in confronto alla rozza Leonov (ora, in orbita sopra l’altra faccia della Luna, entrata a far parte del Museo Lagrange), ogni viaggio spaziale di una certa lunghezza comportava pur sempre un elemento di rischio. E tanto più trattandosi di un viaggio lungo una rotta mai prima percorsa…
Eppure era forse questo ciò di cui aveva bisogno nonostante i suoi 103 anni (o essendo, secondo i complessi calcoli geriatrici della defunta professoressa Rudenko, un sano e robusto sessantacinquenne). Da dieci anni ormai provava un’irrequietezza crescente e una vaga insoddisfazione nei confronti del suo modo di vivere, troppo comodo e troppo ben regolato.
Malgrado le numerose ed esaltanti iniziative in corso nel sistema solare — la Rigenerazione di Marte, la fondazione di una base su Mercurio, il Piano Verde di Ganimede — non era riuscito a trovare un obiettivo sul quale concentrare i suoi interessi e le sue energie ancora considerevoli. Due secoli prima, uno dei primi poeti dell’era della scienza dava voce ai suoi sentimenti facendo così parlare Ulisse:
…vita su vita
poco sarebbe, ed a me d’una, ora, un attimo resta.
Pure, è un attimo tolto all’eterno silenzio, ed ancora
porta con sé nuove opere, ed indegno sarebbe, per qualche
due o tre anni, riporre me stesso con l’anima esperta,
ch’arde e desìa di seguir conoscenza: la stella che cade
oltre il confine del cielo, di là dell’umano pensiero.
«Due o tre anni» davvero! Ne erano passati più di quaranta: Ulisse se ne sarebbe vergognato. Ma i versi successivi — che conosceva così bene — erano ancora più appropriati:
Forse è destino che i gorghi del mare ci affondino; forse,
nostro destino è toccare quelle isole della fortuna,
dove vedremo l’a noi già noto, magnanimo Achille.
Molto perdemmo, ma molto ci resta: noi siamo la forza
più che né giorni lontani moveva la terra ed il cielo:
noi, s’è quello che s’è: una tempra d’eroici cuori,
sempre la stessa: affraliti dal tempo e dal fato, ma duri
sempre in lottare e cercare e trovare né cedere mai.
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