Il trasferimento dall’una all’altra astronave era ormai sicuro e facile; tuttavia la comandante Orlova continuava a rifiutarsi di consentire un vero e proprio attracco. Tutti approvavano tale decisione, in quanto Io continuava ad avvicinarsi sempre più; sarebbero ancora potuti essere costretti ad abbandonare la nave spaziale per il cui ricupero avevano lavorato così duramente.
Il fatto che conoscessero adesso la causa del misterioso abbandono dell’orbita da parte della Discovery non giovava minimamente. Ogni qual volta l’astronave passava tra Giove e Io doveva attraversare l’invisibile fascio di flusso che collegava i due corpi celesti — il fiume elettrico scorrente da un mondo all’altro. Le conseguenti correnti vorticose indotte intorno alla Discovery continuavano a rallentarla, frenandola ad ogni rivoluzione.
Non esisteva alcuna possibilità di prevedere il momento finale dell’impatto, in quanto la corrente nel fascio del flusso variava in modo pazzesco in base alle imperscrutabili leggi di Giove. A volte si determinavano drammatici aumenti di attività accompagnati da spettacolari tempeste elettriche e aurorali intorno a Io. Le astronavi perdevano allora quota per molti chilometri, divenendo sgradevolmente calde prima che i loro impianti di controllo termico riuscissero a riportare la temperatura al livello normale.
Questo effetto inaspettato aveva spaventato tutti prima che ci si fosse resi conto della spiegazione ovvia. Qualsiasi forma di frenaggio genera calore, in qualche punto; le correnti formidabili indotte negli scafi della Leonov e della Discovery tramutavano per breve tempo le due astronavi in forni elettrici a basso voltaggio.
Il paesaggio suppurante di Io, che sempre più ricordava qualche illustrazione di un testo di medicina, distava appena cinquecento chilometri quando Curnow corse il rischio di attivare il propulsore principale, mentre la Leonov si manteneva ad una assai prudenziale distanza di sicurezza. Non vi furono effetti visibili — né il fumo né le fiammate dei razzi chimici dei tempi passati — ma le due astronavi si allontanarono adagio una dall’altra mentre la Discovery acquistava velocità. Dopo poche ore di manovre molto dolci, entrambe le navi spaziali si erano sollevate di mille chilometri; v’era adesso il tempo di riposarsi brevemente e di fare progetti per la fase successiva della missione.
«Ha svolto un lavoro meraviglioso, Walter» disse la dottoressa Rudenko, cingendo con un braccio voluminoso le esauste spalle di Curnow. «Siamo tutti orgogliosi di lei.»
Con un’aria molto noncurante, gli spezzò una piccola fiala sotto il naso. Soltanto ventiquattr’ore dopo egli si destò, irritato e affamato.
«Che cos’è?» domandò Curnow, con un blando disgusto, sollevando nella mano il piccolo meccanismo. «Una ghigliottina per topi?»
«Come definizione non è male… ma io cerco una selvaggina più grande.» Floyd additò una freccia lampeggiante sullo schermo del computer, che cominciò ora a mostrare il diagramma di un circuito complicato.
«Vedi questa linea?»
«Sì. È il cavo principale dell’energia. E con ciò?»
«Questo è il punto nel quale si collega all’unità centrale di calcolo di Hal. Vorrei che tu sistemassi l’aggeggio qui, entro il condotto del cavo, ove non sia possibile trovarlo a meno che non lo si cerchi deliberatamente.»
«Capisco. Un comando a distanza, per poter fermare Hal quando vorrai. Molto ingegnoso… e per giunta una lamella non conduttrice, affinché non debbano determinarsi imbarazzanti cortocircuiti quando l’interruttore viene azionato. Chi li costruisce i giocattoli come questo, la CIA?»
«Lascia perdere. Il comando si trova nella mia cabina… è quel piccolo calcolatore rosso che tengo sempre sullo scrittoio. Batti nove volte, estrai la radice quadrata e premi INT. Tutto qui. Non sono ben sicuro per quanto concerne la portata questo dovremo accertarlo ma fino a quando la Leonov e la Discovery si troveranno a un paio di chilometri una dall’altra, non vi sarà alcun pericolo che Hal impazzisca di nuovo.»
«A chi parlerai di questo… aggeggio?»
«Be’… la sola persona alla quale ne sto realmente nascondendo l’esistenza è Chandra.»
«Lo avevo supposto.»
«Ma in meno saranno a saperlo, tanto più diventerà improbabile che se ne parli. Tuttavia rivelerò la cosa a Tanya e, in caso di emergenza, potrai mostrarle come funziona.»
«Che genere di emergenza?»
«Questa non è una domanda molto brillante, Walter. Se lo sapessi, non avrei bisogno del dannato aggeggio.»
«Credo che tu abbia ragione. Quando vuoi che lo installi il tuo bloccaHal brevettato?»
«Non appena potrai. Preferibilmente stanotte, quando Chandra si sarà addormentato.»
«Stai scherzando? Credo che non dorma mai. È come una madre che cura il bambino malato.»
«Be’, dovrà pur tornare sulla Leonov di quando in quando, per mangiare.»
«Ho una notizia da darti. L’ultima volta che si è recato sulla Discovery, ha legato alla tuta spaziale un sacchetto di riso. Con quello potrà tirare avanti per settimane.»
«Allora dovremo servirci di una delle famose fialette di Katerina, quelle che mettono fuori combattimento. Nel tuo caso hanno dimostrato di essere efficacissime, no?»
Curnow stava scherzando per quanto concerneva Chandra… o almeno Floyd supponeva che scherzasse, anche se non si poteva mai esserne del tutto certi: gli piaceva fare asserzioni strampalate con l’espressione più seria del mondo. Era occorso qualche tempo prima che i russi se ne rendessero pienamente conto; ben presto, per autodifesa, avevano dimostrato di essere propensi alle risate preventive, anche quando Curnow parlava sul serio.
Quanto alle risate di Curnow, misericordiosamente, erano divenute di gran lunga meno clamorose di quelle che Floyd aveva udito per la prima volta sulla navetta diretta verso l’astronave russa; in tale occasione era stato ovviamente l’alcol a eccitarlo. Floyd aveva temuto di dover riudire le sghignazzate dopo il festeggiamento alla fine dell’orbita, quando la Leonov era riuscita infine a raggiungere la Discovery. Ma anche allora Curnow, pur avendo bevuto parecchio, era riuscito a controllarsi come la comandante Orlova.
La sola cosa che egli prendesse sul serio era il suo lavoro. Salendo dalla Terra era stato un passeggero. Ora faceva parte dell’equipaggio.
Stiamo per destare, si disse Floyd, un gigante addormentato. Come reagirà Hal alla nostra presenza, dopo tutti questi anni? Che cosa ricorderà del passato? E sarà amichevole oppure ostile?
Mentre galleggiava, subito alle spalle del dottor Chandra, nell’ambiente a gravità zero del ponte di volo della Discovery, i suoi pensieri si allontanarono di rado dall’interruttore impiantato e collaudato appena poche ore prima. Il comando a onde radio si trovava ad appena pochi centimetri dalla sua mano, ed egli si sentiva alquanto stupido avendolo portato con sé. Per il momento Hal continuava a non essere collegato a tutti i circuiti operativi dell’astronave. Anche se fosse stato riattivato, avrebbe avuto un cervello senza membra, seppure non privo di organi sensoriali. Sarebbe stato in grado di comunicare, ma non di agire. Come si era espresso Curnow: «La cosa peggiore che possa fare è imprecare contro di noi.»
«Sono pronto per la prima prova, comandante» disse Chandra. «Tutti i moduli mancanti sono stati rimessi al loro posto e inoltre ho fatto girare programmi diagnostici su tutti i circuiti. Tutto sembra essere normale, per lo meno in questa fase.»
Tanya Orlova sbirciò Floyd, che fece un cenno di assenso. In seguito alle insistenze di Chandra, soltanto loro tre erano presenti per quella prima critica prova, e risultava manifesto che anche un così esiguo pubblico riusciva sgradito allo scienziato.
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