«Benissimo, dottor Chandra.» Sempre ligia al protocollo, la comandante si affrettò a soggiungere: «Il dottor Floyd ha dato la sua approvazione e, quanto a me, io non ho nulla da obiettare.»
«Dovrei chiarire» disse Chandra, in un tono di voce ovviamente saturo di disapprovazione, «che i centri di Hal per il riconoscimento della voce e la sintesi delle parole sono stati danneggiati. Dovremo insegnargli daccapo a parlare. Per fortuna, egli impara svariati milioni di volte più rapidamente di un essere umano.»
Le dita dello scienziato danzarono sulla tastiera battendo una dozzina di parole, apparentemente a caso, ed egli le pronunciò con chiarezza ad una ad una, man mano che apparivano sullo schermo. Simili a un’eco deformata, le parole tornarono a scaturire dalla griglia dell’altoparlante — prive di vita, davvero meccaniche, senza dare la benché minima sensazione di una intelligenza dietro di esse. Questo non è più il vecchio Hal, pensò Floyd. Non è migliore dei primitivi giocattoli parlanti che rappresentavano una così grande novità quando io ero bambino.
Chandra premette il tasto REPEAT e la serie di parole tornò a risuonare. Già v’era un miglioramento percettibile, anche se nessuno avrebbe potuto scambiare il calcolatore che parlava per un essere umano.
«Le parole che gli ho dato contengono i fondamentali fonemi inglesi; una decina di ripetizioni e Hal diventerà accettabile. Ma non dispongo dell’attrezzatura necessaria per sottoporlo a una terapia realmente efficace.»
«Terapia?» domandò Floyd. «Vuoi dire che Hal ha subito… be’, lesioni cerebrali?»
«No» scattò Chandra. «I circuiti logici sono in condizioni perfette. Soltanto la pronuncia può essere difettosa, anche se migliorerà costantemente. Pertanto controllino ogni parola sullo schermo per evitare interpretazioni errate. E, quando parleranno, pronuncino le sillabe con chiarezza.»
Floyd rivolse un sorriso malizioso a Tanya Orlova, poi pose la domanda ovvia:
«Ma con tutti gli accenti russi che abbiamo qui?»
«Questa, ne sono certo, non sarà una difficoltà nel caso della comandante Orlova e della dottoressa Kovalev. Ma, per quanto concerne gli altri… be’, dovremo effettuare prove individuali. Chiunque non le supererà dovrà servirsi della tastiera.»
«Questo significa in ogni caso anticipare di molto gli eventi. Per il momento lei è la sola persona che dovrebbe tentare una comunicazione. È d’accordo, comandante?»
«Assolutamente.»
Soltanto un cenno del capo appena percettibile fece capire che il dottor Chandra li aveva uditi. Le dita di lui continuavano a volare sulla tastiera e colonne di parole e di simboli lampeggiavano sullo schermo, con una rapidità tale che nessun essere umano avrebbe mai potuto assimilarle. Presumibilmente Chandra possedeva una memoria visiva persistente, poiché sembrava afferrare intere pagine di dati con un’occhiata.
Floyd e Tanya erano sul punto di lasciare lo scienziato alla sua arcana dedizione quando, all’improvviso, egli parve rendersi conto di nuovo della loro presenza, e alzò la mano in un gesto di avvertimento o di aspettativa. Con un movimento quasi esitante, in netto contrasto con la precedente, decisa rapidità, spostò indietro una levetta di bloccaggio e premette un singolo tasto isolato.
All’istante, senza alcuna pausa percettibile, una voce scaturì dalla consolle, una voce che non era più la meccanica parodia del linguaggio umano. V’erano intelligenza e consapevolezza — autoconsapevolezzava — in quella voce, anche se soltanto ad un livello rudimentale.
«Buongiorno dottor Chandra. È Hal che parla. Sono pronto per la prima lezione.»
Seguì un momento di stupito silenzio; poi, assecondando lo stesso impulso, i due osservatori uscirono dal ponte di volo.
Heywood Floyd non lo avrebbe mai creduto, il dottor Chandra stava piangendo.
«… Che notizie deliziose quelle sul piccolo delfino! Stento a immaginare quanto sarà stato entusiasta Chris vedendo gli orgogliosi genitori portarlo a casa. Avresti dovuto udire gli oh e gli ah dei miei compagni di viaggio quando hanno visionato i videonastri di loro due che nuotavano insieme e di Chris che cavalcava sul dorso il nuovo arrivato. Propongono di chiamarlo Sputnik, in quanto la parola significa compagno oltre che satellite.
«Mi spiace che sia trascorso tanto tempo dal mio ultimo messaggio, ma i notiziari televisivi ti avranno dato un’idea del compito enorme che abbiamo dovuto affrontare. Persino la comandante Tanya ha rinunciato ad ogni pretesa di un orario regolare; ogni problema deve essere risolto man mano che si presenta, e da chiunque si trovi sul posto. Dormiamo soltanto quando non riusciamo più a restare svegli.
«Credo che possiamo essere tutti orgogliosi di quello che abbiamo fatto. Entrambe le astronavi sono ormai operative e inoltre abbiamo quasi portato a termine il primo cielo di prove con Hal. Tra un paio di giorni sapremo se potremo contare su di lui per il pilotaggio della Discovery quando ce ne andremo di qui per l’appuntamento ultimo, quello con il Grande Fratello.
«Non so chi sia stato il primo a chiamarlo così — i russi, comprensibilmente, non sono entusiasti di questo nome. E hanno fatto non poco sarcasmo a proposito della nostra designazione ufficiale del monolito, TMA-2, facendomi rilevare, svariate volte, che dista la maggior parte di un miliardo di chilometri da Tycho. E inoltre che Bowman non ha riferito alcuna anomalia magnetica e che l’unica somiglianza con TMA-1 è la forma. Quando ho domandato loro che nome preferissero, hanno proposto Zagadka, vale a dire enigma. È senz’altro una denominazione eccellente; ma tutti sorridono quando cerco di pronunciare questa parola, e pertanto mi atterrò a Grande Fratello.
«Comunque si possa denominare l’oggetto, esso dista ormai appena diecimila chilometri, e, per raggiungerlo, basteranno appena poche ore. Ma quest’ultima tappa ci ha innervositi tutti. Non esito a dirtelo.
«Avevamo sperato di poter trovare qualche nuova informazione a bordo della Discovery. Questa è stata la nostra unica delusione, anche se avremmo dovuto aspettarcela. Hal, naturalmente, era stato spento molto prima dell’incontro, e pertanto non ha alcuna memoria di quello che è accaduto; Bowman ha portato con sé tutti i suoi segreti. Sul libro di bordo dell’astronave non risulta nulla, né i sistemi di registrazione automatici dell’astronave ci hanno rivelato alcuna cosa che già non conoscessimo.
«La sola novità da noi scoperta è risultata essere puramente personale — un messaggio lasciato da Bowman per sua madre. Mi domando perché non lo abbia trasmesso; ovviamente si aspettava — o sperava — di tornare sull’astronave dopo quell’ultima uscita nello spazio. Naturalmente lo abbiamo inoltrato subito alla signora Bowman — è ricoverata in una casa di cura in qualche località della Florida, e non è sana di mente, per cui potrebbe non significare nulla per lei.
«Bene, queste sono tutte le notizie che ho da riferirti stavolta. Non so dirti quanto mi manchi… e quanto mi mancano i cicli azzurri e i mari verdi della Terra. I soli colori, qui, sono i rossi, gli arancioni e i gialli — spesso meravigliosi come il più fantastico dei tramonti; ma, dopo qualche tempo, si finisce con l’essere stanchi dei freddi e puri raggi situati all’altra estremità dello spettro.
«Il mio affetto ad entrambi… vi richiamerò non appena mi sarà possibile.»
Nikolai Ternovsky, addetto al controllo e alla cibernetica sulla Leonov, era la sola persona a bordo dell’astronave che fosse in grado di parlare in termini tecnici con il dottor Chandra. Sebbene il massimo creatore e mentore di Hal fosse riluttante a concedere a chicchessia tutta la sua fiducia, la pura spossatezza fisica lo aveva costretto ad accettare aiuto. Era venuta così a determinarsi, tra il russo e l’indoamericano, una alleanza temporanea che funzionava sorprendentemente bene. La maggior parte del merito di tale situazione andava al buon Nikolai che, in qualche modo, riusciva a intuire quando Chandra aveva realmente bisogno di lui e quando preferiva restare solo. Il fatto che l’inglese di Nikolai fosse di gran lunga il peggiore sull’astronave non rivestiva assolutamente alcuna importanza, in quanto la maggior parte delle volte i due uomini parlavano un «computerese» del tutto incomprensibile per chiunque altro.
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