«Non prima di aver parlato con me» corresse Spenser e, agguantato Tom, lo sospinse in direzione dell’albergo. «So che siete molto stanco» attaccò subito il giornalista, appena ebbe trascinato l’astronomo nella sua stanza «ma vorrei farvi alcune domande. Non vi dispiace se registro la conversazione, vero?»
«No» rispose Tom, che ormai aveva oltrepassato lo stadio in cui si hanno ancora delle preferenze. Se ne stava abbandonato su una sedia, sorseggiando meccanicamente la bibita che Spenser gli aveva versato, ma senza gustarla.
«Qui è Maurice Spenser, dell’«Interplanet News», a colloquio col dottor Thomas Lawson. Bene, dottore, al momento sappiamo solo che voi e l’ingegnere capo di Lato Terra, signor Lawrence, avete trovato il Selene, e che i passeggeri sono salvi. Forse ci direte, senza addentrarvi in particolari troppo tecnici, in che modo voi e… oh, diavolo!»
Afferrò appena in tempo il bicchiere che cadeva lentamente al suolo, poi sdraiò sul divano l’astronomo addormentato. Be’, non poteva lamentarsi; quello era l’unico particolare che non fosse andato secondo i piani. Ma perfino quello poteva risolversi a suo vantaggio; infatti nessun altro avrebbe potuto trovare Lawson, e meno che mai intervistarlo, finché Lawson dormiva in quello che l’Hotel Roris (ottimo trattamento, impianto di pressurizzazione indipendente) definiva «l’appartamento di lusso».
A Clavius City, il capo della Commissione Turismo era finalmente riuscito a convincere tutti quanti che lui non aveva fatto favoritismi. Il suo sollievo nell’apprendere che il Selene era stato ritrovato aveva ricevuto una doccia fredda quando la «Reuter’s», la «TimeSpace», la «Triplanetary Publications» e la «Lunar News» avevano telefonato in rapida successione per domandargli come mai l’«Interplanet» era riuscita a impossessarsi subito della notizia. Grazie alla previdenza di Spenser che aveva ascoltato le trasmissioni radio delle slitte da polvere, la notizia infatti era arrivata all’Agenzia prima ancora di raggiungere l’amministrazione lunare.
Una volta messa in chiaro la cosa, i sospetti delle altre agenzie stampa si erano cambiati in schietta ammirazione per la fortuna e lo spirito d’iniziativa di Spenser.
Il Centro Comunicazioni di Clavius City aveva già vissuto momenti drammatici, ma mai di quella portata. «Sembra» pensava Davis «di ascoltare delle voci dall’oltretomba». Poche ore prima, quelle ventidue persone erano state date per morte, e adesso si affollavano al microfono del Selene per trasmettere messaggi a parenti e amici. Grazie alla sonda che Lawrence aveva lasciato come antenna radio e come punto di riferimento in mezzo al mare di polvere, il battello non era più tagliato fuori dal resto dell’umanità.
Finalmente, la tempesta dei messaggi terminò, e si senti la voce del capitano Harris. «Capitano Harris chiama Centrale. Passo.»
Davis prese il microfono. «Capitano Harris, sono Davis. Qui ci sono i rappresentanti di tutte le agenzie stampa. I giornalisti sono ansiosi di sentire qualche parola da voi. Prima di tutto, potete darmi una breve descrizione delle condizioni all’interno del Selene? Passo.»
«Be’, fa molto caldo, e abbiamo dovuto ridurre al minimo l’abbigliamento. Però dobbiamo benedirlo, questo calore, visto che vi ha permesso di trovarci. In ogni modo, ormai ci siamo abituati. L’aria è ancora respirabile, e abbiamo abbastanza cibo e acqua, anche se il menu è piuttosto monotono! Cos’altro volete sapere? Passo.»
«Domandategli come va il morale… come l’hanno presa i passeggeri… se danno segni di squilibrio…» suggerì il rappresentante della «Triplanetary Publications». Il capo della Commissione Turismo riferì le domande, formulandole con più tatto, ma ebbe subito l’impressione di aver causato un leggero imbarazzo dall’altra parte della linea.
«Si sono comportati tutti benissimo» disse Pat, forse un po’ precipitosamente. «Certo che ora ci domandiamo quanto tempo vi occorrerà per tirarci fuori. Potete darci qualche idea approssimativa in proposito? Passo.»
«L’ingegnere capo Lawrence è a Porto Roris e sta organizzando le operazioni di salvataggio» rispose Davis. «Appena ci comunicherà qualcosa, ve lo faremo sapere. Intanto, come trascorrete il tempo? Passo.»
Pat glielo spiegò, provocando un immediato aumento nella vendita di Il cavaliere della valle solitaria e decretando il successo di L’arancia e la mela. Diede anche un breve resoconto dei parodistici processi di bordo, ora sospesi sine die.
«Dev’essere stato un gioco interessante» disse Davis. «Ma ormai non avrete più bisogno di contare unicamente sulle vostre risorse. Possiamo trasmettervi tutto quello che desiderate: musica, commedie, dibattiti… Diteci solo cosa volete, ce ne occuperemo subito. Passo.»
Pat prese tempo prima di rispondere. Il collegamento radio aveva già trasformato la situazione a bordo del Selene, facendo rinascere la speranza e allacciando i contatti con le persone care. Eppure, in un certo senso, a Pat quasi spiaceva che quella reclusione fosse terminata. Quel caldo senso di solidarietà, che nemmeno la sfuriata della Morley aveva potuto infrangere, era già una sensazione che sbiadiva nel mondo dei ricordi. Ora non formavano più un gruppo compatto, unito dalla causa comune della sopravvivenza. Le loro vite tornavano a divergere lungo ventidue sentieri indipendenti.
L’ingegnere capo Lawrence era convinto che i comitati non concludessero mai niente, ma stavolta il caso era diverso. Il presidente era lui: non c’erano né segretarie né delegati né altro. E, soprattutto, poteva accogliere o respingere le proposte a suo piacere. Quel comitato si riuniva solo per fornire idee e competenza tecnica, era una specie di cooperativa di cervelli messa a sua disposizione.
Solo una dozzina di membri erano presenti fisicamente. Gli altri erano sparsi sulla Luna, sulla Terra e nello spazio. L’esperto di fisica del suolo, che stava sulla Terra, era in svantaggio, perché a causa della limitata velocità delle onde radio restava sempre indietro di un secondo e mezzo, quindi i suoi commenti arrivavano sulla Luna con tre secondi di ritardo. Era stato perciò pregato di prendere appunti durante la discussione e di comunicare il suo punto di vista solo alla fine, interrompendo soltanto quando lo credeva strettamente necessario.
«Il Selene» stava spiegando Lawrence ai colleghi vicini e lontani «si trova a tre chilometri di distanza dalla più vicina zona di terreno solido, ovvero dalle Montagne Inaccessibili. Sotto il battello potrebbero esserci centinaia di metri di polvere, ma non lo sappiamo con certezza. Né possiamo giurare che non si producano altri avvallamenti, anche se i geologi lo ritengono improbabile. L’unico mezzo per portarsi sul posto sono le slitte da polvere. Ne abbiamo due, e una terza sta arrivando dall’Altra Faccia. Le slitte possono rimorchiare o caricare fino a cinque tonnellate. Quindi non possiamo servirci di attrezzature pesanti. E, per finire, abbiamo solo novanta ore di tempo. Questa è la situazione. Qualcuno ha proposte da fare? Io ne avrei, ma preferisco sentire prima voi.»
Seguì un lungo silenzio mentre i componenti del comitato, scaglionati per circa quattrocentomila chilometri di spazio, si applicavano ognuno nel proprio campo alla soluzione del problema.
Poi l’ingegnere capo dell’Altra Faccia parlò da un punto nelle vicinanze di JoliotCurie.
«Ho l’impressione che in novanta ore non si possa combinare niente; bisognerà costruire un equipaggiamento speciale, e ci vuole tempo. Siccome non l’abbiamo, dovremo procurarcelo calando fino alla Selene un tubo per l’aria. Dov’è la connessione ombelicale?»
«Dietro, vicino al portello principale. Non vedo come si possa calare un tubo in quel punto e avvitarlo, pescando alla cieca nella polvere a quindici metri di profondità.»
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