Arthur Clarke - Polvere di Luna

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Polvere di Luna: краткое содержание, описание и аннотация

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La polvere che ricopre la luna non è né liquida né solida: e in questo mare uniforme e infido si svolge la spaventosa avventura del battello Selene, mirabilmente narrata ora per ora da uno dei maestri della fantascienza moderna. Seguendo il drammatico «montaggio» del bestseller di Clarke il lettore vedrà subito perchè una grande Casa di produzione abbia già acquistato, a poche settimane dalla pubblicazione, i diritti cinematografici di questo «Titanic» del futuro.
Alla fine, però, il film non è stato girato, e il romanzo è fra i meno ristampati in Italia del grande autore britannico: appare infatti in sole tre edizioni italiane!

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«Ho un’idea migliore» intervenne un altro. «Far passare una tubazione attraverso il tetto del battello.»

«Ci vogliono due tubi» precisò un terzo. «Uno per immettere l’ossigeno, l’altro per aspirare l’aria viziata.»

«Un purificatore d’aria vero e proprio, in poche parole. Non ce ne sarebbe bisogno se potessimo liberare quei poveretti entro novanta ore.»

«È un rischio troppo grosso. Sistemato l’impianto di aerazione, invece, possiamo procedere senza l’assillo della fretta.»

«Sono di questo parere anch’io» concluse Lawrence. «Anzi, ho già messo parecchi uomini al lavoro per provvedere i pezzi necessari. L’altro problema è questo: cerchiamo di sollevare il Selene in superficie, o è meglio tirar fuori le persone una alla volta? Ricordate che a bordo c’è una sola tuta spaziale.»

«Non potremmo calare una specie di tunnel e collegarlo al portello stagno?»

«Presenta lo stesso problema del tubo di ventilazione. Più grave, anzi, dato che l’operazione per applicarlo si presenta ancora più difficile.»

«E se creassimo una specie di diga, abbastanza larga da circondare tutto lo scafo? Poi potremmo scavare via la polvere.»

«Già, ma accorrerebbero tonnellate di pali e di puntelli. E non dimenticate che la diga dovrebbe essere chiusa anche sul fondo, altrimenti la polvere tornerebbe a riempirla via via che venisse svuotata dall’alto.»

«È possibile pompare la polvere?» domandò qualcuno.

«Sì, ma non con pompe normali. Occorre un motore speciale, perché non è possibile aspirarla, bisogna sollevarla.»

«Questa maledetta polvere!» brontolò l’ingegnere assistente di Porto Roris. «Ha le proprietà peggiori dei liquidi e dei solidi e nessuno dei vantaggi. Non scorre quando vuoi che scorra, non sta ferma quando vorresti che ci stesse.»

«Vorrei fare una precisazione» disse Padre Ferraro, dal suo satellite. «La parola «polvere» non è esatta. In realtà si tratta di una sostanza che sulla Terra non esiste, quindi manchiamo del vocabolo per definirla. L’ultimo che ha parlato si è espresso bene; a volte va considerata come un liquido che non bagna, un po’ come il mercurio, ma più leggero. Altre volte è un solido fluido, come la resina, salvo che si muove con maggiore rapidità, s’intende.»

«In ogni modo, c’è un mezzo per renderla stabile?» domandò qualcuno.

«Credo che la domanda vada rivolta alla Terra» osservò Lawrence. «Dottor Evans, potete illuminarci in proposito?»

I tre secondi, come al solito, parvero durare un’eternità. Poi il fisico rispose, e la sua voce arrivò chiarissima: «Stavo appunto pensandoci. Si potrebbe ricorrere a dei collanti organici, sostanze che la rendano compatta e quindi maneggevole. Avete provato con l’acqua?»

«No, ma proveremo» rispose Lawrence, prendendo appunti. «Adesso pensiamo a come costruire una specie di piattaforma per gli uomini e il materiale, in modo da poterli lasciare sul posto. Chi ha idee sul materiale adatto?»

«Bidoni di combustibile vuoti?» propose qualcuno.

«Troppo ingombranti e fragili. Forse nel Magazzino Tecnico ci sarà qualcosa che…»

E così via. La Cooperativa Cervelli era in seduta.

Lawrence intendeva concedere un’altra mezz’ora ai colleghi, poi avrebbe cominciato a tracciare il suo piano d’azione.

Non si poteva perdere troppo tempo in discussioni, quando c’era in gioco la vita di ventidue persone. Però una decisione presa troppo in fretta e senza riflettere poteva fare più male che bene.

A prima vista, l’impresa si presentava chiara e ben definita.

A meno di cento chilometri da una base bene organizzata c’era il Selene. Se ne conosceva esattamente la posizione, e il battello si trovava a soli quindici metri di profondità. Ma quei quindici metri mettevano Lawrence di fronte ai problemi più spaventosi di tutta la sua carriera d’ingegnere.

Una carriera che poteva terminare molto bruscamente, perché sarebbe stato difficile spiegare le ragioni di un fallimento, se quelle ventidue persone fossero morte.

Per la seconda volta in ventiquattr’ore, Maurice Spenser era atterrato sulla Luna. Un primato che pochi potevano uguagliare.

Nella cabina di comando, situata a centocinquanta metri dalla base dell’astronave, c’erano gli unici oblò a visione diretta di tutta l’Auriga, e da lì la vista era superba. Verso nord, si stagliavano le cime più alte delle Montagne Inaccessibili. Nome poco appropriato, ormai, pensò Spenser: «lui» le aveva raggiunte, e finché l’astronave restava lì, si potevano compiere perfino delle ricerche scientifiche. Raccogliere campioni di roccia, ad esempio.

A sud si stendeva, per almeno quaranta chilometri, il Mare della Sete. Ma la cosa che interessava Spenser era a meno di cinque chilometri di distanza, e due chilometri al di sotto.

Con un potente binocolo, si poteva vedere la bacchetta di ferro lasciata da Lawrence come segno, unico collegamento del Selene col resto del mondo. Ottimo elemento per l’apertura, simboleggiava la solitudine dell’uomo nell’universo immenso e ostile che tentava di conquistare. Tra qualche ora, la vasta distesa avrebbe pullulato di attività, ma fino a quel momento la bacchetta sarebbe stata l’unico elemento della scena, mentre i commentatori discutevano il progetto di salvataggio e facevano le opportune interviste. Quanto a lui, non aveva problemi. Lui doveva solo starsene lì, in quel nido d’aquile, e preoccuparsi delle sequenze. Con gli obiettivi adatti, grazie alla assoluta purezza dell’atmosfera, avrebbe potuto scattare dei primi piani perfino da quella distanza, una volta che fossero cominciati i lavori.

Spenser guardò verso sudovest, dove il sole saliva lentamente nel cielo. Quasi due settimane di luce assicurata, calcolando il tempo secondo le proporzioni terrestri. Nessun bisogno di preoccuparsi dell’illuminazione. Il palcoscenico era già pronto.

Olsen, l’amministratore capo, raramente teneva discorsi ufficiali. Preferiva starsene dietro le quinte, ad amministrare la Luna in modo efficiente e discreto, lasciando l’incarico di cavarsela con la stampa ai tipi estroversi come Davis. Ecco perché i suoi discorsi facevano sempre una certa impressione.

Sebbene milioni di spettatori lo stessero guardando, le ventidue persone alle quali il discorso era dedicato non erano in grado di vederlo perché si era ritenuto superfluo collegare il Selene con i circuiti video. Ma anche la sola voce era rassicurante: Olsen stava dicendo proprio ciò che loro volevano sapere.

«… desidero comunicarvi che tutte le risorse della Luna sono state mobilitate per venirvi in aiuto. I lavori sono diretti dall’ingegnere capo Lawrence, nel quale ho la massima fiducia. Ora si trova a Porto Roris, dove si stanno radunando tutte le attrezzature necessarie. Il problema più urgente è quello di mantenere normale l’afflusso di ossigeno. Perciò abbiamo in progetto di calare dei tubi fino al Selene, un lavoro abbastanza svelto, che ci consentirà di pompare ossigeno, e anche cibo e acqua, se sarà necessario. Appena installati i tubi, non avrete più motivo di preoccuparvi. Dovrete solo aspettare tranquilli, e noi vi tireremo fuori. Ci vorranno un paio di giorni al massimo…»

Appena il discorso di Olsen terminò, a bordo del Selene la conversazione si fece animata. Il discorso aveva raggiunto lo scopo prefisso: i passeggeri stavano già considerando quell’episodio come una avventura che avrebbe fornito loro argomento di conversazione per tutto il resto della vita. Solo Pat Harris non sembrava soddisfatto.

«Avrei preferito che Olsen non si fosse mostrato così ottimista» osservò, rivolto ad Hansteen. «Sulla Luna certe affermazioni sono spesso una sfida al destino.»

«Vi capisco… ma lui doveva cercare di tenerci su di morale.»

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