Arthur Clarke - Polvere di Luna

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La polvere che ricopre la luna non è né liquida né solida: e in questo mare uniforme e infido si svolge la spaventosa avventura del battello Selene, mirabilmente narrata ora per ora da uno dei maestri della fantascienza moderna. Seguendo il drammatico «montaggio» del bestseller di Clarke il lettore vedrà subito perchè una grande Casa di produzione abbia già acquistato, a poche settimane dalla pubblicazione, i diritti cinematografici di questo «Titanic» del futuro.
Alla fine, però, il film non è stato girato, e il romanzo è fra i meno ristampati in Italia del grande autore britannico: appare infatti in sole tre edizioni italiane!

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Si alzò dal sedile e cominciò a muoversi per la minuscola cabina di comando dell’Auriga. Dopo aver urtato in malo modo contro uno strumento di astronavigazione «non riusciva proprio ad abituarsi alla gravità lunare e disperava di riuscirci mai» ritrovò il controllo dei nervi.

Questa era la parte peggiore dell’impresa: l’attesa prima di sapere se il servizio si sarebbe potuto fare o no. Finora, si era già speso un patrimonio, ma…

«Eccoli, stanno trasmettendo» avvertì l’addetto alla radio. «Sono in anticipo di due minuti. Sta succedendo qualcosa.»

«Ho urtato contro qualcosa» comunicò Lawrence «ma non posso dire di che si tratta.»

«A che profondità?» domandarono a una voce Lawson e i due piloti.

«Circa quindici metri. Spostiamoci due metri più in là… Lawrence ritirò la sonda, poi la immerse di nuovo appena la slitta ebbe raggiunto la nuova posizione.»

«Ancora» riferì l’ingegnere capo. «E alla stessa profondità. Spostiamoci di altri due metri.»

Ora l’ostacolo era scomparso oppure era troppo profondo perché la sonda potesse raggiungerlo.

«Qui non c’è niente… Proviamo nella direzione opposta.»

Sarebbe stato un lavoro lento e faticoso individuare i contorni dell’oggetto che giaceva là sotto. Proprio con quei sistemi, due secoli prima gli uomini avevano cominciato a scandagliare gli oceani terrestri, calando un cavo con un peso sul letto del mare e poi issandolo di nuovo a bordo.

Peccato, pensava Lawrence, non avere un ecometro. Però c’era da dubitare che le onde radio acustiche potessero penetrare nella polvere per più di qualche metro.

Che stupido: come non ci aveva pensato subito! Ecco cos’era accaduto ai segnali radio del Selene! La polvere, dopo averla inghiottita, aveva soffocato e assorbito le trasmissioni. Ma da quella distanza, e se lui si trovava proprio sopra il battello…

Lawrence sintonizzò la ricevente sulla lunghezza d’onda DISASTRI LUNA… ed ecco il Selene, che urlava con tutta la forza della sua vocerobot. Il segnale era incredibilmente acuto… Poi si accorse che la sua sonda metallica toccava ancora lo scafo sommerso: era quella che offriva alle onde radio uno sbocco in superficie.

Rimase ad ascoltare la serie di impulsi per circa quindici secondi, prima di raccogliere il coraggio per la mossa seguente. Fin dall’inizio, Lawrence era stato molto scettico e anche ora temeva che la nuova ricerca sarebbe stata vana. Il segnale automatico? Ma quello non contava: avrebbe continuato a chiamare per settimane intere, come una voce d’oltretomba, anche dopo la morte di tutti gli occupanti del Selene.

Infine, con un gesto impetuoso, Lawrence spostò la ricevente sulla lunghezza d’onda del battello da polvere, e rimase quasi assordato dalla voce di Pat Harris che urlava: «Qui Selene… qui Selene… Mi sentite? Passo.»

«Qui Slitta Uno» rispose. «Parla l’ingegnere capo. Sono a quindici metri sopra di voi. State tutti bene? Passo.»

Ci volle tempo prima di poter capire qualcosa, tanto era assordante lo strepito all’interno dello scafo. Quelle grida e quelle esclamazioni di giubilo erano sufficienti per garantire a Lawrence che tutti i passeggeri stavano bene ed erano di ottimo umore. Ascoltandole, si poteva quasi pensare che stessero facendo festa. Nella loro gioia di essere stati ritrovati, di essere tornati in contatto col resto della razza umana, credevano forse che tutti i loro guai fossero finiti.

«Slitta Uno chiama Controllo Traffico di Porto Roris» disse Lawrence, mentre aspettava che il tumulto si calmasse. «Abbiamo ritrovato il Selene e ristabilito il contatto radio. A giudicare dal baccano che fanno all’interno, si direbbe che tutti stiano magnificamente. Il battello è a, quindici metri di profondità, nel punto indicato dal dottor Lawson. Vi richiamerò tra qualche minuto. Chiudo.»

Alla velocità della luce, la felicità e il sollievo si sarebbero ora sparsi per tutta la Luna, sulla Terra, sugli altri pianeti, ridando la speranza e dissipando l’incubo di miliardi di persone. Per le vie e per le strade mobili, negli autobus e sulle navi spaziali, gente che non si conosceva affatto avrebbe scambiato sorrisi dicendo: «Avete sentito? Hanno ritrovato il Selene I.»

Nel Sistema Solare c’era però un uomo che non poteva partecipare a tutta quella gioia. Sedeva sulla sua slitta, ascoltando le grida che giungevano dalle profondità del Mare della Sete e osservando il movimento lievissimo nella polvere. In quel momento l’ingegnere capo Lawrence si sentiva molto più spaventato e impotente delle ventidue persone intrappolate nello scafo sepolto. Sapeva di dover affrontare la più tremenda battaglia della sua vita.

Per la prima volta in ventiquattro ore, Maurice Spenser si prendeva un po’ di riposo. Uomini ed equipaggiamento erano già in viaggio verso Porto Roris. (Per fortuna, Jules Braques era a Clavius City: era uno dei migliori operatori televisivi in circolazione, e aveva lavorato spesso con Spenser.) Il capitano Anson faceva calcoli e studiava pensoso i contorni delle montagne sulla carta. L’equipaggio era già stato avvertito di tenersi pronto a un nuovo cambiamento di programma. Sulla Terra, almeno una dozzina di contratti erano già stati firmati e spediti, e ingenti somme di danaro erano già passate da una mano all’altra. Gli stregoni finanziari della «Interplanet News» stavano già calcolando, con scientifica precisione, quanto dovevano far pagare alle altre agenzie per quel prezioso materiale giornalistico, senza spingersi al punto di indurle a noleggiare loro stesse un’astronave per recarsi sul posto. Del resto, diverse agenzie non ne avrebbero avuto la convenienza perché Spenser aveva un vantaggio troppo grande su tutti gli altri: nessun giornale concorrente poteva raggiungere le Montagne Inaccessibili in meno di quarantotto ore. Spenser poteva raggiungerle in sei ore precise.

Dalla piccola sala di osservazione dell’Ufficio d’Imbarco, il giornalista fissava l’orizzonte e consultava di tanto in tanto l’orologio. Qualche minuto dopo, un raggio di sole riflesso attirò la sua attenzione. Eccoli là, che spuntavano dall’orlo estremo della Luna. (Quello strano orizzonte: Spenser avrebbe giurato che fosse distante un centinaio di chilometri, e non solo due o tre ore.) Tra cinque minuti sarebbero arrivati all’imbarcadero, tra dieci sarebbero usciti dall’hangar pressurizzato. C’era tutto il tempo di mangiare ancora un panino.

Il dottor Lawson non mostrò affatto di riconoscere Spenser. Niente di strano, del resto, dato che la loro breve conversazione precedente era avvenuta nell’oscurità più assoluta.

«Dottor Lawson? Sono un inviato dell’«Interplanet News». Mi permettete di registrare l’intervista?»

«Un momento» interruppe Lawrence. «Conosco quello dell’«Interplanet». Voi non siete Joe Leonard…»

«Infatti, sono Maurice Spenser. Ho sostituito Joe la settimana scorsa. Joe deve riabituarsi alla gravità terrestre, altrimenti sarà condannato qui a vita.»

«Be’, siete stato molto svelto, perbacco. La notizia è stata trasmessa solo un’ora fa.»

Spenser si guardò bene dal dire che era lì da molto più di un’ora. «Vi chiedo scusa, ma vorrei il permesso di registrare l’intervista» ripeté.

Il giornalista era molto scrupoloso su quel punto; alcuni suoi colleghi si arrischiavano a registrare senza l’autorizzazione, ma c’era da rimetterci il posto, quindi non era consigliabile.

«Adesso no, se non vi dispiace» disse Lawrence. «Ho cento cose da organizzare, ma il dottor Lawson vi darà tutte le spiegazioni che vorrete. Ha fatto lui la maggior parte del lavoro, e tutto il merito del ritrovamento è suo. A questo riguardo potete citare le mie parole esatte.»

«Grazie… ingegnere» mormorò Tom, al colmo dell’imbarazzo. «È la verità. Bene, Tom, ci vediamo dopo. lo sarò nel mio ufficio, a divorare pillole per non crollare, ma voi potete andare a farvi una bella dormita.»

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