Laggiù c’erano le montagne a soli tre chilometri di distanza, imponenti, eterne, saldamente ancorate al suolo. Con tutto il cuore, Tom si augurò che Lawrence desse ordine di lasciare quell’oceano infido e incorporeo per dirigersi verso la salvezza della terraferma. «Verso le montagne!» bisbigliava tra sé, senza accorgersene. «Verso quelle montagne!»
Non c’è segretezza in una tuta spaziale, specie quando il contatto radio è aperto. A cinquanta metri da lui, Lawrence senti quel bisbiglio e subito capì cosa significava.
Non si diventa ingegnere capo di mezzo mondo senza conoscere altrettanto bene gli uomini che le macchine. «Ho corso un rischio calcolato» pensò Lawrence, «e forse ho sbagliato. Ma non mi arrenderò senza lottare; forse posso ancora disinnescare questa bomba psicologica prima che scoppi.»
Tom Lawson non si accorse nemmeno che l’altra slitta accostava alla sua; era ormai completamente smarrito, in preda al proprio incubo. Ma all’improvviso si rese conto che qualcosa lo scuoteva con violenza, tanto da fargli battere la fronte contro l’orlo inferiore del casco. Per un attimo rimase accecato da lacrime di dolore. Poi si trovò a fissare con ira, ma anche con infinito sollievo, lo sguardo deciso e autoritario dell’ingegnere capo, e ad ascoltarne la voce che gli veniva rimandata dagli altoparlanti interni.
«Basta con queste sciocchezze» disse l’ingegnere capo. «E guai a voi se vi fate venire il mal di mare. Ogni volta che succede un incidente del genere ci costa cinquecento dollari per rimettere la tuta in ordine… e dopo non è più la stessa.»
«Ma non ho il mal di mare…» riuscì a mormorare Lawson. Poi si accorse che, in verità, le cose stavano molto peggio, e fu grato a Lawrence del tatto dimostrato.
Prima che potesse aggiungere altro, Lawrence riprese a parlare, sempre in tono fermo, ma più cordiale. «Tom, nessun altro può sentirci, stiamo comunicando sul circuito delle tute. Perciò statemi a sentire e non offendetevi per quello che dirò. So molte cose sul conto vostro, e so che la vita non è stata troppo generosa con voi. Ma avete un cervello, anzi un cervello di prim’ordine, e quindi non sprecatelo comportandovi come un bambino spaventato. Lo so, tutti siamo bambini spaventati in certi momenti, ma questo non è il momento adatto. Ventidue vite umane dipendono da voi. Tra cinque minuti, sapremo se possiamo salvarle o no, quindi tenete gli occhi su quello schermo e dimenticate tutto il resto. Vi porterò fuori di qua sano e salvo, su questo potete contarci.»
Lawrence dette un colpetto sulla tuta di Tom, affettuoso, stavolta, senza staccare gli occhi dalla faccia stravolta del giovane scienziato. Poi, con suo grande sollievo, vide che Lawson accennava a calmarsi.
Era una strana scena: le due slitte galleggiavano fianco a fianco sulle levigata distesa tra le Montagne Inaccessibili e il sole nascente. Sembravano velieri fermi su un mare troppo calmo, con i piloti immobili al loro posto, indifferenti, o ignari. Nessuno avrebbe potuto immaginare che in quella bonaccia, in quel grande silenzio, il destino di ventidue esseri umani era stato appeso al filo di uno scontro di due volontà, di due personalità, né, dal canto loro, Lawrence e Lawson avrebbero mai più parlato di quella crisi. Anzi, si stavano già occupando di tutt’altro: nello stesso istante, si erano accorti entrambi di una situazione quanto mai comica.
Lo schermo, infatti, mentre loro due dibattevano le loro questioni personali, aveva continuato a inquadrare pazientemente l’immagine tanto cercata.
Quando Pat e Sue, terminato l’inventario, uscirono dalla cucina stagna, i passeggeri erano ancora immersi in piena Restaurazione inglese. La breve conferenza di fisica di Sir Isaac Newton era stata seguita «secondo il previsto» da una lezione molto più lunga di Nell Gwynn sull’anatomia umana. Gli ascoltatori si divertivano un mondo, grazie anche all’accento purissimo ed enfatico del signor Barrett. Il signor Barrett era arrivato a un punto culminante.
««Avete dedicato la vostra vita alle cose della mente», disse arrossendo Nell Gwynn. «Ma avete dimenticato, Sir Isaac, che anche il corpo ha le sue leggi». «Chiamami «Ike»», disse con voce roca il sapiente, mentre con dita maldestre cercava di slacciarle il vestito. «Non qui… nel palazzo!» protestò Nell, senza far nulla per tenerlo a bada. «Tra poco tornerà il Re…»»
«Se mai usciremo vivi di qui» pensò Pat «dobbiamo mandare una lettera di ringraziamento alla scrittrice diciassettenne che si dice abbia escogitato tutte queste idiozie. È riuscita a farci divertire, e al momento è quello che conta.»
Si sbagliava; c’era chi non si divertiva affatto. Pat si accorse, con un certo disagio, che la signorina Morley stava cercando di incontrare il suo sguardo. Ricordandosi dei suoi doveri di comandante, la guardò e le rivolse un sorriso rassicurante ma un po’ forzato.
Lei non lo ricambiò; ai contrario, la sua espressione divenne ancora più severa. Lentamente, malignamente, spostò lo sguardo da lui a Sue Wilkins, poi tornò a fissare lui. Poi disse, con voce scandita e furente. «So benissimo cosa stavate facendo, voi due, chiusi nella cucina.»
Pat si senti salire le fiamme al viso per l’indignazione, tanto più che sapeva d’essere accusato ingiustamente. Per un attinto rimase inchiodato sul sedile, poi mormorò quasi tra sé: «Brutta strega, ti faccio vedere io!»
Si alzò in piedi, rivolse alla signorina Morley un sorriso carico di veleno, poi disse, a voce abbastanza forte perché la donna lo sentisse: «Signorina Wilkins! Mi pare che abbiamo dimenticato qualcosa. Volete, tornare in cucina con me, per favore?»
Come il portello si richiuse alle loro spalle, interrompendo la narrazione di un episodio che gettava forti dubbi sulla paternità del Duca di St. Alban, Sue Wilkins guardò Pat con aria sorpresa e perplessa.
«Hai sentito?» fece lui.
«Sentito cosa?»
«La Morley…»
«Ah» lo interruppe Susan. «Ma lasciala dire, povera diavola. Non ti ha mai staccato gli occhi di dosso da quando siamo partiti. Lo so io cos’ha.»
«Cos’ha?»
«È afflitta dal complesso della zitella. È un male abbastanza comune, e i sintomi sono sempre gli stessi. C’è un modo solo di curarlo.»
Le vie dell’amore sono strane e tortuose. Solo dieci minuti prima, Pat e Sue erano usciti insieme dalla cucinetta con l’intesa di restare buoni amici e basta. Ma adesso l’improbabile combinazione della signorina Morley e di Nell Gwynn, il pensiero dell’ingiustizia patita, ma soprattutto, forse, la certezza istintiva, fisiologica, che l’amore è in definitiva l’unica difesa contro la morte, si erano uniti per sopraffarli. Per un attimo rimasero immobili nel piccolo spazio del compartimento stagno; poi, senza sapere chi dei due si fosse mosso per primo, si trovarono l’uno nelle braccia dell’altra.
Sue ebbe tempo di mormorare solo una frase prima che Pat la baciasse.
«Non qui» bisbigliò. «Nel palazzo!»
Lawrence fissava lo schermo e cercava di decifrare il significato dell’immagine. A duecento metri di distanza, secondo il rivelatore a infrarossi, la superficie polverosa e deserta mostrava una zona lievemente più calda. La zona era di forma pressoché circolare, e assolutamente isolata; non c’era nessun’altra fonte di calore in tutta l’area circostante. Sebbene fosse più piccola rispetto alla macchia che Lawson aveva fotografato dal Lagrange, la posizione corrispondeva. Non c’era dubbio, quindi, che si trattasse della stessa.
Ma non era per nulla dimostrato che avesse origine dal Selene. Potevano esserci tante spiegazioni diverse; forse la chiazza indicava la presenza di un picco isolato che saliva dalle profondità fino a sfiorare la superficie del mare. C’era un solo modo di scoprirlo.
Читать дальше