Lei rifletté, aggrottando la fronte.
«Non ne sono sicura… ma come tu stesso hai detto, dobbiamo partire dal principio che ne usciremo. Altrimenti, tanto varrebbe darci per vinti subito.»
«Scusami» disse Pat. «A queste condizioni non ti voglio. Mi sei troppo cara, prima di tutto.»
«Sono contenta di sentirtelo dire. Lo sai che mi è sempre piaciuto lavorare con te… c’erano tanti altri posti ai quali avrei potuto farmi trasferire.»
«Ed è stata una vera sfortuna, per te, non averlo fatto» rispose Pat. Quel breve impeto di desiderio, provocato dalla vicinanza, dalla solitudine, dall’abbigliamento succinto e soprattutto dalla stanchezza dei nervi, era già superato.
«Ecco che fai di nuovo il pessimista» disse Sue. «Sai, il tuo guaio è proprio qui. Ti lasci abbattere dalle cose. E non fai niente per importi… tutti possono comandarti a bacchetta.»
Pat la guardò più sorpreso che offeso. «Non sapevo che tu passassi il tempo a psicanalizzarmi» disse.
«Non è questo. Ma quando una persona ti interessa, e ci lavori insieme, non puoi. fare a meno di studiarla un po’, ti pare?»
«Be’, non mi risulta che la gente mi comandi a bacchetta.»
«No? Chi è, al momento, il comandante del Selene?»
«Se ti riferisci al commodoro, è un altro paio di maniche. Lui è mille volte più qualificato di me per prendere il comando. E del resto si è comportato in modo correttissimo: non ha mai fatto nulla senza chiedere il mio permesso.»
«Ora non te lo chiede più. In ogni modo, non è questo il punto. Tu sei contento che si sia assunto il comando, di’ la verità.»
Pat guardò Sue, imbronciato ma anche intimidito.
«Forse hai ragione. Non ci ho mai tenuto a far sentire la mia voce, o a imporre la mia autorità, ammesso che ne abbia. Forse è per questo che faccio il conducente di un battello lunare, invece che il pilota spaziale. Ma ormai è un po’ tardi per tornare indietro.»
«Non hai ancora trent’anni.»
«Grazie del complimento, ma ne ho trentadue. Nella mia famiglia conserviamo i colori dei vent’anni fino a tardissima età. E di solito è l’unica cosa che ci resta, da vecchi.»
«Trentadue anni… e non hai ancora una fidanzata?»
Pat non voleva confessare che non l’aveva perché una volta era rimasto scottato. «No. È meglio averne diverse e nessuna fissa. C’è meno rischio.» Poi aggiunse: «Uno di questi giorni me la farò.»
«Già, e lo starai ancora dicendo quando sarai arrivato a quarant’anni… o a cinquanta. Ci sono tanti uomini dello spazio che parlano così. Arrivano alla pensione senza essersi formati una famiglia, e dopo è troppo tardi. Guarda il commodoro, per esempio.»
«Ancora lui? Comincio ad averne abbastanza di quest’argomento.»
«Ha passato tutta la vita nello spazio. Non ha famiglia, non ha figli. Dev’essersi sentito molto solo quando ha raggiunto i limiti di età. Questo incidente è stato un dono del Cielo, per Hansteen! Lo vedo, io, che se la gode un mondo.»
«Buon per lui, se lo merita. Sarò felice se avrò fatto un decimo di quello che ha fatto lui, quando arriverò alla sua età, il che per il momento sembra molto poco probabile.»
Pat si accorse di avere ancora in mano i fogli dell’inventario; se n’era completamente dimenticato. Servivano solo a ricordargli che le provviste stavano calando, e li guardò con disgusto.
«Torniamo al lavoro» disse. «Dobbiamo pensare ai passeggeri.»
«Se restiamo chiusi qua dentro ancora un po’» osservò Sue «cominceranno a pensare male di noi. Era più vicina al vero di quanto immaginasse.»
Il silenzio di Tom Lawson era durato anche troppo. Lawrence si disse che era tempo di riprendere le comunicazioni.
«Tutto bene?» s’informò, studiandosi di rendere la voce molto cordiale.
In risposta udì un’esclamazione breve e irosa… ma quella collera era rivolta all’universo, non a lui.
«Non funziona» spiegò Lawson esasperato. «L’immagine del calore è troppo confusa. Ci sono una quantità di zone più calde, e non solo quella che io immaginavo.»
«Fermate la slitta. Vengo a dare un’occhiata.»
La Slitta Due si fermò lentamente. La Slitta Uno le si accostò fino a sfiorarla. Muovendosi con sorprendente agilità nonostante l’ingombro della tuta spaziale, Lawrence si trasferì da un’imbarcazione all’altra e andò a mettersi, aggrappandosi alla tettoia della slitta, alle spalle di Lawson. Poi scrutò l’immagine che appariva sul convertitore a infrarossi.
«Ah, vedo. Già, è un bel pasticcio. Ma come mai era uniforme quando avete scattato le foto?»
«Dipenderà dal sorgere del sole. Il mare si riscalda, e per qualche ragione non si riscalda in modo uniforme.»
«Bisognerebbe capire se c’è un senso coerente nella disposizione delle macchie. Ho notato che qua e là ci sono zone quasi completamente fredde. Una spiegazione logica deve esserci.»
Lawson fece forza a se stesso per seguire il ragionamento dell’altro. Era molto stanco, e quell’improvvisa complicazione l’aveva svuotato d’ogni energia. Da due giorni non aveva un attimo di respiro.
«Spiegazioni possono essercene mille» sospirò. «La polvere sembra uniforme, ma forse non è uniforme il suo grado di conduttività. E inoltre dev’essere più profonda in alcuni punti che in altri, il che probabilmente altera il flusso del calore.»
Lawrence continuava a fissare lo schermo, cercando di stabilire un nesso tra l’immagine e il paesaggio che lo circondava.
«Un momento» disse. «Forse ci siamo.» Parlò al pilota. «Quanto è profonda la polvere qua intorno?»
«Non sì sa con esattezza, ma comunque pochi centimetri, perché siamo vicini alla costa settentrionale. A volte le eliche si rompono contro la Ì scogliera.»
«Pochi centimetri? Ma allora dev’essere questa la ragione! Se a ‘‘ due dita sotto di noi c’è la roccia, è evidente ‘che le onde di calore possono fare le cose più strane. Scommetto quello che volete che appena saremo di nuovo al largo, la vostra immagine tornerà uniforme.»
«Forse avete ragione» disse Tom rincuorato. «Certo, se il Selene è affondato, dev’essere affondato in un’area dove la polvere era piuttosto profonda.»
«Naturale. Bene, partiamo subito. Direi di fare una puntata verso il canyon; secondo me quella gola continua anche in profondità, e in quel punto la polvere è certamente più fonda che dove siamo ora.»
Le slitte procedevano lentamente, per dar tempo a Lawson di analizzare l’immagine. Dopo circa due chilometri, Tom dovette ammettere che Lawrence aveva perfettamente ragione.
Il labirinto di macchie chiare e scure stava fondendosi in una uniformità quasi costante; quel grigiore stava a indicare che la polvere sotto di loro diventava sempre più profonda.
Tom avrebbe dovuto sentire un senso di conforto all’idea che la sua ingegnosa apparecchiatura era veramente efficace, ma il risultato fu tutto l’opposto. L’astronomo riusciva a pensare solo agli insondati abissi sui quali stava galleggiando, affidato al più instabile e al più traditore degli elementi. Sotto la slitta passavano forse in quello stesso istante voragini profonde fino al centro della Luna; da un momento all’altro potevano spalancarsi e inghiottirlo come avevano inghiottito il Selene.
Si sentiva come un funambulo che cammina su una corda sospesa nel vuoto, o come un individuo costretto a percorrere uno strettissimo sentiero tra le sabbie mobili. Tom non aveva mai saputo in vita sua che cosa fosse la fiducia, in se stessi o negli altri e aveva trovato sicurezza e stabilità solo per il tramite delle sue notevoli capacità tecniche, mai attraverso il contatto umano e personale. Ora la precarietà della sua situazione attuale ridestava tutti i suoi segreti timori, gli dava un bisogno disperato di aggrapparsi a qualcosa di solido.
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