Il capitano Anson batté la palpebre, e tutto il suo atteggiamento cambiò di punto in bianco. Poi, con aria pensosa, si versò un altro whisky.
«Non avrei mai immaginato di fare l’alpinista alla mia età» disse. «Ma se siete tanto pazzi da buttarci in grembo sei milioni di dollari… allora il mio cuore è sugli altipiani.»
Con grande sollievo del marito, la deposizione della signora Schuster era stata interrotta dall’arrivo della colazione. La grassona chiacchierava volentieri, ed era evidente che aveva accolto con gioia quell’occasione di sfogarsi un po’, dopo tanti anni di contegnoso riserbo. La carriera di danzatrice della signora Schuster non era stata certo quella di una stella di prima grandezza, quando il destino e la polizia di Chicago l’avevano troncata bruscamente, ma la donna aveva vissuto nell’ambiente artistico e aveva conosciuto molte celebrità dell’inizio del secolo. Alla maggior parte dei passeggeri più anziani, le reminiscenze della Schuster avevano riportato ricordi di gioventù, e l’eco di canzoni in voga verso il millenovecentonovanta. A un certo punto, senza alcuna obiezione da parte della corte, la signora aveva trascinato l’intera compagnia a cantare in coro un famoso successo: Spacesuit Blues. «Come animatrice dell’atmosfera» pensava il commodoro, «la signora Schuster vale tanto oro quanto pesa… e non è poco.»
Dopo colazione venne ripresa la lettura, e stavolta i fautori di L’arancia e la mela riuscirono a spuntarla. Poiché l’argomento era ambientato in Inghilterra, venne deciso all’unanimità che il lettore più adatto era il signor Barrett. Barrett protestò energicamente, ma alla fine dovette arrendersi.
«E va bene» si rassegnò, a malincuore. «Coraggio, allora. Capitolo primo. Drury Lane, milleseicentosessantacinque…»
L’autore non sprecava tempo in preamboli. Dopo tre pagine, Sir Isaac Newton stava già spiegando la legge di gravità alla signora Gwynn, la quale aveva già lasciato capire d’essere più che disposta a offrire qualcosa in cambio. Pat Harris immaginava già di che cosa potesse trattarsi, ma il dovere lo chiamava. Quella distrazione era per i passeggeri: l’equipaggio aveva da lavorare.
«C’è un armadietto di emergenza che non ho ancora aperto» disse Sue Wilkins, mentre la porta interna del compartimento stagno si chiudeva silenziosamente dietro di loro, tagliando fuori la voce e l’accento purissimo del signor Barrett. «Gallette e marmellata cominciano a scarseggiare, ma la carne compressa è sempre abbondante.»
«Lo credo» disse Pat. «Nessuno la può soffrire. Vediamo un po’ questi elenchi, allora.»
La hostess gli porse l’inventario, ora tutto coperto di segni a matita. «Cominciamo da questa scatola. Cosa c’è dentro?»
«Sapone e asciugamani di carta.»
«Roba che non si mangia; e in questa?»
«Dolci; li tenevo da parte per i festeggiamenti… quando ci troveranno.»
«Ottima idea, ma penso che si possa sacrificarne una parte stasera. Uno a testa, prima che vadano a letto. E in questa?»
«Mille sigarette.»
«Fa’ in modo che nessuno le veda. Preferirei che non me l’avessi detto.» Le sorrise e passò alla scatola seguente. I viveri non sarebbero stati il problema principale, ma bisognava tenere in ordine l’inventario. Pat conosceva bene la pignoleria dell’amministrazione; una volta che fossero stati tratti in salvo, qualche contabile umano o elettronico avrebbe presto o tardi preteso di sapere quale uso era stato fatto delle provviste di bordo.
Una volta che fossero stati tratti in salvo… Ma ci credeva davvero, lui, che sarebbe avvenuto quel miracolo? Ormai erano sepolti da più di due giorni, e finora non c’era stato segno che qualcuno li stesse cercando. Pat non sapeva quali segni doveva aspettarsi, però li aspettava.
Vedendolo silenzioso e assorto, Sue domandò, preoccupata: «Che c’è, Pat? Qualcosa che non va?»
«Oh, no» fece lui, ironico. «Tra cinque minuti attraccheremo al molo della Base. È stato un viaggetto piacevole, vero?»
Sue lo fissò incredula; poi arrossì e gli occhi le si riempirono di lacrime.
«Scusami» disse Pat, subito pentito. «Non volevo essere sgarbato… lo sforzo è terribile per tutti e due, e tu sei stata bravissima. Non so come avremmo fatto senza di te, Sue, dico sul serio.»
Lei si asciugò le lacrime e riuscì a sorridere: «Sì, capisco. Non è niente, Pat.» Tacquero entrambi per qualche momento, poi lei disse: «Credi davvero che usciremo vivi da questo buco?»
Lui ebbe un gesto scoraggiato. «E chi può dirlo? In ogni modo, per il bene dei passeggeri dobbiamo darci un tono disinvolto. L’unica cosa sicura è che tutta la Luna ci sta cercando. Ormai non dovrebbero metterci molto, a trovarci.»
«Ma anche se ci trovano… come faranno a tirarci fuori di qui?»
Gli occhi di Pat andarono automaticamente al portello del compartimento stagno. Al di là di quella sottile parete di metallo c’erano tonnellate e tonnellate di polvere che si sarebbe precipitata all’interno, come acqua in una nave che affonda, se solo avesse potuto trovare una piccola falla dalla quale introdursi. Quanto era distante la superficie? Quello era il problema che aveva assillato Pat fin dal primo istante, ma non c’era modo di risolverlo.
Né c’era modo di rispondere alla domanda di Sue. Il pensiero si arrestava all’istante del ritrovamento: se li scoprivano, avrebbero certamente escogitato qualcosa per salvarli. La razza umana non li avrebbe abbandonati, una volta accertato che erano vivi…
Ma quello era un pio desiderio, non un ragionamento dettato dalla logica. Centinaia di volte, nel passato, uomini e donne si erano trovati intrappolati in situazioni più o meno analoghe, e le risorse di tutte le grandi nazioni non erano state sufficienti a trarli in salvo. C’erano stati minatori prigionieri delle gallerie, marinai prigionieri dei sommergibili affondati e, soprattutto, astronauti deviati in orbite irraggiungibili, fuori di ogni possibilità d’intercettamento.
Pat si strappò a quelle riflessioni deprimenti. La fortuna non li aveva ancora abbandonati, e pensare troppo al lupo voleva dire, in un certo senso, invitarlo.
«Sbrighiamoci a finire quest’inventario: Voglio sentire come se la cava Nelly con Sir Isaac.»
Ecco un argomento molto più gradevole, specie trovandosi a contatto di gomito con una bella ragazza vestita in modo alquanto sommario. In certe situazioni, pensava Pat, le donne hanno molti punti di vantaggio sugli uomini. Sue, infatti, nonostante che in quel calore tropicale non le restasse più molto della sua uniforme, conservava il suo aspetto ordinato. Lui, invece, come tutti gli uomini a bordo del Selene, si sentiva terribilmente a disagio con quella barbaccia di tre giorni, e d’altra parte non poteva farci niente.
A Sue parve non importare, però, quando Pat, rinunciando a far finta di lavorare, le si accostò fino ad appoggiare la guancia a quella di lei. D’altra parte, non mostrò nessun entusiasmo per quella vicinanza. Si tenne ferma davanti all’armadietto semivuoto, come se si fosse aspettata quella mossa e non ne fosse affatto sorpresa. Era una reazione sconcertante, e dopo qualche secondo Pat si tirò indietro.
«Forse mi giudicherai un individuo senza scrupoli» disse «che cerca di approfittare della situazione.»
«No, affatto» rispose Sue. Poi diede in una risatina stanca. «Sono contenta di constatare che non ho ancora perso il mio fascino. Nessuna donna si offende quando un uomo «tenta». È quando «insiste» che la cosa diventa seccante.»
«E tu non vuoi che io insista?»
«Non siamo innamorati, Pat. E per me questo ha una certa importanza. Perfino adesso, in una simile situazione.»
«Sarebbe importante anche se tu sapessi con certezza che non usciremo vivi di qua?»
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