«Non pensavo neanch’io di venirci. Lo devo al servizio che ho scritto sul Selene I. Ora faccio il viaggio d’inaugurazione per conto di Life Interplanetary.»
«Speriamo» osservò Pat «che la gita ci riservi meno emozioni dell’ultima volta. A proposito, siete in contatto con qualcuno degli altri? McKenzie e gli Schuster mi hanno scritto, qualche settimana fa, ma mi sono sempre domandato che sorte è toccata al povero Radley, dopo che Harding se l’è portato via.»
«Niente, ha solo perso l’impiego. La S.A.V.U. ha deciso di sospendere l’azione legale. Ora Radley si guadagna da vivere tenendo conferenze su «Ciò che ho visto sulla Luna». E sono convinta di una cosa.»
«Quale?»
«Un giorno o l’altro Radley tornerà qui.»
«Lo spero. In fondo non siamo riusciti a sapere che cosa cercava. Risero entrambi. Poi la Morley osservò:» Ho sentito che cambiate attività.
Pat parve imbarazzato. «E vero» confessò. «Ho chiesto il trasferimento. Farò il pilota spaziale, se riuscirò a superare gli esami, s’intende.»
Pat non era affatto certo di riuscirci, ma sapeva che doveva fare quello sforzo. Guidare un battello lunare era un lavoro divertente ed emozionante, ma non c’era speranza di avanzamento. Sue e il commodoro erano riusciti a convincerlo, ma c’era anche un’altra ragione…
Spesso Pat si era domandato quante altre vite avessero subito un cambiamento da quando il Mare della Sete aveva sbadigliato sotto le stelle. Nessuno di quelli che erano stati a bordo del Selene era uscito indenne da quell’esperienza, e in molti casi l’effetto era stato positivo. Ne era una prova il fatto che si potesse conversare così piacevolmente con la signorina Morley.
Anche le persone che si erano adoperate per le operazioni di soccorso ne avevano risentito, specialmente il dottor Lawson e l’ingegnere capo Lawrence. Pat aveva visto Lawson molte volte, quando lo scienziato teneva le sue conferenze scientifiche alla TV. Era grato all’astronomo, ma non riusciva a trovarlo simpatico. Eppure, Lawson era all’apice della popolarità.
Quanto a Lawrence, lavorava con impegno alle sue memorie, provvisoriamente intitolate Un uomo parla della Luna, e malediceva il giorno che aveva firmato il contratto con l’editore. Pat l’aveva aiutato per il capitolo che riguardava il Selene, e Sue, in attesa del bambino, leggeva il manoscritto.
«Se volete scusarmi» disse Pat, ricordando i suoi doveri di capitano «devo occuparmi degli altri passeggeri. Ma vi prego, venite a trovarci la prossima volta che capiterete a Clavius City.»
«Non mancherò» «promise la Morley, incredibilmente compiaciuta.»
Pat continuò il suo giro fino in fondo al salone, scambiando saluti e rispondendo a qualche domanda. Poi raggiunse il compartimento adiacente la cucina, entrò e chiuse la porta dietro di sé, ritrovandosi immediatamente solo.
C’era più posto, lì, che nel piccolo compartimento del Selene I, ma la disposizione era la medesima. Subito i ricordi lo assalirono, evocati dall’ambiente. Quella sarebbe potuta essere la tuta spaziale che aveva fornito ossigeno a lui e a McKenzie mentre gli altri dormivano, e quella, la parete contro la quale aveva premuto l’orecchio e aveva sentito il fruscio della polvere che si muoveva all’esterno. E l’intero locale sarebbe potuto essere quello in cui per la prima volta lui e Sue si erano amati.
C’era un’innovazione nel nuovo battello: una finestrina nel portello esterno del compartimento stagno. Pat premette il viso contro la superficie trasparente, e fissò la distesa del Mare della Sete.
Lui si trovava dalla parte in ombra, a fissare nella notte buia dello spazio. Il suo sguardo si abituò all’oscurità, e riuscì a distinguere le stelle. Solo le più luminose, perché arrivava abbastanza luce obliqua per impedirgli di vedere bene, ma erano là… C’era anche Giove, il più luminoso di tutti i pianeti dopo Venere.
Ben presto sarebbe andato lassù, lontano dal suo mondo natale. Il pensiero lo esaltava e lo atterriva, ma sapeva che doveva andarci.
Amava la Luna, ma la Luna aveva tentato di ucciderlo; mai più si sarebbe sentito completamente a suo agio su quella superficie nuda. Lo spazio aperto poteva essere ancora più ostile, ma non gli aveva ancora dichiarato guerra. Col suo stesso mondo, d’ora in poi, non poteva esserci invece che una neutralità armata.
La porta della cucina si apri, e la hostess entrò con un vassoio di tazze vuote. Pat si staccò dall’oblò e dalle stelle. La prossima volta che le avrebbe viste, sarebbero state un milione di volte più luminose.
Sorrise alla ragazza e abbracciò in un gesto il piccolo locale.
«È tutto vostro, signorina Johnson» disse. «Abbiatene cura.»
Poi ritornò verso la cabina di comando per guidare il Selene II nel viaggio che per lui era l’ultimo, per la nave il primo, attraverso il Mare della Sete.
FINE