— Stai migliorando, Matthew — disse.
— Il malessere è scomparso dopo la cittadella della dea — dissi.
— Non è questo che intendo.
In effetti avevo immaginato che non si riferisse al mio stato di salute. Perché il ragazzo doveva sempre parlare per enigmi, come se la vita stessa non fosse già un dramma dai molteplici significati?
Il cantore di sogni osservava gli animali muoversi lentamente in ampi cerchi, come se si inseguissero a vicenda senza essere veramente intenzionati a raggiungersi. Muovevano le minuscole teste da una parte all’altra.
— Sai cosa stanno facendo? — domandò il vecchio all’improvviso.
Osservai la scia circolare per un istante. — No — risposi.
— Stanno facendo l’amore — disse, e ridacchiò sotto la barba. John sospirò.
Il cielo si era aperto rivelando l’occhio tondo e rosso del sole. Ma c’era ancora foschia e continuava a cadere una pioggerellina leggera. Un arcobaleno attraversava il cielo verso nord. Era un arcobaleno rosso, un arco gigantesco che faceva una promessa al Genere Umano morto da tempo. Sorrisi ironicamente a quell’ambasciatore del creatore di caos.
— Eccoci qui alla deriva nel sangue del mondo — disse il cantore di sogni pervaso da un nuova riflessione. — E per quel che ci importa, potrebbe anche essere acqua.
L’affermazione non mi sembrò molto divertente e non risi. C’era un legame che non potevo capire, tra il cantore di sogni e quel mondo. Forse lui e la sua arpa l’avevano davvero creato. Forse nel mondo non erano rimasti che lui e l’eco dei suoi sogni.
Dall’alta torre che si ergeva solitaria nel mare di sangue, John, il cantore di sogni e io giungemmo al lago di luce. Niente si frapponeva, eppure ebbi l’impressione di aver fatto molta strada, di aver scalato alte colline e attraversato folte foreste, e che il cantore di sogni avesse trasportato la sua arpa per molti chilometri. Cominciai a chiedermi se la memoria non mi giocasse brutti scherzi.
Avevo la sensazione di conoscere il cantore di sogni molto meglio di quello che la nostra breve conoscenza poteva far supporre. Riuscivo a richiamare alla mente immagini del suo vagare nel mondo (il nostro mondo, da cui eravamo partiti per questo folle pellegrinaggio) senza che nessuno osasse discutere il suo diritto di passarvi o mettesse in discussione la sua bizzarra comparsa. Riuscivo a vederlo camminare a grandi passi con l’arpa tra le braccia, arpa che però non gli pesava, anzi che pareva in qualche modo sostenerlo. Non soffriva mai la fame né la mancanza di un letto per la notte, ma non lo vidi mai maneggiare del denaro. Talvolta, in quelle sere che sembravano irreali, intonava melodie lente e gravi che parlavano di altri viaggiatori e di terre fantastiche. Ma c’era sempre un accenno di vissuto nelle sue parole, un’emozione così vera che avrebbe potuto essere la mia, un elemento di quotidiana banalità nel grottesco scenario dell’immaginazione. Quelle canzoni per me erano così reali che mi sforzavo di ricordare in quali tempi potevo averle già ascoltate.
Riflettei sulla possibilità che i miei ricordi fossero solo i sogni e che quei ricordi fantasma fossero reali… che non avessimo mai viaggiato nel tempo. Ma l’ipotesi non mi soddisfaceva. Mi pareva probabile che una parte del cantore di sogni filtrasse in me, che l’assorbimento di parti di altri uomini, di sogni di altri uomini fosse così grande che la personalità stessa e l’esistenza del vecchio fluivano lentamente in una sorta di scambio.
Mi domandai, soprattutto, se il cantore di sogni non potesse essere l’Uomo Futuro. Ma John non si espresse in proposito e io avevo paura ad azzardare una simile ipotesi. Una cosa era chiara: adesso era il cantore di sogni a guidarci. John, che era sempre stato la guida e lo stimolo, aveva assunto un ruolo secondario, lasciando che fosse l’altro a scegliere la via da seguire e a fornire la forza motrice.
Il cantore di sogni sembrava sapere dove stava andando, benché non avesse mai menzionato a nessuno dei due una destinazione precisa. Ritengo possibile che seguisse quella strada solo perché gli era stata assegnata e come noi non avesse idea di dove conducesse.
Quando giungemmo sulle rive del lago di luce, però, seppi con certezza che quella era la fine, che qualcosa nel bagliore perlaceo di quell’irreale mare di colore poteva fornirmi un indizio, una risposta. Come saremmo salpati per navigare su quella conca di luce non lo sapevo, ma sapevo che al momento giusto, passeggiando sulla spiaggia, avremmo trovato il modo per farlo. La mia sola spiegazione a queste sensazioni e a queste strane certezze era che si trattasse di informazioni che filtravano dal cantore di sogni o dalla sua arpa.
Camminammo per chilometri lungo la spiaggia dorata, volgendo continuamente lo sguardo ai bagliori del lago velato di foschia. Le nostre orme sulla sabbia erano profonde e solitarie, e si allungavano dietro a noi fino a essere inghiottite da una nebbia di luce colorata. Mentre camminavamo notai nelle acque vorticose del laghetto delle forme modellate da una sostanza simile all’argento vivo. Vidi dei visi che esprimevano emozioni, persone e non-persone che mimavano strani gesti avvolti da una luce misteriosa.
Sentii che c’era un’affinità tra il lago di luce e l’arpa: ciascuno era a proprio modo lo specchio e la memoria di una razza la cui esistenza scorreva nel vecchio, sotto forma di sogno. Mi chiesi se il lago avesse il proprio cantore di sogni, un vettore umano per il suo pozzo di conoscenza e di emozione.
Improvvisamente ci imbattemmo nella barca. Era una piccola imbarcazione a remi, ma senza remi, che pareva stranamente comune e ordinaria in quel mondo fantastico al di là del vasto dominio del Tempo. Silenziosamente, ma con un bagliore negli occhi violetti e seminascosti, il cantore di sogni si sedette a prua e si sistemò accuratamente l’arpa tra le gambe. Io e John ci sedemmo di fronte a lui sull’altro sedile senza sapere che cosa fare, aspettando di vedere cosa sarebbe successo.
Lentamente, senza la minima increspatura del fumoso mare di colore, la barca cominciò a scivolare sul lago di luce. All’improvviso ci ritrovammo in mezzo alla nebbia. Non riuscivo più a vedere la spiaggia da cui eravamo partiti né il luogo verso cui ci dirigevamo. Anche il cielo era caoticamente ingemmato dalla vivida aurora boreale.
Il silenzio mi opprimeva. Il cantore di sogni non cambiò mai posizione né disse una sola parola. Le corde dell’arpa erano immobili e io desiderai che il vecchio suonasse, che evocasse un sogno antico e familiare per bandire dalla mia mente quel luogo. Quasi senza volerlo allungai la mano e pizzicai le corde, un gesto che prima non avrei mai osato compiere. Il cantore di sogni mi fissò senza sorpresa né rabbia, ma sentii che le corde si erano irrigidite: non riuscii a farle vibrare.
Girai le spalle ai colori che baluginavano accanto alla barca. Vidi nuovamente dei visi nella nebbia, volti silenziosi che comunicavano tra loro ma non con me.
Poi, più per rompere quel silenzio opprimente che per convinzione, dissi: — Penso di avere visto una faccia che conosco.
— Li conoscevo tutti… un tempo — sussurrò il cantore di sogni. Mentre ci immergevamo sempre di più in quel caos di colori, la nebbia divenne così fitta che la sagoma del vecchio a prua andò sempre più confondendosi con un pulviscolo luminoso che si muoveva lentamente ora illuminandolo, ora facendolo sprofondare nell’oscurità più cupa, mantenendo però sempre quell’effetto cangiante e caleidoscopico che mi confondeva e mi spaventava più di tutti gli strani fenomeni legati al cantore di sogni.
— Quanta strada dobbiamo percorrere ancora? — chiesi infine.
— Non più del necessario — rispose il vecchio dall’oscurità. Di sicuro aveva colto la paura nelle mie parole poiché soggiunse: — Dimenticate che vi sia un uomo in queste ombre colorate. Non cercate di vedermi perché più ci provate più sarà facile che mi perdiate.
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