Brian Stableford - Il giogo del tempo

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Specialista di mondi esotici e contaminati, Brian M. Stableford ci porta in un tempo in cui l’umanità sarà tornata alla superstizione e alla barbarie. Ma in quel mondo d’ombre circolano strane voci sulla prodigiosa scienza degli antichi. Bisogna ritrovare il Viaggiatore del tempo! Una pericolosa avventura aspetta Matthew e John, due pellegrini disposti a tutto pur di trovare quel mitico superstite… Il salvatore.

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In quel punto la costa era una lunga linea continua di scogli neri. Non vi erano spiagge ma solo piccole insenature dove si depositava la sabbia. Giungemmo a una cornice di roccia. In basso le fosche onde lambivano senza vita la parete butterata della scogliera. Il cantore di sogni posò l’arpa e si sedette, fissando tristemente l’acqua torbida e opaca. Mi disposi ad aspettare, facendo come sempre affidamento su John che di certo sapeva quel che faceva perché quello era il suo pellegrinaggio.

Lo spilungone non si dimostrò altrettanto paziente. — Cosa stiamo aspettando?

— La marea — rispose il vecchio. Teneva il mento appoggiato sulla mano segnata da cicatrici, e la sua voce parve soffocata dall’intricata massa della barba.

— Nonostante il potere dell’arpa dobbiamo sottostare alla marea? — domandò con disprezzo e con un pizzico di acredine l’ultimo uomo, ma alla fine accettò la situazione.

— Suona, mentre aspettiamo — disse John. Forse per questo seguiva ancora il vecchio. Pensava che il segreto potesse risiedere nei sogni che riecheggiavano dalla mente del cantore.

Il cantore di sogni sistemò l’arpa tra le ginocchia e allungò le dita sulle corde. Le sfiorò delicatamente e quelle sussultarono emettendo la loro melodia. Le molteplici voci del vecchio si unirono alla musica e il rumore del mare svanì completamente.

Ero appollaiato su un edificio di una città di vetro e d’argento. Torri enormi, guglie e minareti si innalzavano, collegati da lunghi filamenti d’argento che avvampavano e pulsavano nel sole di mezzogiorno. Era il vecchio sole: il sole giallo e luminoso. Nella piazza sottostante, ornata di statue di cristallo, c’era un laghetto limpido. Il terreno era simile alla fluida trasparenza del vetro azzurrino. Le cime degli alti grattacieli splendevano e luccicavano come gemme dalle numerose sfaccettature. E ovunque c’era luce, non esisteva il buio, né angoli d’ombra perché quella città emanava una luce propria.

Questo era un sogno di John, era ovvio. Il suo vecchio sogno, il sogno che ancora covava da qualche parte nella mente, l’Età dell’Oro, l’Epoca delle Conquiste dell’Uomo.

Su uno dei grattacieli vicini quattro persone affacciate al balcone guardavano il cielo blu e luminoso. Erano vestite in modo sfarzoso, con fluenti abiti bianchi e porpora, con braccialetti d’oro e colletti di trine. Calzavano sandali cristallini e portavano brache di seta iridescente. Avevano addosso numerosi ninnoli e gioielli. L’unica donna del gruppo portava enormi orecchini di brillanti e anelli con ametiste, rubini e zirconi. Sul capo portava una tiara scintillante tempestata di diamanti.

Anche gli uomini avevano anelli di lucide pietre preziose, ma portavano corone d’oro e d’argento intrecciati a spirale. Avevano al collo opalescenti catene luccicanti. Si sporgevano all’indietro per guardare in alto e con le loro mani, forti e sottili, stringevano la ringhiera del balcone. Avevano tutti lineamenti piacevoli, viso ben abbronzato, occhi splendenti come i loro gioielli, labbra carnose e rosse come rubini, sopracciglia scure e aggrottate, capelli neri come l’ebano… quelli degli uomini arrivavano fino alle spalle, quelli della donna ricadevano in trecce lucenti lungo la schiena. Ogni loro atteggiamento esprimeva freschezza e vitalità.

“Oh, John” pensai “perché il tuo sogno deve essere così impossibile? Non poteva esistere un’età trionfale senza questi ornamenti e questa esagerata perfezione? È troppo vuota, John, troppo lontana.”

Improvvisamente uno stormo di uccelli scuri attraversò velocemente il cielo e scomparve dietro gli edifici. Un minuscolo aeroplano di metallo scintillante entrò nel mio campo visivo mentale. Una forma piccola e scura stava scendendo lentamente. I miei occhi misero a fuoco una creatura dalle grandi ali che lentamente planava sulla città puntando verso il tetto del palazzo su cui eravamo noi. Al primo sguardo mi parve un grosso uccello, ma presto mi resi conto che aveva le sembianze di un uomo alato, come Raon il Reietto della città della notte. Per un istante pensai che potesse essere Raon, che John inserisse nuovi incontri in vecchi sogni, ma non era Raon, era molto più robusto.

Volava in posizione verticale, braccia conserte sul petto, e perdeva lentamente quota come una foglia d’autunno. Aveva scorto qualcosa nella città e parve guardare dritto verso di me. Mi chiesi se fossi visibile ai suoi occhi quanto lui lo era ai miei.

Nel cielo abbagliante, molto più in alto dell’uomo-uccello in planata, vidi un secondo puntino nero muoversi con decisione sopra le torri a pinnacolo.

In quello stesso momento i quattro spettatori si accorsero di me: evidentemente avevano seguito la direzione dello sguardo dell’uomo-uccello. Ero visibile: una piccola misera figura sul tetto di un palazzo di una città perfetta. Di sicuro ero parso loro incredibilmente strano nei miei vestiti sporchi per il viaggio. Ma era questo ciò che vedevano? Non ne potevo essere certo. Forse videro tutti noi quattro. Per un attimo parvero eccitati, poi tornarono a guardare il cielo e cominciarono a mostrare segni di agitazione.

Il puntino nero più in alto si abbassò permettendoci di vedere che si trattava di un altro uomo alato. Questo si mise a girare in tondo e poi, per un istante, indugiò nell’aria allineandosi alla mia posizione e a quella del primo uomo volante. Quest’ultimo si avvicinò a me sbattendo le ali con indifferenza, come per verificare più da vicino quella strana visione.

Vidi il suo corpo nudo, le gambe deboli e magre con tre dita per piede, le mani dalle dita sottili e affusolate e le braccia muscolose e potenti. Vidi le protuberanze delle scapole dove le grandi ali coperte di lucide penne si estendevano dal corpo, e i muscoli eccezionalmente sviluppati del torso e della zona lombare dell’uomo.

Il secondo uomo-uccello ripiegò le ali in modo che le alule si toccassero e le primarie s’inclinassero orizzontalmente rispetto al corpo, e scese a perpendicolo come un sasso.

L’uomo rimasto sospeso in cielo mi guardò con espressione confusa. Aveva occhi piccoli e scuri che scintillavano di curiosità e la fronte increspata da minuscole pieghe. Le ali, aperte e piegate, battevano piano, ritmicamente, per sostenerlo meglio.

I quattro al balcone osservavano affascinati, e i loro occhi sembravano brillare per l’emozione.

Volevo urlare un avvertimento ma non avevo voce.

Il secondo uomo alato sopraggiunse. Allargò di scatto le ali per frenare la picchiata poi, avvicinandosi all’altro uomo-uccello, cominciò a sbatterle freneticamente proprio sopra quest’ultimo. Con dita munite (lo notai all’improvviso) di artigli d’acciaio artificiali cominciò a graffiargli la schiena.

L’uomo colpito protese indietro e in alto la testa e contrasse i potenti muscoli. Il cacciatore risalì con movimenti circolari e vibrò gli artigli affilati, squarciando la gola indifesa della preda. Dal collo sgorgò a fiotti sangue arterioso, di un rosso brillante. Le membra del ferito furono percorse da uno spasmo e il suo corpo cominciò a precipitare. L’altro completò con una picchiata la manovra e afferrò abilmente per le ascelle la vittima; poi, battendo le ali anche più velocemente, inondato dal sangue che gli si riversava addosso, cominciò a planare verso i quattro falconieri in attesa.

E la scena terminò.

Seguì un lungo silenzio, mentre le onde lambivano la roccia sempre più in alto. Sporgendomi dallo spuntone di roccia riuscii a immergere le dita nell’acqua. Cercai di vedere cosa vi fosse sotto la superficie, ma la luce era scarsa e l’acqua densa e oleosa.

John si sedette accanto a me.

— All’inizio ho pensato che fosse un tuo sogno — dissi.

— Anch’io — rispose. Aveva le labbra raggrinzite, come per un gusto cattivo in bocca.

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