Mi accodai nella corrente del traffico. Era una buona automobile. La migliore che avessi mai guidato. Malgrado la sua provenienza, malgrado tutto, ero orgoglioso di averla.
Arrivato al motel, trovai altre due macchine oltre quella di Quinn. Con lo spargersi della voce, entro poco tempo tutti gli ambienti del motel sarebbero stati occupati. Bastava una leva, un martello, uno scalpello, per scassinare la serratura ed entrare. Almeno per il momento, nell’avversità le persone sarebbero state solidali tra loro. Solo più avanti avrebbero cominciato a pensare ognuno per sé. Per poi magari, ancora più in là nel tempo, tornare a fare gruppo, perché la forza dell’Uomo risiede nell’unità.
Quando scesi dalla Cadillac, Quinn usciva dalla sua casetta. Mi venne incontro.
— Che meraviglia! — commentò.
— È di un mio amico — risposi. — Riposato bene?
— Non dormivo così bene da un sacco di tempo! Mia moglie è felice. Dopo tanta tristezza…
— Abbiamo parecchi nuovi vicini, a quanto pare — osservai.
Annuì. — Sono passati di qui e si sono fermati a chiedermi come avessi fatto a entrare. E gliellio detto. Poi sono andato a comprare il fucile come mi ha suggerito. Per me è una novità, e mi fa uno strano effetto, ma dà anche un senso di sicurezza. Non avevano carabine, così ho preso un fucile da caccia. Forse è meglio, perché non sono un gran tiratore.
— Non è riuscito a trovare altro? — gli chiesi.
— No. Ho provato da tre armaioli, ma erano sforniti di tutto. Solo dal quarto sono riuscito a trovare questo fucile da caccia, che ho comprato al volo.
Così, anche i fucili cominciavano a scarseggiare, acquistati da gente che riteneva più prudente avere un’arma a portata di mano per ogni evenienza.
— Stanno succedendo cose molte strane — riprese Quinn. — Non ne ho ancora parlato a mia moglie, per non spaventarla. Andando a fare la spesa, ho fatto un salto alla nostra vecchia casa, quella che abbiamo venduto. Era la prima volta che la rivedevo da quando ce ne siamo andati. Neanche mia moglie ci è più tornata da allora, perché diceva che avrebbe sofferto troppo. Be’, era vuota, signor Graves. Perché ci hanno costretti a lasciarla, se non ne avevano bisogno? Dicevano di avere tanta fretta di occuparla, ma sembra che non fosse vero. Che ne pensa?
— Non so — risposi laconicamente.
Forse avrei dovuto dirgli la verità. Chissà, magari mi avrebbe creduto, dopo tante sofferenze. E Dio solo sa quanto avessi bisogno di trovare una persona disposta a credermi, per condividere l’incubo che mi opprimeva. Ma preferii non dirgli nulla, perché non ne vedevo alcun beneficio. Meglio non turbarlo ora che, in un certo senso, aveva ritrovato la tranquillità. Probabilmente pensava che tutto quello che gli era capitato fosse da attribuire a una cattiva congiuntura economica, che lui non riusciva ad afferrare, ma che comunque rientrava all’interno di categorie consolidate.
Se gli avessi detto la verità, l’avrei ridotto alla disperazione e messo di fronte all’ignoto. E questo avrebbe generato panico allo stato puro.
Se avessi potuto farmi capire da un milione di persone, e tutte sensate, in mezzo a quel milione ci sarebbe stata certamente una minoranza che avrebbe affrontato la cosa con calma e obbiettività, mettendosi alla testa di un movimento antialieni. Ma raccontare certe cose a un piccolo gruppo di persone in una singola cittadina non avrebbe avuto alcuno scopo.
— Tutto questo non ha alcun senso — proseguì Quinn. — Tutto quanto non ha senso. Ho passato notti intere a spremermi le meningi, senza ricavarne nulla. Ma ero uscito per invitarvi a pranzo con noi, lei e sua moglie. Niente di eccezionale, si intende. Però abbiamo l’occorrente per una grigliata, potremo bere un paio di bicchieri e scambiare quattro chiacchiere.
— Joy non è mia moglie, signor Quinn — gli dissi. — Sono le circostanze che ci hanno, diciamo, messi insieme.
— Ops! — rispose. — Chiedo scusa, un equivoco. Spero di non aver toccato un tasto sbagliato.
— No, no, affatto.
— Allora restate a pranzo con noi?
— Sarà per un’altra volta. Comunque la ringrazio molto. È che ho un sacco di cose da portare a termine.
Rimase fermo a guardarmi, poi disse: — Mi dovrebbe spiegare una cosa che non mi è ancora chiara, signor Graves. Ieri sera ha detto che non si trovano case né qui né in altre città. Come fa a saperlo?
— Sono un giornalista, me ne sto occupando.
— Ha già scoperto cosa c’è sotto, quindi?
— Non molto, per la verità.
Rimase un momento in silenzio, e io non aggiunsi altro. Quinn salutò e rientrò in casa. Poveraccio lui, e non che io mi sentissi meglio.
Entrai in casa. Joy non era ancora tornata. Probabilmente in redazione Gavin non l’aveva lasciata con le mani in mano.
Tolsi di tasca il denaro e lo nascosi sotto il materasso del mio letto. Non era un nascondiglio molto fantasioso, ma nessuno immaginava che avessi tanti soldi con me. Certo non potevo lasciarli in giro.
Presi il fucile, uscii per rimetterlo in macchina.
Quindi feci una cosa che avevo in mente fin da quando ero partito da casa Belmont: esaminai la Cadillac da cima a fondo. Sollevai il cofano e guardai il motore, mi sdraiai sotto la vettura.
Quando ebbi finito, non avevo più alcun dubbio. Era proprio ciò che sembrava. Un’automobile di un modello di lusso, ma assolutamente normale. Niente di strano, nessun pezzo in più o in meno. Non avevo trovato bombe né altri segni di manomissione. Quindi ero sicuro che non si trattasse di un altro trucco ideato dalle sfere per imitare qualcosa di terrestre. Era fatta di solido acciaio, vetro e cromo.
Mentre con le nocche battevo sul parafango, per sentire il suono robusto della struttura, pensai che sarebbe stato utile richiamare il senatore Roger Hill. L’aveva detto lui di rifarmi vivo, “passata la sbornia”, se volevo rivelargli qualcosa.
Sobrio, ero sobrio. E di cose da rivelare ne avevo.
Prevedevo la sua probabile reazione, tuttavia tentare non nuoceva. Gli avrei telefonato dal solito ristorantino.
— Salve, Parker — mi disse il senatore — Felice di sentirti.
— Spero che mi ascolterai, stavolta.
— Volentieri — disse in quel suo tono mellifluo — a patto che non ricominci con quella barzelletta sugli alieni invasori.
— Senti… — lo interruppi.
— Posso dirti che scoppierà un pandemonio… Ma siamo intesi, non te l’ho raccontato io…
— Questo lo so — dissi. — Ogni volta che spifferi qualche indiscrezione, non sei stato tu a dirmelo.
— Be’, ascolta. Scoppierà un pandemonio all’apertura della Borsa lunedì mattina. Non sappiamo cosa stia succedendo, ma è certo che le banche non hanno contanti. Proprio così: nessuna banca. Dappertutto stanno facendo gli straordinari per controllare dove sia andato a finire il contante. Ma questo non è ancora il peggio.
— E quale?
— C’è che di denaro prima ce n’era in giro fin troppo — proseguì Roger. — Addizionando tutto il contante esistente fino a venerdì nelle banche, si ottiene una cifra esorbitante, giuridicamente impossibile. Ti dico, Parker, che non esiste tutto quel contante in tutti gli Stati Uniti.
— E adesso è svanito.
— Svanito — disse il senatore. — In base alle stime, adesso il contante depositato nelle banche si trova in quantità pressoché normale.
Attesi che continuasse, e nella pausa lo sentii tirare un profondo respiro.
— Ma non è finita — aggiunse. — Circolano tante voci, tanti “si dice”. Non si fa a tempo a controllarne una, che ne spunta un’altra.
— Che voci?
Esitò un attimo, quindi disse: — Mi raccomando, Parker, è una notizia riservata!
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