Clifford Simak - Camminavano come noi

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Camminavano come noi: краткое содержание, описание и аннотация

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La crisi degli alloggi, che deve essere molto sentita anche negli Stati Uniti, ha probabilmente ispirato a Clifford Simak questo suo recentissimo libro, dove si dimostra come la sempre più difficile situazione in cui si trovano gli abitanti delle moderne metropoli possa avere, in realtà, un’origine extraterrestre, possa dipendere dalle oscure manovre di una razza d’invasori spaziali. E che l’umanità debba infine la sua salvezza non alla propria intelligenza o alle proprie armi, ma a un’altra «razza», tra le meno nobili del nostro pianeta, non è che una delle molte trovate di questo ironico e movimentato romanzo.

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— Non si preoccupi eccessivamente per noi — ribatté Atwood. — Pagheremo le tasse. E ben volentieri.

— La vostra idea è di rovesciare i governi — chiesi — e quindi non pagherete le tasse. È così?

— Niente affatto — rispose Atwood con fermezza. — Non ci pensiamo nemmeno. Sarebbe illegale.

La cosa non andava. Non c’era niente che mi piacesse.

Perché gli alieni avrebbero controllato la Terra e le risorse naturali e tutto quello che era stato costruito sul suolo, e non avrebbero sfruttato la terra né nessun’altra cosa per i suoi usi normali. Non avrebbero seminato niente, e niente sarebbe cresciuto. Nessuna fabbrica avrebbe più funzionato. Nessun metallo sarebbe più stato estratto. Nessun albero tagliato.

La gente sarebbe stata privata non solo delle sue proprietà, ma anche delle eredità. Insieme alla terra e alle case, alle fabbriche e al lavoro, alle merci e al cibo, se ne sarebbero andate anche la speranza, le aspirazioni, le opportunità, nonché la fede che avevano forgiato l’umanità. Non era importante sapere quanto della Terra possedessero effettivamente gli alieni. Non avevano bisogno di acquistare tutto. Tutto quello che serviva era fermare le industrie, bloccare i commerci, distruggere dalle fondamenta la rete finanziaria. E quando questo fosse successo, non ci sarebbe più stato lavoro, né credito né affari. E il sogno umano sarebbe morto.

Non era realmente importante che gli alieni acquistassero case e appartamenti, quando tutto il resto fosse sparito, perché le quattro mura che un uomo chiama casa sarebbero diventate solo un posto per morire. L’incetta di case era quindi una semplice campagna terroristica, oppure un indizio del fatto che gli alieni non avevano capito quanto poco sforzo fosse necessario per dare il colpo finale.

Ci sarebbero stati programmi assistenziali, certo, per sfamare la gente e, se possibile, dar loro un tetto. Non sarebbe mancato il denaro per le iniziative assistenziali, perché gli alieni avrebbero pagato le tasse con viva soddisfazione. Ma, in una situazione del genere, il denaro sarebbe stata la cosa più a buon mercato. Infatti, che cosa importava il prezzo di una patata o di una pagnotta di pane, quando non ci fossero più state patate né farina?

Ci sarebbero state ribellioni, una volta risaputa la situazione. Non solo a livello popolare, ma di governi. Ma, per quel momento, gli alieni avrebbero ormai organizzato le loro difese, qualcosa che nessuno poteva immaginare. Forse facendo terra bruciata, dando case, fabbriche e tutto il resto alle fiamme, o distruggendo in modo che nessuno potesse ricostruire. Ci sarebbe stata solo la terra per cui combattere, ma la nuda terra non era sufficiente.

Se si fosse potuto agire immediatamente, ero sicuro che gi alieni potevano ancora essere battuti. Alla condizione, però, che esistesse in giro la buona volontà di credere a cosa stava accadendo. E qui veniva il guaio. Amaramente, mi resi conto che, perché si accettasse la situazione in tutta la sua brutalità, occorreva aspettare finché il mondo non si fosse trovato completamente in preda al caos, ma allora sarebbe stato troppo tardi.

In quel momento realizzai che ero stato battuto. Che eravamo stati battuti.

Herbert George Wells aveva descritto, a suo tempo, una celebre invasione aliena, e poi molti altri dopo di lui, con fantasia da vendere. Eppure nessuno di loro, mi pareva, era arrivato vicino alla vera soluzione. Nessuno aveva previsto che proprio quelle strutture sociali che avevamo edificato con tanta fatica lungo i secoli si sarebbero rivelate un’arma a doppio taglio. La libertà e il diritto di proprietà si erano trasformate in una trappola che avevamo teso contro noi stessi.

Joy mi tirò per il braccio. — Andiamocene via! — disse.

Ci voltammo e ci avviammo all’uscita.

Dietro di me sentii Atwood che diceva: — Torni a trovarmi domani. Lei e io potremmo intenderci.

26

Fuori pioveva. Una pioggerella insistente, continua, deprimente. Proprio la notte ideale per far da sfondo al nostro mondo che crollava, pensai. Anzi no, non crollava: sarebbe stato troppo spettacolare. Vogliamo dire che si stava afflosciando? Ecco, la notte ideale per un mondo che si afflosciava su se stesso, sempre più debole senza sapere perché, senza neppure accorgersi di esserlo. Finché non fosse rimasto piatto e vuoto.

Aprii la portiera della macchina per far salire Joy, ma la richiusi immediatamente per impedirle di entrare.

— Dimenticavo. Potrebbe esserci un’altra bomba — dissi.

Joy mi guardò, scostando con la mano una ciocca che le era caduta sulla fronte.

— Non credo — disse. — Se ti vuol vedere domani…

— Storie! L’ha detto così per dire. Era il suo modo di sembrare spiritoso.

— Anche se ci fosse una bomba, non tornerei mai a piedi in città, con questa pioggia e a quest’ora di notte. E poi, se non l’hanno messa prima, perché metterla ora?

— Allora entro solo io e metto in moto. Tu mettiti al riparo…

— No — si oppose con fermezza Joy, afferrando la maniglia e aprendo con violenza lo sportello.

Presi posto anch’io, e girai la chiavetta.

— Visto? — disse Joy.

— Avrebbe potuto esserci — osservai.

— Non possiamo vivere eternamente nel terrore di tutto — disse lei. — Tanto, se vogliono ucciderci, hanno milioni di altri modi per farlo.

— Sono stati loro a uccidere Stirling, e chissà quanti altri. Con me ci hanno già provato due volte.

— Senza riuscirci — disse Joy. — Ho l’impressione che non ci proveranno più.

— Intuito femminile?

— Forse anche loro hanno un intuito, Parker.

— E questo che c’entra?

— Forse niente — spiegò Joy. — Non intendevo dire quello. Volevo dire che, quantunque questi esseri cerchino di imitarci, di studiarci, non riusciranno mai a pensare come noi.

— Perciò credi che, quando non riescono a uccidere qualcuno dopo aver tentato due volte, ci rinuncino?

— Più o meno. Comunque non faranno lo stesso tentativo due volte.

— Quindi, per ora sono al sicuro da trappole, bombe, e da quell’affare che si muoveva nell’armadio…

— Può essere una loro forma di superstizione — disse Joy. — Può far parte della loro logica, che non conosciamo.

Capii che aveva rimuginato per tutto il tempo sui pochi dati, o “quasi dati”, a disposizione. Secondo me, però, era davvero impossibile farsi un’idea esatta della cosa. Troppo pochi elementi su cui ragionare. Usavamo categorie umane, sforzandoci di entrare dentro la testa di un alieno, ma senza avere la minima idea di come funzionasse. Anche a saperlo, poi, non c’erano garanzie che le deduzioni sarebbero state corrette.

In un certo senso, Joy aveva ragionato al contrario. Gli alieni, non importa quanto impegno ci mettessero, non sarebbero mai riusciti a pensare come noi. Eppure avevano più possibilità loro di capire il nostro bizzarro cervello che viceversa, se non altro perché ci avevano studiato, chissà per quanto tempo. E a questo si erano dedicati in tanti, forse tantissimi. Aspetta un attimo, però: questo era il modo giusto di impostare il problema? E se ce ne fosse stato Uno solo, in grado di suddividersi in infinite palle da bowling, in modo da potersi trovare simultaneamente in luoghi diversi, sotto forme diverse?

Anche ammesso che fossero singoli individui, il legame tra loro risultava molto più profondo che tra un uomo e l’altro. Infatti occorreva un intero gruppo di sfere per simulare un singolo essere umano, come Atwood o la ragazza del bar. Per riuscirci, gli alieni dovevano essere perfettamente coordinati. Da molti, diventare uno.

Superato il viale dell’Università, mi diressi verso il centro.

— E adesso? — le chiesi per avere lumi.

— Non me la sento di tornare a casa — disse Joy. — Potrebbero essere ancora là.

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