— Un momento, dannazione — lo interruppi. — Dice che sapevate di me. Ma non solo di me, vero?
— Certo che no, abbiamo raccolto informazioni su tutti coloro che potevano trovarsi nelle condizioni di scoprire la nostra esistenza. Giornalisti, funzionali di polizia, pubblici ufficiali, industriali importanti e…
— E li avete studiati tutti per benino?
Sorrise compiaciuto: — Tutti.
— Ce n’erano altri, oltre a me?
— Naturalmente, un certo numero.
— E, per tutti, trappole e bombe.
— I mezzi possono essere vari — disse.
— Li avete uccisi — incalzai.
— Se proprio insiste. Ma la pregherei di non recitare la parte del giusto perseguitato. Venendo qui stanotte, aveva tutte le intenzioni di versare dell’acido nel lavandino.
— Già — ammisi. — Ma ora mi rendo conto che sarebbe stato inutile.
— È altamente probabile — disse — che si sarebbe sbarazzato di me. O almeno, della maggior parte di me. Ero proprio li nel lavandino, sa?
— Di lei, ma non di tutti gli altri.
— Che cosa vuole insinuare? — chiese.
— Appena eliminato lei, sarebbe arrivato un altro Atwood. Basta che lo vogliate, e ne salta fuori un altro. E francamente non ha senso portare avanti una guerra interminabile agli Atwood, se poi tanto ne arriverà sempre uno nuovo.
— Eppure non riesco a farmi un’idea di voi umani — disse Atwood pensoso. — C’è qualcosa in voi che sembra assolutamente illogico. Vi siete dati le vostre regole di condotta, avete creato i vostri bei modelli sociali, ma non avete un modello di voi stessi. A volte siete incredibilmente stupidi, e un secondo dopo siete incredibilmente brillanti. Ma la cosa più fenomenale è la fede innata che avete nel destino. Nel vostro destino, intendo dire, non quello degli altri. Una caratteristica che lascia stupefatti.
— Mentre lei, se io le avessi versato dell’acido addosso, non mi avrebbe serbato rancore — dissi.
— Non particolarmente — rispose Atwood.
— È questa la differenza che ci distingue — gli dissi. — Io provo verso di lei il massimo rancore, odio lei e i suoi simili per aver tentato di uccidermi. E ancora di più odio lei per aver ucciso il mio amico.
— Lo dimostri — disse lui, in tono di sfida.
— Che vuol dire?
— Dimostri che sono stato io a uccidere il suo amico. Credo che questo sia un atteggiamento genuinamente umano. Si può essere assolti da qualunque crimine, se l’accusa non riesce a provare la colpevolezza dell’imputato. E poi, signor Graves, esistono diversi punti di vista. Le circostanze modificano i modi di pensare.
— Vale a dire che altrove l’omicidio non è un crimine?
— Questo è il punto — approvò Atwood.
I guizzi irregolari della fiamma del fornello a spirito proiettavano ombre curiose sulle pareti. Sembrava così scontato che noi due, esseri prodotti da pianeti diversi, con civiltà diverse, fossimo lì a fare normale conversazione. Forse a renderlo possibile era il fatto che quella creatura, qualunque cosa fosse, aveva assunto fattezze umane e aveva imparato le parole e i gesti degli uomini; forse, in qualche misura, anche il loro modo di ragionare. Mi chiedevo se l’effetto si sarebbe mantenuto se, seduta al suo posto, ci fosse stata una sfera non trasformata in uomo o in qualcos’altro, magari che parlava senza muovere le labbra, come il Cane. O se l’essere che avevo di fronte, che almeno per il momento impersonava Atwood, avrebbe potuto esprimersi così scioltamente e così bene, se non avesse acquisito una sia pur minima conoscenza superficiale del pianeta e dell’umanità.
Da quanto tempo questi (quanti?) alieni erano sulla Terra? Forse da anni, adattandosi con un lavorio paziente non solo alle conoscenze ma anche al modo di sentire dei terrestri, studiandone i modelli sociali, i sistemi economici e i mercati finanziari. C’era senz’altro voluto molto tempo, mi dissi, perché non solo erano dovuti partire da zero per capirci, non solo avevano dovuto affrontare cose a loro ignote, ma anche tutti gli intrichi del labirinto delle nostre leggi sul diritto di proprietà e sul mondo affaristico.
Joy mi posò una mano sul braccio e disse: — Andiamo. Questo tipo non mi piace affatto.
— Signorina Kane — intervenne Atwood — eravamo preparati al vostro disprezzo. Anzi, a dire il vero devo confessare che non ci fa alcun effetto.
— Stamattina ho parlato con un’intera famiglia, disperata perché non sa più dove andare ad abitare — disse Joy. — E questa sera ho incontrato un’altra famiglia sfrattata e senza lavoro.
— Cose come queste sono sempre avvenute nella vostra storia — rispose Atwood. — L’ho letto nei vostri stessi libri. Non abbiamo fatto niente di nuovo, perché si tratta di fenomeni antichissimi, almeno secondo la vostra scala cronologica. Noi, anzi, l’abbiamo fatto onestamente, sempre nei termini della legalità.
Era, pensai, come se noi tre stessimo recitando in un dramma moralistico, con i peccati di fondo dell’umanità moltiplicati per un milione di volte, allo scopo di dimostrare un assurdo per eccesso di prove.
Sentii la stretta di Joy tremare sul mio braccio, capii che era dovuto al fatto che per la prima volta aveva compreso l’assoluta amoralità della creatura che ci stava di fronte. E forse aveva anche capito che quella creatura, quell’Atwood, non era altro che la proiezione di una grande, immensa orda di altri come lui, una forza aliena che voleva strapparci la Terra dalle mani. Dietro la cosa che sedeva a quel tavolo, si intravedeva la tenebra devastante piombata lì da qualche stella lontana per eliminare l’Uomo. E, peggio ancora, non solo l’Uomo, ma tutte le sue opere e i suoi sogni, per quanto imperfetti come tutti i sogni.
La grande tragedia non era la fine dell’Uomo in sé ma la fine di tutto quello che l’Uomo aveva costruito, tutto quello che aveva progettato.
— Per quanto — continuò Atwood — la razza umana ci possa incolpare, e perfino odiare, non c’è nulla di illegale in ciò che facciamo. Nulla, neppure in base ai vostri concetti di giusto e ingiusto. La legge non proibisce a nessuno, neanche agli extraterrestri, di acquisire o possedere proprietà. Anche voi due, lei e la signorina, avete il diritto di comprare quello che più vi aggrada. Potreste comprare tutto il mondo, se fosse questo il vostro scopo.
— Non potremmo — dissi — e per due motivi. Primo: mancanza di fondi.
— E l’altro?
— Che sarebbe una cosa di pessimo gusto — risposi. — Non si fa, e basta. E potrei aggiungere un terzo motivo: la legge antitrust.
— Ah sì — disse Atwood. — Ce ne rendiamo conto. Ma abbiamo già preso le contromisure.
— Ne ero sicuro.
— Dopotutto, a ben riflettere, l’unico prerequisito per fare ciò che abbiamo fatto, è possedere sufficiente… denaro — osservò Atwood.
— Ne parla come se fosse un’idea nuova per voi — dissi, notando l’accento che aveva messo sull’ultimo termine. — Non si conosce il denaro negli altri mondi?
— Non sia ridicolo! — rispose Atwood. — Esiste il commercio, in un modo o nell’altro, e quindi mezzi di scambio. Ma non il denaro come lo intendete voi. Qui sulla Terra è qualcosa di più della carta o del metallo in cui esiste, più delle cifre stesse che usate per contarlo. Qui gli attribuite un simbolismo che non si ritrova in nessun altro mezzo di scambio nell’universo. Per voi il denaro è una forza, una virtù. Non averne è una vergogna, talvolta un crimine. Misurate gli uomini in base al denaro che possiedono, il successo è frutto del denaro. Arrivate persino ad adorarlo.
Sarebbe andato avanti a lungo con quel sermone, se non lo avessi interrotto.
— Torniamo con i piedi per terra — dissi. — State per versare una somma superiore al costo della Terra stessa! Mandate via la gente dai posti di lavoro, e la cacciate di casa. Ma si dovrà provvedere ad assistere questa gente in qualche modo. Ogni governo della Terra varerà grandiosi programmi di assistenza, imponendo restrizioni e tasse. E le tasse, badi, cresceranno anche sulle proprietà acquistate da voi. Così, in definitiva, sarete voi a provvedere alle necessità di chi avete rovinato, pagando le imposte sull’assistenza sociale.
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