Clifford Simak - La strada dell'eternità

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La strada dell'eternità: краткое содержание, описание и аннотация

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Jay Corcoran e Tom Boone sono amici da anni e in certe occasioni formano una coppia perfetta. Jay è un esperto nel raccogliere informazioni su chiunque, e Tom sa girare dietro gli angoli anche quando non ci sono. La scoperta di una stanza che non esiste sarà solo il punto di partenza ideale per un viaggio destinato a scaraventare i due amici in un'avventura ambientata nel più lontano passato e nel più remoto futuro. Incontreranno così una strana famiglia di esiliati che include il bizzarro Henry, detto anche Fantasma (ma non fatevi sentire a chiamarlo in questo modo dagli altri membri della famiglia), il Popolo dell'arcobaleno, che possiede oscure risposte ad ancora più oscure domande, l'ambigua figura nota come Cappello, messaggero di forze sconosciute e al tempo stesso giocattolo di un lupo preistorico, e soprattutto gli Infiniti, che vogliono tramutare l'uomo in una intelligenza priva di corpo. Il tutto, fra robot che vogliono essere utili all'uomo, e lungo quella che è chiamata la Strada dell'eternità.

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Timothy cercò di fermare i suoi pensieri e di svuotarsi la mente, perché riusciva soltanto a confondersi le idee e non aveva elementi per giungere a una soluzione. Chiuse gli occhi, cercò di eliminare dal suo corpo la tensione, e anche il tumulto dei suoi pensieri si fermò. Si addormentò, ma ebbe un sonno agitato. Si destò varie volte, chiedendosi dove si trovava, tendendo l'orecchio ai rumori della legione d'automi al lavoro, disturbato dalle luci nel cielo. Poi, ricordando dove si trovava, si riaddormentava.

Infine qualcuno lo svegliò scuotendolo per una spalla e gridando: — Timothy! Svegliati! Spike è scomparso!

Si mise a sedere, chiedendosi perché Emma fosse così preoccupata. Era perplesso. Spike spariva sempre. Quando erano a Hopkins Acre, Spike scompariva per buona parte del tempo. Non lo vedevano per giorni, ma non si erano mai preoccupati della cosa, poi, quando lo decideva lui, si rifaceva vivo, spensierato come sempre, e l'assenza non pareva avergli fatto male.

La Terra assumeva un colore argenteo sotto la prima luce della luna. Il fondo della valle era ancora avvolto nell'oscurità. Dai fuochi accesi tra le fortificazioni saliva un filo di fumo. Perché, si domandò Timothy, i robot amavano tanto accendere fuochi? Certo non li usavano per cucinare, perché non mangiavano. Probabilmente accendevano i fuochi per il loro eterno desiderio di scimmiottare il loro creatore, l'uomo.

Horace era fermo a un centinaio di metri di distanza e parlava con Conrad e altri robot. Horace gridava e faceva la voce dura, ma la cosa non aveva molta importanza. Horace gridava sempre, e faceva sempre la voce dura: la faceva apposta per dimostrare che era un uomo rude.

Emma riprese, con il suo consueto tono lamentoso: — Spike sta di nuovo combinando dei pasticci. Spike ne combina sempre. Non so come abbiamo fatto a sopportarlo per tutti questi anni.

Timothy si alzò in piedi. Sollevò le mani per fregarsi gli occhi, poi si diresse lentamente verso Horace e i robot.

Sentendo che si avvicinava Horace si voltò verso di lui. — È di nuovo Spike — gridò. — Si è rimesso a giocare. Si nasconde da qualche parte, e crede che andremo a cercarlo. Gioca a nascondino.

Conrad parlava più piano di Horace, ma le sue parole si udivano chiaramente. — L'unico posto dove può trovarsi è nel monastero. Sia lui che il mostro sono spariti. Sono dentro.

— Allora — gridò Horace — perché continuate a scocciarci? Perché non andate a controllare nel monastero?

— Non io — disse il comandante dei robot. — Il monastero non è una cosa che ci riguardi. Riguarda gli uomini. Se voi entrerete, allora entreremo anche noi, ma noi da soli non entriamo.

Timothy si unì al gruppo. — Siete certo — domandò, rivolto a Conrad — che non sia scivolato tra le vostre linee?

— Impossibile. Abbiamo montato la guardia per tutta la notte. Li abbiamo avuti sott'occhio costantemente fino a un certo istante; l'istante successivo erano scomparsi.

— E che cosa hanno fatto, mentre li guardavate?

— Giocavano, a quanto pareva. Si rincorrevano: a volte uno rincorreva l'altro, altre volte il contrario. Sembrava che lo facessero secondo dei turni.

— Spike va pazzo per il rimpiattino — disse Horace. — Non intendo perdere altro tempo per causa sua. Tra un po' si stancherà e farà ritorno qui, con la coda tra le gambe.

— Ci ha preso in giro per anni — disse Emma, che si era unita a loro. — Saremmo sciocchi, se andassimo ancora una volta a cercarlo.

Timothy disse: — Questa volta la situazione sembra completamente diversa. Penso che dovremmo andare. Questa volta può essere in pericolo.

— No! — latrò Horace. — Nemmeno un passo! Accidenti, non intendo muovere un dito per lui.

— Forse Timothy ha ragione — disse Emma, piano, come se non fosse certa di avere l'autorizzazione a parlare. — Dopotutto è uno della famiglia. È sempre stato con noi.

— Se non vuoi andare tu — Timothy disse a Horace — andrò io da solo. Voi due rimanete qui. Dammi il fucile.

Horace fece un passo indietro. — No, non te lo do. Non sei capace di usarlo. Ti spareresti in un piede.

— Il fucile è mio, Horace.

— Sì, il proprietario sei tu, ma questo non significa che tu sappia usarlo.

— Allora andrò disarmato.

— No, non ci andrai! — gridò ancora Horace. — Non ti permetterò di andare da solo. Ti ficcherai in chissà quale pasticcio e nessuno potrà aiutarti a uscirne fuori.

— Se decidi di andare con lui — disse Emma — allora vengo anch'io con voi. Non voglio restare da sola in questo deserto.

— Ti ringrazio — disse Timothy, rivolto a Horace. — Sarò lieto di averti con me.

— Organizzerò un drappello — disse Conrad — per darvi appoggio. Siamo qui per proteggervi.

— Non ce n'è bisogno — disse Horace, rigido.

— Mi permetto di insistere — disse Conrad. — Qui vi abbiamo protetto. Continueremo a proteggervi anche fuori.

Conrad si voltò verso gli altri robot e cominciò a impartire ordini. I robot si misero in fila, disponendosi rigorosamente sull'attenti e mettendosi a spalla l'attrezzo che portavano: qui una vanga, là un palanchino, un'ascia, un martello pesante, un piccone…

— Visto che vuoi farci fare una stupidaggine — disse Horace, rivolto a Timothy — facciamola.

Timothy si avviò lungo la discesa, con Horace da un lato ed Emma dietro. Horace portava a tracolla il suo fucile da caccia grossa. Dietro di loro veniva la chiassosa legione dei robot, che marciava alla cadenza scandita dei sottufficiali o dai loro equivalenti.

Timothy continuò a scendere, attento a non scivolare su quel terreno ripido. Accanto a lui cadeva di tanto in tanto qualche ciottolo scalzato dai piedi dei legionari, che sollevava piccole nubi di polvere.

Dov'era Henry? si domandò. Se ci fosse stato, si sarebbe potuto infiltrare nel monastero per spiare all'interno. Così, se fosse stato necessario entrare, gli altri non avrebbero dovuto entrare alla cieca.

Giunsero insieme ai piedi della collina e la compagnia di robot si divise in due file, che procedettero affiancate, con gli umani in mezzo, in direzione del monastero.

Conrad, che camminava in testa a tutti, gridò un ordine, e le due file di robot si fermarono. Poi ritornò al gruppetto degli umani. — Restate qui — disse loro. — Invierò degli esploratori.

Gridò un altro ordine, e quattro robot si lanciarono di corsa verso il monastero. — Ci dev'essere una porta — disse Conrad. — Forse più di una. Ci deve essere il modo di entrare.

— È una sciocchezza — disse Horace. — Non c'è nessun pericolo.

— Certo — disse Conrad. — Nessun pericolo visibile. Ma in ogni situazione nuova c'è sempre un elevato fattore di rischio. Potrebbe addirittura essere un deliberato tentativo di nascondere la minaccia: farci credere che non c'è pericolo. In ogni caso, la cautela non fa mai male.

Timothy si guardò attorno. Altri robot si dirigevano verso di loro. Uscivano dalle postazioni di difesa che avevano costruito sulle colline e correvano come pazzi. Altri sciamavano sulla pianura, affrettandosi per raggiungere la squadra di Conrad.

— Anche gli altri si uniscono a noi — disse a Horace. — L'intero gruppo.

Horace si voltò a guardare ed emise un brontolio per indicare cosa pensava dei robot.

Attesero che arrivassero le informazioni. Cadde un pesante silenzio. Non si udiva un soffio di vento, non si udivano frinire gli insetti. Alla fine, uno degli esploratori fece ritorno. Si presentò a Conrad e disse: — Signore, abbiamo trovato un accesso. Una porta aperta. Ci sono altre porte, ma sono bloccate; non abbiamo cercato di forzarle, per evitare qualsiasi rischio. Poi abbiamo trovato quella aperta.

— E siete entrati?

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