Il mostro, spinto da Spike, ormai era vicino. I due avevano coperto metà della distanza tra il monastero e i piedi della collina.
Horace rientrò nel viaggiatore. I fucili erano nel posto che sapeva, con la canna che sporgeva da sotto la pila delle coperte. Una doppietta e un fucile 30.06.
Prese il 30.06 e tirò indietro l'otturatore. Nella camera c'era una cartuccia e il caricatore era pieno.
Per qualche tempo ci furono dei rumori all'esterno: rumore di piedi che correvano, di ciottoli smossi che rimbalzavano sulla collina. Horace l'aveva notato mentre ispezionava il fucile, ma adesso, improvvisamente, il rumore divenne più forte: un rimbombo. Un sasso molto più grosso di un ciottolo picchiò sul viaggiatore con un forte rumore metallico. Ancora ferma accanto alla rampa, Emma gridava qualcosa. Horace non riuscì a capire le parole.
Si girò verso il portello e uscì. Dall'esterno giungevano non solo le urla di Emma, ma anche il rumore sordo di oggetti pesanti che cadevano al suolo.
Non poteva essere il mostro assassino, spinto verso di loro dal perverso Spike, poiché quando Horace era entrato nel viaggiatore, i due erano ancora lontani.
Quando giunse sulla rampa, vide una scena totalmente assurda, con centinaia di robot carichi di utensili e di tronchi. Quelli che portavano tronchi li andavano a scaricare in punti ben determinanti, poi si voltavano e andavano a prenderne altri.
Altri robot con pale, picconi, palanchini e scuri, si erano messi al lavoro sollevando un grande polverone.
I tronchi venivano infilati in fori profondi, in modo che sporgessero all'infuori. Altri tronchi si trasformavano in assi squadrate sotto i colpi bene assestati delle lunghe scuri. I succhielli mordevano il legno per preparare i fori dei massicci cavicchi, e infine altre squadre di robot mettevano le assi al loro posto, costruendo quelle che a prima vista parevano strutture senza capo né coda.
Timothy disse, piano: — Avete visto, stanno montando quella che in sostanza è una linea di difesa nello stile degli antichi Romani. Fortificazioni basse, su più file, con un fossato davanti a ciascuna fila, collocate in modo da sostenersi tra loro. Quelle altre strutture sono catapulte, destinate a spezzare gli attacchi nemici in massa. La difesa è basata sul classico modello romano. Tuttavia, i nostri robot esagerano.
Su tutte le alture che circondavano la valle circolare in cui sorgeva il monastero, altri gruppi di robot erano al lavoro. Qui e là si alzavano volute di fumo dai falò accesi dai robot. A giudicare da quei segni, la legione dei robot si preparava ad acquartierarsi laggiù.
— Non credo che questi ròbot siano degli studiosi di storia romana — disse Timothy. — L'Impero Romano non è che un granello di storia in mezzo a un mucchio di polvere. Ma il suo modo di pensare e i suoi principi d'ingegneria sono fondamentali, tanto oggi quanto nei tempi antichi.
— Ma perché? — si lamentò Emma. — Perché ci fanno una cosa come questa?
— Non lo fanno contro di noi — gridò Horace. — Lo fanno per noi. Lo costruiscono per noi. Vogliono proteggerci. Senza bisogno. — Scosse il fucile per mostrarlo agli altri. — Se non si fossero messi in mezzo, ci saremmo potuti proteggere con questo.
Nella pianura, un piccolo turbine di polvere si muoveva a zig-zag, prima di un lato e poi dall'altro.
— Sono Spike e il mostro — spiegò Timothy. — Il mostro, vedendo quel che succede, cerca di allontanarsi, probabilmente per tornare all'interno del monastero. E Spike è altrettanto deciso a spingerlo verso di noi.
— Quante sciocchezze! — ruggì Horace. — Perché Spike dovrebbe spingere il mostro verso di noi? Lui sa che razza di macchina sia.
— Spike è sempre stato pazzo — disse Emma. — C'era David, che di tanto in tanto prendeva le sue difese, e anche Henry aveva sempre una buona parola per lui. Ma per me è un grosso pallone gonfiato.
Uno dei robot saliva verso di loro.
Si fermò bruscamente ai piedi della rampa, davanti a Horace. Batté i tacchi metallici e sollevò in un alto la mano destra. Fissando Horace negli occhi, disse: — La situazione è in mano nostra, signore. L'abbiamo in pugno.
— Di che situazione parli? — domandò Horace.
— Come? — fece il robot. — Gli Infiniti. Gli sporchi Infiniti!
— Non siamo neppure sicuri che gli Infiniti ci siano ancora — disse Timothy. — L'unica cosa che abbiamo visto è il mostro assassino.
— C'è il monastero, signore — disse il robot, in tono asciutto, come se fosse seccato nel veder messa in dubbio la sua parola. — Dove c'è un monastero, ci sono degli Infiniti. Noi sorvegliamo questo posto da anni. Siamo rimasti sempre di guardia.
— E quanti Infiniti avete visto? — chiese Horace.
— Neppure uno, signore. Finora non ne abbiamo ancora avvistati.
— E da quanto tempo fate la guardia?
— C'è stata qualche breve interruzione, è comprensibile. Ma all'incirca da duecento anni.
— In due secoli non avete visto Infiniti?
— Sì, questo è vero, signore. Ma se fossimo sempre rimasti in osservazione…
— Oh, piantala — disse Emma. — Non dire altre sciocchezze.
Il robot s'irrigidì. — Mi chiamo Conrad — disse — e sono il comandante di questa esercitazione. Stiamo svolgendo la nostra funzione primaria, la protezione della razza umana e l'assistenza a essa, ed eseguiamo il nostro dovere, mi sia consentito dirlo, con precisione, efficienza e rapidità.
— Benissimo, Conrad — disse Horace. — Ti autorizzo a continuare.
Il mostro e Spike avevano cessato i loro giri di valzer nella polvere ed erano fermi l'uno davanti all'altro: nessuno dei due si muoveva. I robot, che ormai erano numerosissimi, tanto che parevano coprire l'intera collina, stavano ancora alacremente costruendo una robusta linea difensiva, mirante a circondare la valle dove sorgeva il monastero.
— Be', non credo che possiamo fare molto — disse Emma. — Tanto vale che prepari qualcosa da mangiare. Avete fame?
— Io sì — disse Horace. Aveva sempre fame.
Emma si affrettò a entrare, e Horace scese dalla rampa e andò a raggiungere Timothy. — Cosa ne pensi? — gli domandò.
— Mi dispiace per loro — disse Timothy. — Sono qui da secoli, senza nessun umano da servire.
— E all'improvviso arriviamo noi — disse Horace. — Scodellati freschi freschi nel loro grembo.
— Appunto. Nessun essere umano, e poi, all'improvviso tre umani che gli sembrano indifesi e minacciati. Minaccia in parte immaginaria, perché è abbastanza chiaro che gli Infiniti sono scomparsi. Ma il mostro assassino è abbastanza reale, ed estremamente pericoloso.
— Perciò hanno perso la testa.
— Come prevedibile. Erano senza lavoro da centinaia di anni.
— Ma non sono rimasti in ozio. Hanno tagliato tutti gli alberi che hanno trovato, hanno sradicato i ceppi e hanno dato fuoco alla legna così raccolta.
— Lavoro fabbricato su misura per loro stessi — disse Timothy. — Per farlo, per dedicare a esso ogni energia, si sono dovuti convincere che gli alberi seguiranno gli uomini come forza dominante del pianeta.
— Tu non credi a questa faccenda degli alberi, vero?
— A dire la verità, sono ancora indeciso. L'idea che gli alberi siano destinati ad assumere una posizione dominante ha un certo fascino per me. Probabilmente sarebbero migliori degli uomini, dei dinosauri, delle trilobiti: tre specie che non hanno dato buona prova di sé.
— È un'idea pazza — disse Horace. — Gli alberi stanno in un posto e non si muovono mai. Non vanno né avanti né indietro.
— Dimentichi — disse Timothy — che hanno miliardi di anni a disposizione. Possono attendere gli sviluppi dell'evoluzione, senza fretta. È stato questo il guaio della specie umana. Noi non abbiamo mai avuto la pazienza di aspettare, e così abbiamo messo in corto circuito l'evoluzione. Ma è sbagliato pensare che l'evoluzione sia troppo lenta. Guarda cos'ha fatto in meno di un miliardo di anni, dalla prima pulsazione di vita a un animale intelligente. Uno che a causa della sua intelligenza si è scavato da solo la fossa sotto i piedi.
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