— Vi chiedo scusa, signora — disse il robot. — Non avevo intenzione di spaventarvi . Mentre mi avvicinavo a voi ho cercato di fare del rumore per annunciare la mia presenza, ma il vento… Con questo vento non si odono i rumori.
— Vi ringrazio — disse Enid. — Mi avete spaventato, ma solo per un istante. E non sono venuta per unirmi a voi. Non so neppure cosa sta accadendo.
— È tutta una questione di allucinazioni — disse il robot, senza mezzi termini. — Quella che vedete è una marcia del Pifferaio. Conoscete, suppongo, l'antica storia del Pifferaio di Hamelin?
— Sì, certo — disse Enid. — È una storia che ho letto in un libro di mio fratello. Parla di un pifferaio che con il suo strumento attirò fuori da un villaggio tutti i bambini.
— Qui è lo stesso — disse il robot. — Una marcia del Pifferaio, a parte che il pifferaio è assente. È colpa di questi alieni.
— Se non c'è un pifferaio, questa gente cosa segue?
— Nella loro allucinazione che credo sia cagionata dagli alieni, seguono dei sogni. Ciascuna persona segue un sogno che è esclusivamente suo. Io gliel'ho detto e ridetto, e, come me, glielo hanno detto anche gli altri robot, ma questa gente non presta alcuna attenzione a noi, e preferisce seguire i sudici alieni.
— Allora, perché siete qui? Voi non siete solo; ci sono anche altri robot.
— Qualcuno si deve prendere cura degli uomini. Qualcuno deve proteggerli da se stessi. Sono partiti senza provviste, senza acqua e senza cibo, senza abiti sufficienti a proteggerli dal freddo e dall'umidità. Vedete questa porchetta che ho sulla schiena, questo sacco che ho sotto il braccio? Io batto la campagna, raccogliendo quello che trovo. Non è un lavoro, vi assicuro, adatto a un robot della mia integrità e della mia sensibilità, ma devo farlo, perché questi miei umani scervellati sono presi dai loro stupidi sogni e non sono in grado di badare a se stessi. Ci deve essere qualcuno che si prenda cura di loro.
— Come andrà a finire? — domandò Enid. — Che cosa succederà a questi uomini?
— Non lo so — disse il robot. — Io spero che finisca tutto per il meglio. Forse la cosa è già successa altre volte in altri luoghi, ma questa è la prima volta che succede da noi. Vi chiedo scusa, ma per quanto io ami i miei umani, ci sono dei momenti in cui diventano la forma di vita più irresponsabile e irragionevole che esista. Ormai, signora, la mia età è giunta a varie centinaia di anni, e ho letto la storia di innumerevoli secoli; ma mi sembra che adesso gli umani siano irragionevoli in modo allegro e spensierato, mentre prima lo erano in modo stupido e perverso. Ma essere spensieratamente irragionevoli, ricavare piacere dall'irragionevolezza, mi sembra la peggiore forma di pervertimento.
— Dovrei riflettere sulla cosa — disse Enid. — Ma forse avete ragione.
Pervertimento, si disse. Che fosse questo, ciò che era successo alla specie umana? Un pervertimento volontario, consistente nell'azzerare tutti i valori conquistati duramente, quelli che per più di un milione di anni erano stati sottoposti al dominio della ragione? Che la razza umana, da un momento all'altro, e senza motivo, avesse voltato la schiena alla propria umanità? O era solo una seconda fanciullezza: togliersi dalla schiena i pesi, per ritornare all'egoismo del bambino, che scherza e gioca senza pensare alle conseguenze?
— Non c'è nessun pericolo, vi assicuro — disse il robot — se salite sulla cima a guardarli. Non è gente pericolosa. È solo gente sciocca.
— Ne avevo l'intenzione.
— Anzi, se avete tempo, potete unirvi a noi questa sera a cena. E dicendo «noi» mi riferisco ai miei umani e probabilmente a qualcuno di quei robot strani e disgustosi. Taglieremo la porchetta, ci sarà pane fresco di forno e tutto ciò che porteranno i miei compagni. Non dovete preoccuparvi, non disturberete affatto; sarete come una della famiglia. Al tramonto le famiglie si riuniscono per mangiare il cibo portato dai loro robot. E forse la mia famiglia vi piacerà. Eccetto questa sciocca manifestazione, è gente molto simpatica. Spero che l'attuale follia termini presto.
— Sono lieta di accettare — disse Enid. — Grazie del pensiero.
— Allora, accompagnatemi a cercare i miei umani. Devono essere nella fila, non molto lontano. Poi cercherò un posto dove accamparci e preparerò la cena. Magari un po' più avanti, in modo che mi raggiungano quando si fermerà questa sciocchezza, al tramonto.
— Non marciano, durante la notte?
— No, certo no. Hanno ancora un po' di sale in zucca.
— Vengo con voi — disse Enid. — Ma non intendo unirmi alla marcia. Mi sentirei a disagio. Invece, venendo con voi, potrei aiutarvi a preparare.
— Non occorre — disse il robot. — Non sono solo, e siamo tutti dei buoni lavoratori. Ma sarò lieto di avervi con me. E poiché staremo insieme per qualche tempo, potete chiamarmi Jones.
— Lieta di fare la vostra conoscenza — disse lei. — E voi chiamatemi Enid.
— Vi chiamerò signorina Enid. Le giovani donne hanno diritto al titolo di signorina.
— Grazie, Jones — disse lei.
Mentre parlavano avevano raggiunto la cima della collina, e adesso erano vicini alla linea di marcia. La processione, vide Enid, seguiva un sentiero che correva sulla cima della collina, il tipo di sentiero che di solito è percorso, tutt'al più, da qualche occasionale viandante che cerca un riparo prima del calar della notte.
La processione si stendeva a perdita d'occhio in entrambe le direzioni. Di tanto in tanto c'era qualche breve tratto vuoto, ma questi tratti non riuscivano a cancellare il fatto che si trattava di un unico, vasto movimento di persone.
Ciascuna persona camminava come se fosse sola, e non prestava attenzione a coloro che le stavano accanto. Camminava sicura, a testa alta, guardando fissamente davanti a sé, come se si aspettasse di vedere qualcosa da un momento all'altro. Tutti avevano un'espressione di serena attesa e sembravano camminare in una sorta di rapimento, anche se, si disse Enid, non sembrava un'estasi di tipo sacro o religioso, diversamente da come le era parso in un primo tempo.
Non c'erano bambini. C'erano adolescenti e vecchi, persone mature e persone vecchissime, che camminavano zoppicando con il bastone o con le grucce.
Con loro correvano, saltellavano e rimbalzavano numerosissimi alieni. Meno degli uomini, ma sufficienti a sembrare anch'essi una fila ininterrotta. C'era una creatura simile a un fantasma che ballonzolava sospesa a mezz'aria, ora allo stesso livello dei marciatori umani, ora sopra di loro, e che cambiava continuamente forma. C'era una creatura con tre gambe che camminava a lunghi passi come se fosse montata su trampoli: il suo corpo privo di connotati pareva una scatola di cartone. Un'altra sembrava allo stesso tempo una palla e un serpente: come un serpente si muoveva con andatura sinuosa in mezzo alle gambe degli uomini in marcia, e di tanto in tanto si arrotolava a forma di palla. C'era una testa, solo la testa, costituita da un unico occhio e dalla bocca, che si muoveva un po' in una direzione e un po' nell'altra, come se avesse fretta ma non sapesse dove dirigersi. E molti altri alieni.
Gli umani non prestavano particolare attenzione agli alieni, come se essi fossero stati semplicemente degli altri esseri umani. Gli alieni, a loro volta, non badavano agli umani, come se li conoscessero bene e fossero uguali a loro.
Enid aveva l'impressione che tutti, umani e alieni, fossero in attesa di qualcosa che doveva succedere, ma che non fossero in attesa della stessa cosa: che ciascuno fosse in attesa di una rivelazione personale.
Si guardò attorno, cercando Jones il robot, ma non riuscì a scorgerlo. C'erano altri robot, ma pochi si mescolavano con gli umani e gli alieni in marcia. In genere si limitavano a rimanere ai margini della processione. Enid continuò a cercare Jones, ma il robot non si vedeva. Forse, pensò, l'avrebbe trovato più avanti: si avviò di buon passo nella direzione in cui marciava la fila. Aveva fame, e l'idea di mangiare pane fresco e porchetta arrosto la attirava. Era stata sciocca a perderlo di vista. Dopo qualche decina di metri venne però colta da un pensiero: e se Jones fosse andato dietro, invece che avanti? S'immobilizzò, non sapendo che direzione prendere, e in quel momento sentì una voce non umana, che le parlava all'orecchio.
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