Clifford Simak - La strada dell'eternità

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La strada dell'eternità: краткое содержание, описание и аннотация

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Jay Corcoran e Tom Boone sono amici da anni e in certe occasioni formano una coppia perfetta. Jay è un esperto nel raccogliere informazioni su chiunque, e Tom sa girare dietro gli angoli anche quando non ci sono. La scoperta di una stanza che non esiste sarà solo il punto di partenza ideale per un viaggio destinato a scaraventare i due amici in un'avventura ambientata nel più lontano passato e nel più remoto futuro. Incontreranno così una strana famiglia di esiliati che include il bizzarro Henry, detto anche Fantasma (ma non fatevi sentire a chiamarlo in questo modo dagli altri membri della famiglia), il Popolo dell'arcobaleno, che possiede oscure risposte ad ancora più oscure domande, l'ambigua figura nota come Cappello, messaggero di forze sconosciute e al tempo stesso giocattolo di un lupo preistorico, e soprattutto gli Infiniti, che vogliono tramutare l'uomo in una intelligenza priva di corpo. Il tutto, fra robot che vogliono essere utili all'uomo, e lungo quella che è chiamata la Strada dell'eternità.

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Le sue conoscenze sull'arte di fabbricare un arco erano pressoché inesistenti. Comunque, conosceva la teoria e poteva forse bastare per provare. Domani, si disse, mi metterò alla ricerca del legno e delle pietre, Per un attimo pensò al boschetto di ginepri dove aveva preso la legna da ardere, ma rinunciò subito all'idea. Il ginepro era un legno che valeva poco; in tutto il boschetto non avrebbe trovato un solo pezzo di legno utilizzabile per costruire un arco.

Fecero capolino altri due lupi. Osservandoli, Boone cercò di riconoscere il suo lupo, ma non riuscì a capire quale fosse. Al tramonto, tutta la carne da lui lasciata per i lupi era sparita, e anche i lupi erano scomparsi.

Poco dopo il tramonto del sole, il lupo fece ritorno e si sedette accanto al fuoco, dirimpetto a Boone.

Boone si rivolse al lupo: — Domani — disse — vado in giro a cercare del legno e delle pietre. Se vieni con me, mi fai un piacere. Può essere un viaggio faticoso. Non posso portare acqua con me, ma posso portare della carne e possiamo dividercela.

Era ridicolo, pensò. Il lupo non poteva capire una sola parola, ma parlare con lui gli serviva per sentirsi più tranquillo. Era bello avere qualcuno a cui rivolgersi, e un lupo era meglio che niente. Il lupo poteva tenergli compagnia accanto al fuoco.

Si destò nel corso della notte, e il lupo era ancora lì. Lo osservò attentamente mentre metteva legna sul fuoco. Quando si riaddormentò, il lupo era sempre lì a guardarlo.

La mattina dopo, Boone scrisse un altro messaggio, questa volta più lungo del precedente: Mi allontano per fare un viaggio che durerà tre o quattro giorni, ma ritornerò. Aspettatemi. Può darsi che ci sia con me un lupo. Se lo vedete, non fategli del male. È un amico.

Lo posò sulla pila di pietre, coprendolo con un sasso tondo, e si allontanò accompagnato dal lupo. Si diresse verso ovest, in direzione della collina dove gli era parso di vedere degli alberi. Pensava di poterla raggiungere in una giornata di cammino.

Invece la collina era più lontana. Nel tardo pomeriggio Boone capì che non sarebbe riuscito a raggiungerla prima di sera. Era stanco e assetato. Non aveva incontrato acqua. Forse, pensò, ci sarà acqua sulla collina. Poteva resistere per tutta la notte senza bere. Si calò in un torrente asciutto e procedette lungo il letto fino ad arrivare a un punto dove faceva una curva, e formava una sorta di rientranza dalle alte pareti.

Con la legna caduta dai pioppi Boone si accese il fuoco. Prese tre pezzi di carne e li gettò al lupo. Mentre il lupo li mangiava avidamente, Boone si sedette accanto al fuoco e mangiò la sua porzione. La carne era tenera: assai più di quella del bisonte. Il lupo terminò la sua razione e attese speranzosamente di averne ancora. Boone gliene gettò un altro pezzo.

— Basta — disse. — Metà per uno, e tu ne hai mangiato più di me.

Stanchissimo, si addormentò al tramonto del sole, e il lupo si stese davanti a lui, dall'altra parte del fuoco. Si destò poco prima dell'alba. Il fuoco si era spento, ma Boone non si curò di riaccenderlo. Diede un po' di carne al lupo e ne mangiò un poco anche lui. Quando ripartirono, il sole non si era ancora alzato.

Raggiunsero la collina prima di mezzogiorno e cominciarono a salire. L'altura era molto più grande di quella dove si erano accampati lui ed Enid; la salita fu lunga e faticosa. Giunto a metà strada, il lupo trovò l'acqua. Quando ritornò indietro, aveva il muso bagnato e sgocciolante.

— Acqua — disse Boone. — Fammi vedere dov'è.

Il lupo continuò a fissarlo perplesso.

— Acqua! — esclamò Boone. Tirando fuori la lingua, fece finta di leccare dell'acqua.

Il lupo trotterellò verso destra, fermandosi di tanto in tanto per guardarsi alle spalle. Possibile, si domandò Boone, che il lupo avesse capito? Era una follia pensarlo, eppure, visto che lui aveva condiviso con il lupo la carne, forse il lupo avrebbe condiviso con lui l'acqua.

Gli pareva di essere assetato da ore; aveva cercato di togliersi il pensiero dalla mente, ma adesso che sapeva che l'acqua era vicina, la sete gli era tornata. Aveva la bocca e la gola asciutte, e faceva fatica a trangugiare.

Davanti a lui, sul pendio, sporgeva un grosso costone di roccia. Boone cercò di fare in fretta, ma la roccia era scivolosa e ripida. Dovette procedere camminando a quattro zampe, afferrandosi a ogni appiglio.

La roccia, poté vedere, era calcare e non arenaria. Il calcare doveva giacere al di sopra dello strato di arenaria che costituiva l'altra collinetta. Il calcare era inutile per costruire attrezzi, ma poteva contenere qualche vena di quarzo o di silice.

La parete di roccia s'innalzava sopra di lui. Qua e là spuntavano sparuti alberi di cedro. Continuò a strisciare sulle pietre ripide, alla base della parete. Non vedeva più il lupo, ma gli pareva di udire il rumore dell'acqua corrente.

Poi mise un piede in fallo e scivolò. Quando infine si fermò, sentì che qualcosa gli imprigionava la caviglia destra. In tutta la gamba sentiva un dolore così atroce da mozzargli il fiato.

Rimase immobile per lunghi momenti, mentre il dolore lentamente diminuiva. Poi cercò di mettersi a sedere, ma non ci riuscì. La cosa che gli teneva la gamba lo costringeva a girarsi per vedere cosa gli fosse successo, ma non appena si mosse, la gamba gli fece di nuovo male. Semisvenuto per il dolore, ricadde a terra. Quando ritrovò le forze, provò di nuovo ad alzarsi, con molta attenzione. Riuscì a girare la testa e vedere cosa era successo. Il piede gli era finito in uno stretto crepaccio, nel punto dove lo strato calcareo affiorava alla superficie. Nella caduta, la caviglia destra si era incastrata in una fessura.

Che incidente stupido, pensò. Sentì salire la paura e cercò di ricacciarla indietro. Era sufficiente, si disse, sfilare la gamba con la massima dolcezza.

Cercò di muoverla. I muscoli si flettevano, e la gamba si muoveva, ma gli faceva male. Probabilmente se l'era slogata; non gli pareva di essersela rotta. E probabilmente c'erano anche dei brutti graffi.

Il lupo discese cautamente lungo la pila di pietre e si fermò davanti a lui, uggiolando e fissandolo.

— È tutto a posto — gli gridò Boone, con la gola dolorante. — Tra un attimo sarò libero. Devo solo trovare il modo.

Ma non riuscì a liberarsi in un attimo. Nonostante i suoi sforzi la gamba rimaneva serrata nella fessura. La posizione in cui era caduto Boone, steso su una ripida scarpata, con la testa verso il basso, rendeva difficile il compito. Quando cercò di spostarsi per mettersi in una posizione più comoda, il dolore alla gamba lo lasciò spossato e coperto di sudore. Alla fine, troppo indebolito, rinunciò a provare ancora. Mi riposo un poco, disse a se stesso.

Dopo essersi riposato, provò di nuovo. Ma ormai era quasi buio. Il lupo si era allontanato chissà dove, e lui era rimasto solo. Ancora una volta cercò attentamente di liberare la gamba; poi, non riuscendo a farlo, provò a dare un violento strattone. Si sentì correre per la gamba una lingua di fuoco. Strinse i denti e provò ancora. Ma la gamba non si mosse. Non ebbe il coraggio di provare una terza volta. Era esausto. Udiva chiaramente il rumore dell'acqua corrente. Il dolore era feroce; la sete lo soffocava.

Cercò di ragionare. Cercò di fare dei piani, ma non ne trovò. Fece per afferrare l'involto che portava sulla spalla e che conteneva la carne. L'involto era scomparso. E così pure il fucile.

Boone serrò i denti. Già altre volte, in precedenza, si era trovato in momenti difficili ed era riuscito sempre a sopravvivere. Come ultima risorsa, poteva sempre girare dietro un angolo e trovarsi libero. Cercò di farlo. Serrò strettamente gli occhi, tese tutto il corpo e cercò di comandare al proprio cervello.

— L'angolo! — gridò. — L'angolo! Dov'è quel maledetto angolo?

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