Gli occorrevano delle armi. E se le armi erano l'unica possibilità che gli rimaneva, doveva cominciare subito, per imparare a fabbricarle e a usarle prima di finire i colpi. Il primo passo consisteva nel trovare della pietra lavorabile. L'arenaria intorno a lui non serviva a nulla. Ma c'erano altri posti dove avrebbe potuto trovare le pietre.
Alla fine cessò di camminare e ritornò a sedere accanto al fuoco. I lupi banchettavano: avevano aperto un varco nella cotenna dell'animale e continuavano ad allargarlo. Di tanto in tanto sollevavano il muso sporco di sangue e fissavano Boone per qualche istante e poi ritornavano a mangiare. Ancora un paio d'ore, si disse lui, e avrebbe potuto prendere la sua parte di carne. Il sole era allo zenit, o poco più avanti. Gli avvoltoi cominciavano a radunarsi. Nel cielo se ne vedeva già una decina, che a ogni giro scendeva un poco più in basso.
Il mostro parlò nuovamente: “Boone, cerca di essere ragionevole. Ascoltami”.
— Ti ascolto — disse Boone.
“Ho perso tutti i miei organi di senso. Non posso né vedere né udire. L'unica cosa che percepisco sono le parole che tu mi rivolgi, e finora non sono state parole gentili. Io non sono niente. Sono una nullità immersa nella nullità. Eppure sono cosciente di esistere. Potrei andare avanti così per migliaia di anni, sapendo di non essere niente, incapace di entrare in contatto con il mondo. Tu sei la mia unica speranza. Se non avrai pietà di me, io dovrò sopravvivere così in eterno, sepolto sotto la sabbia e la terra, e nessuno conoscerà la mia esistenza. Sarò un sepolto vivo”.
— Sei davvero eloquente — commentò Boone.
“E non mi dici altro?”
— Non mi viene in mente niente.
“Tirami fuori” implorò il mostro. “Tirami fuori dai rottami, e portami con te. Dovunque tu vada. Pur di non essere solo”.
— Vuoi che io ti salvi?
“Si, ti prego di salvarmi”.
— Sarebbe soltanto una soluzione provvisoria — disse Boone, rivolto al mostro. — A causa delle tue azioni, forse io sono destinato a rimanere qui: in questo deserto, come lo chiami tu. Potrei morire qui, e lasciarti di nuovo solo, abbandonato allo stesso destino che ti attende ora.
“Sia come sia, per un po' di tempo staremo insieme. Non saremo soli”.
— Ho l'impressione — disse Boone — di preferire la solitudine.
“Ma le speranze non muoiono mai. Può sempre succedere qualcosa che ci può salvare tutti e due”.
Boone non rispose.
“Non mi hai risposto” disse il mostro, petulante.
— Non ho niente da dire. Non ti voglio, capito? Non voglio avere niente a che fare con te.
Avere pietà per il nemico sconfitto: certo, questo era certamente nobile e umano. Ma nel suo caso non si trattava di un normale nemico. Cercando di immaginarsi che tipo di nemico era, scoprì di non sapere come qualificarlo.
Poteva essere una trappola, disse a se stesso, e si sentì meglio dopo averlo pensato. Laggiù, in quella massa di rottami che un tempo costituiva il mostro, c'era un piccolo componente che poteva essere il suo cervello, o il computer incredibilmente complesso che era l'essenza del mostro. Mettendosi a cercare fra i rottami per trovare questo piccolo componente, rischiava di cadere vittima del mostro, perché forse rimaneva tra quei rottami qualche parte letale che funzionava ancora.
“Grazie tante” mormorò a se stesso. “Avevo ragione a non volermene occupare”.
I lupi avevano terminato il loro primo e vorace pasto. Alcuni erano già sdraiati sul terreno e parevano sazi, mentre altri erano ancora intenti ad addentare il bisonte, ma senza grande impegno. Gli avvoltoi erano molto bassi. Il sole era sceso notevolmente nel cielo.
Boone raccolse il fucile e si diresse verso il bisonte. I lupi sorvegliarono con interesse i suoi passi; quando si avvicinò troppo si allontanarono di qualche metro, poi si fermarono e ringhiarono piano verso di lui. Boone mosse leggermente il fucile nella loro direzione, e i lupi si allontanarono ancora di più. Alcuni si sedettero tranquillamente a terra per osservare.
Giunto al bisonte, Boone appoggiò il fucile contro la carcassa e aprì il coltellino. I lupi avevano sventrato la bestia e avevano strappato un po' di pelle da una delle cosce. La coscia, si disse Boone doveva essere piuttosto dura. Ma con quel coltellino non poteva tagliare la pelle dell'animale fino a giungere alle parti più tenere. Doveva prendere ciò che aveva a portata di mano.
Afferrò con entrambe le mani la pelle, nel punto dove era lacerata, e tirò con tutte le sue forze. La pelle si staccò con difficoltà. Fece forza anche con i piedi, e questa volta riuscì a staccarne una buona porzione. Poi, con un certo stupore, si accorse che il coltello era abbastanza utile. Tagliò una grossa fetta di carne e la mise da un canto; poi ne tagliò una seconda. Era ben più di quanta ne potesse mangiare in una sola volta, ma probabilmente era la sua unica occasione di fare rifornimento. Presto sarebbero arrivati gli altri lupi, richiamati dall'odore del sangue, e sarebbero giunti anche gli avvoltoi. Al sorgere del sole sarebbe rimasto ben poco.
Un enorme lupo, più grosso degli altri, si avvicinò al bisonte e ringhiò. Altri si rizzarono in piedi. Boone prese il fucile e lo agitò nella loro direzione, ruggendo minacciosamente. Il grosso lupo si fermò, e gli altri lo imitarono. Boone posò il fucile e si tagliò un'altra fetta di carne.
Senza staccare gli occhi dai lupi, Boone raccolse la carne e cominciò ad allontanarsi. Si mosse lentamente. Se fai mosse brusche, si disse, i lupi ti saltano addosso.
I lupi lo sorvegliarono senza muoversi, in attesa della sua mossa successiva. Boone continuò a indietreggiare. Quando giunse a metà distanza tra lui e i fuoco, i lupi si gettarono contro il bisonte morto, ringhiando tra loro e mostrandosi i denti. Non prestarono più attenzione a Boone.
Giunto accanto al fuoco, cercò una zona di erba pulita e posò a terra la carne. Una porzione sufficiente per dieci pasti. Rimase a fissarla per qualche momento, domandandosi cosa farne.
Non si conserverà, pensò. In un paio di giorni andrà a male. La cosa più sensata era farla cuocere tutta, mangiarne una parte, avvolgere i resto nella camicia, seppellire il pacchetto e poi rimanere seduto sul buco dove l'aveva sepolto. Se non l'avesse protetto, i lupi l'avrebbero estratto dal terreno, una volta finita la carcassa del bisonte.
Si mise all'opera. Scelse qualche ramo robusto e ne appunti le estremità. Poi tagliò la carne in pezzi più piccoli e la infilò sui bastoncini appuntiti, usandoli come spiedini. Il fuoco si era ridotto a un mucchietto di carboni. Isolò i pezzi ancora accesi e se ne servì per accendere un altro fuoco. Infilò in terra i bastoni in modo che la carne rimanesse al di sopra del letto di carboni accesi.
Si sedette accanto ai carboni e sorvegliò la cottura, girando di tanto in tanto gli spiedi. All'odore della carne che cuoceva si sentì venire l'acquolina in bocca. Ma per quanto fosse appetitosa, non poteva essere molto saporita. Non aveva sale per condirla.
I lupi stavano ancora disputandosi la carcassa del bisonte. Alcuni avvoltoi erano già scesi a terra, ma i lupi li avevano allontanati. Adesso attendevano ingobbiti, a una certa distanza, il loro turno. Il sole sfiorava l'orizzonte. La notte era ormai prossima.
Laggiù sulla pianura giaceva la carcassa di un bisonte che all'epoca di Boone era conosciuto soltanto come fossile. E più avanti c'erano altri fossili viventi: mastodonti, mammut, cavalli primitivi e forse anche cammelli. Anche i lupi che azzannavano la carcassa del bisonte appartenevano a una specie estinta.
Seduto accanto ai carboni accesi, Boone continuò a controllare con attenzione la cottura della carne. Sentiva i morsi della fame: dopo il semolino pressoché immangiabile della mattina, non aveva più mangiato niente.
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