Clifford Simak - La strada dell'eternità

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La strada dell'eternità: краткое содержание, описание и аннотация

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Jay Corcoran e Tom Boone sono amici da anni e in certe occasioni formano una coppia perfetta. Jay è un esperto nel raccogliere informazioni su chiunque, e Tom sa girare dietro gli angoli anche quando non ci sono. La scoperta di una stanza che non esiste sarà solo il punto di partenza ideale per un viaggio destinato a scaraventare i due amici in un'avventura ambientata nel più lontano passato e nel più remoto futuro. Incontreranno così una strana famiglia di esiliati che include il bizzarro Henry, detto anche Fantasma (ma non fatevi sentire a chiamarlo in questo modo dagli altri membri della famiglia), il Popolo dell'arcobaleno, che possiede oscure risposte ad ancora più oscure domande, l'ambigua figura nota come Cappello, messaggero di forze sconosciute e al tempo stesso giocattolo di un lupo preistorico, e soprattutto gli Infiniti, che vogliono tramutare l'uomo in una intelligenza priva di corpo. Il tutto, fra robot che vogliono essere utili all'uomo, e lungo quella che è chiamata la Strada dell'eternità.

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Dalla rientranza tra le rocce, dove i lupi assediavano il bisonte, giungeva di tanto in tanto qualche muggito. I lupi avevano ripreso il loro carosello.

Tutta quella scena pareva irreale, pensò Boone. Pur avendo la certezza di essere pienamente desto, aveva difficoltà a credere a ciò che vedeva. Da un momento all'altro la scena, si disse, era destinata a sparire, e lui si sarebbe ritrovato in un mondo che conosceva, tra amici e senza doversi preoccupare di un robot omicida, di un bisonte inferocito, o di un lupo che veniva a guardarlo negli occhi accanto a un fuoco spento.

Il mostro era molto vicino, e questa volta si dirigeva verso di lui. Era molto più grande di quanto gli era sembrato, e sempre incredibile. Il mostro non pareva avere fretta. I muggiti provenienti dalla rientranza tra le rocce divennero più forti, pieni di rabbia disperata.

Boone si bilanciò sulle gambe, cercando una posizione ben salda. Sollevò il fucile, ma non se lo portò alla spalla. Era pronto, si disse. Adesso era pronto a tutto. Prima avrebbe colpito il grande occhio, e poi, se necessario, il centro della rete.

In quel momento, da dietro il costone, comparve il grande bisonte, lanciato al galoppo. Aveva smesso di muggire. Teneva la testa sollevata, e il sole brillava sulle punte lucide delle sue corna. I lupi gli venivano dietro senza fretta, senza avvicinarsi. Sapevano che era spacciato; una volta giunto all'aperto, poteva essere attaccato da tutti i lati.

All'improvviso, il bisonte cambiò direzione e abbassò la testa. Il mostro cercò di scansarsi, ma non fece abbastanza in fretta. Il bisonte lo colpì in pieno e lo sollevò in aria. Con una brusca torsione del collo, lo infilzò con un corno prima che ricadesse a terra. Il mostro girò su se stesso, e il bisonte mosse la testa nel senso opposto, e lo colpì con l'altro corno. L'occhio luccicante si ruppe in mille pezzi, la ragnatela si lacerò. Il mostro cadde a terra, e il bisonte lo schiacciò sotto gli zoccoli, fracassandolo ancora di più.

Poi il bisonte barcollò e cadde in ginocchio. Con grande sforzo si rimise sulle zampe e si allontanò, muggendo impaurito. Dietro di lui, il mostro era ridotto a un mucchio di rottami. Il bisonte si fermò, girando la testa prima da un lato e poi dall'altro per cercare i lupi che lo tormentavano. I lupi, che si erano ritirati quando il bisonte aveva colpito il mostro, erano fermi a una certa distanza e attendevano gli eventi, con la lingua a penzoloni. Fremevano per l'impazienza. Il bisonte tremava, barcollava, era debole e pronto a cadere. Una delle gambe posteriori si piegò all'improvviso: per poco l'animale non cadde a terra, ma poi raddrizzò la gamba e riuscì a rimettersi in piedi.

Boone sollevò il fucile, mirò al cuore, e schiacciò il grilletto. Il bisonte cadde a terra di schianto e parve quasi rimbalzare sul terreno. Boone ricaricò l'arma. Disse, rivolto al bisonte: — Quel proiettile ti era dovuto, amico. Almeno non ti divoreranno vivo. — I lupi si tenevano a distanza, spaventati dal rumore dello sparo. Ma in breve tempo sarebbero ritornati; quella notte, nel buio ai margini del suo fuoco, si sarebbe banchettato.

Boone si avvicinò lentamente al mostro, scostando con i piedi i piccoli frammenti che giacevano davanti a lui. Era un rottame indescrivibile. Osservandolo, non riuscì a ricostruire mentalmente la forma che aveva posseduto in passato. L'urto iniziale del bisonte e le cornate successive l'avevano completamente fracassato. L'occhio scintillante era scomparso, la rete era strappata senza possibilità di recupero. Qua e là c'erano pezzi di metallo contorto che forse, in precedenza, erano appendici operative.

Il mostro si rivolse a lui, nell'interno della sua mente.

“Pietà” disse.

— Va' al diavolo — fece Boone, sovrappensiero. Poi tacque per lo stupore.

“Non lasciarmi qui” implorò il mostro. “Non lasciarmi in questo deserto. Io ho fatto soltanto il mio lavoro. Sono soltanto un robot. Non sono fondamentalmente cattivo”.

Boone si voltò dall'altra parte e ritornò al fuoco. Tutt'a un tratto si sentiva esausto. La tensione che l'aveva sorretto si era spezzata, e lui era senza forze. Il mostro era morto, eppure, dalle nebbie della sua morte, gli parlava. Per qualche istante, Boone rimase fermo accanto al fuoco, incapace di prendere una decisione, poi si avviò sulla collinetta in direzione del boschetto di ginepri. Fece tre viaggi, e accumulò una buona quantità di legna. La spezzò perché i pezzi fossero più maneggevoli, e ne fece un mucchietto ordinato. Soltanto allora si sedette accanto al fuoco e cominciò a pensare alla sua situazione.

Era isolato nel Nordamerica primitivo, e gli esseri umani più vicini si trovavano sulla costa asiatica del Giappone, al di là di un ponte di terra che in seguito doveva diventare lo Stretto di Bering. Se era destinato a rimanere in quel segmento temporale, poteva forse percorrere a piedi quelle migliaia di chilometri per trovare altri esseri umani… ma a che scopo? L'alternativa era se sarebbe stato ucciso o fatto prigioniero.

C'era un'altra possibilità. Attendere che qualcuno di Hopkins Acre venisse a cercarlo. Enid, ne era certo, sarebbe venuta, se la cosa le fosse stata possibile. E Jay avrebbe mosso cielo e terra per salvarlo, ma Jay aveva bisogno dell'aiuto degli altri.

Anche a essere ottimisti, comprese, la sua situazione era tutt'altro che rosea. Tutto sommato, la sua vita non aveva molta importanza per gli uomini del futuro. Lui, in fin dei conti, era solo un intruso che si era imbattuto casualmente in loro.

Il mostro gli parlò di nuovo, con voce debole e lontana.

“Boone! Boone, ti chiedo pietà!”

— Va' a darti la caccia da solo — brontolò Boone, parlando più a se stesso che al mostro, perché dubitava ancora dell'esistenza del mostro. La voce che gli pareva di sentire, si disse, era probabilmente frutto della sua immaginazione, e nient'altro.

Frattanto, i lupi si erano di nuovi avvicinati al bisonte: Boone li contò, ed erano sette, mentre prima gli pareva che fossero al massimo sei. Cercavano di addentare la carcassa.

— Buon appetito — mormorò loro. Sia la pelle, sia la carne di quel vecchio animale dovevano essere dure. I lupi avrebbero dovuto faticare un poco per lacerare la pelle e arrivare alla carne, che del resto non era certo la più gustosa che si potesse immaginare. Ma a un lupo poteva andare bene per riempirsi la pancia.

E prima che la giornata fosse finita, pensò Boone, anche lui avrebbe avuto bisogno di un po' di quella carne, perché non aveva proprio niente altro da mangiare.

Sarebbe stato pericoloso avvicinarsi alla carcassa e allontanare i lupi per tagliarsi qualche pezzo di carne. L'unico strumento di cui disponeva era il coltello a serramanico, che rischiava di rompersi sotto lo sforzo. Meglio attendere che i lupi fossero meno affamati, e dunque meno possessivi. Forse i lupi stessi gli avrebbero evitato la fatica di tagliare la pelle, lacerandola in modo da lasciare libera qualche zona di carne. Avrebbe mangiato, si disse ironicamente, gli avanzi dei lupi.

Si alzò e cominciò a camminare avanti e indietro tra il fuoco e il costone di arenaria. E passeggiando cercò di formulare un piano di sopravvivenza. La sua capacità di girare dietro agli angoli si presentava soltanto nei momenti di grande tensione, ma probabilmente, dopo un periodo indeterminato di tempo, lo riportava esattamente al punto di partenza. Soltanto per un caso fortuito la sua strana abilità aveva portato lui e Jay nel viaggiatore di Martin. Non poteva aspettarsi che la cosa si ripetesse.

Aveva ancora cinque colpi, e con ogni proiettile poteva abbattere un animale di dimensioni ragguardevoli. Ma una volta abbattuto, avrebbe dovuto proteggerlo, o nasconderlo, perché i carnivori non glielo portassero via, e presto la carne sarebbe andata a male. Poteva affumicarla, naturalmente, ma non conosceva l'arte di affumicare la carne; poteva salarla, ma non aveva sale. Ignorava tutte le tecniche per sopravvivere in un territorio come quello. Forse avrebbe potuto cercare radici e frutti commestibili, ma quali si potevano mangiare, e quali rischiavano di avvelenarlo? Il problema si riduceva quindi a questo; come poteva, un giorno dopo l'altro, procurarsi una quantità di cibo sufficiente a farlo sopravvivere?

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