— Questa volta — disse lei — facciamone una buona scorta. Non voglio andare lassù di continuo.
Un basso brontolio, proveniente da un punto vicino a loro, li indusse ad alzarsi in piedi. Il brontolio cessò, poi riprese e divenne un muggito.
— Un bisonte — disse Boone. — Dev'essere nei guai.
Enid rabbrividì. — I lupi lo incalzano.
— Vado a vedere — disse Boone. Si avviò in quella direzione e la donna lo seguì.
— No — le disse lui. — No, voi rimanete qui. Non so cosa potrò trovare laggiù.
Camminando rapidamente, giunse al costone di roccia, fece il giro ed entrò nella rientranza dove aveva trovato il bisonte. L'animale si era addossato alla roccia. Fronteggiava cinque o sei lupi, che si gettavano su di lui con brevi corse, per poi fermarsi improvvisamente e gettarsi di lato, sfuggendo alle cornate con cui cercava di colpirli. Il bisonte muggiva rabbiosamente, ma nella sua collera c'era già una punta di disperazione. Teneva bassa la testa; i suo muggiti erano brevi e aspri. Continuava a ruotare la testa da una parte all'altra per difendersi dalla minaccia dei lupi. Con la barba spazzava il terreno. I fianchi gli tremavano, ed era chiaro che non sarebbe riuscito a resistere ancora per molto, e che presto i suoi nemici sarebbero riusciti ad avvicinarsi.
Boone sollevò il fucile, e attese un attimo prima di portarselo alla spalla. Il bisonte si girò a guardarlo, e Boone scorse il luccichio dei suoi occhi, in mezzo al pelo. Poi abbassò il fucile.
— Non ancora, amico — disse. — Non ancora. Quando si avvicineranno di più, tu riuscirai a colpirne uno o due, e non posso negarti questa soddisfazione.
Il bisonte lo fissava senza battere ciglio. Il suo muggito si ridusse a un mormorio. I lupi, disturbati dall'intrusione di Boone, si allontanarono.
Boone indietreggiò lentamente, sorvegliato dai lupi e dal bisonte. Qui, pensò, sono un intruso. Sono un fattore ignoto e imprevedibile che si è intromesso nel loro ambiente. E qui non c'è niente che mi riguardi, non ho diritto di interferire. Per innumerevoli secoli i vecchi maschi di bisonte, privi di forze, intorpiditi dagli anni, sono stati cibo per i lupi. Qui i lupi sono predatori autorizzati, e i vecchi bisonti le vittime predestinate. Era lo schema prefissato della vita, il modo in cui si svolgevano le cose, e non occorreva la presenza di un arbitro che giudicasse gli uni e gli altri.
— Boone!
Nell'udire il grido, Boone girò sui tacchi e fece il giro del costone, di corsa. Enid era ferma accanto al fuoco e indicava un punto sulla collina: lassù, intento a scendere di gran carriera lungo la pendice, e diretto verso il loro accampamento, c'era l'incredibile mostro che li aveva costretti a fuggire da Hopkins Acre. La ragnatela luccicava sotto i raggi del sole e del mattino. Dall'orlo della rete, l'occhio luccicante si sporgeva a spiare e stava emergendo dalla rete una sorta di scuro meccanismo.
Boone capì di non avere alcuna possibilità di percorrere la distanza che lo separava dal fuoco. Non poteva fare niente per fermare il mostro.
— Correte! — gridò. — Nel viaggiatore, presto!
— Ma, Boone…
— Salvate il viaggiatore! — gridò Boone. — Salvate il viaggiatore!
Enid corse verso il viaggiatore e si tuffò all'interno. Il mostro era quasi giunto all'accampamento: non più di un centinaio di metri lo separavano dal veicolo.
Ansimando, Boone sollevò il fucile. Quell'occhio, pensò. Quell'occhio, grande, rotondo, luccicante. Probabilmente non era il modo migliore, ma non gliene venivano in mente altri.
Il suo dito indice si avvicinò al grilletto, e, mentre stava per sparare, il viaggiatore scomparve. Lo spazio occupato dal veicolo era vuoto. Boone abbassò l'arma. Il mostro raggiunse l'area dove fino a pochi istanti prima c'era stato il viaggiatore, poi girò su se stesso, in modo da trovarsi davanti a Boone. Il grande occhio, che ora sporgeva completamente dalla rete, lo fissava; la rete scintillava al sole. Poi il meccanismo rientrò lentamente all'interno della rete luminosa.
— Bene — disse Boone. — Te la sei voluta.
Aveva sei colpi, e poteva spararne almeno quattro prima che il mostro meccanico lo raggiungesse. Prima l'occhio, poi la rete…
Ma il mostro non cercò di avvicinarsi. Non si mosse affatto. Boone sapeva che il mostro l'aveva visto; aveva la netta sensazione di essere osservato.
Aspettò che il mostro si muovesse, ma quello continuava a rimanere fermo. Il mostro sapeva che Boone era lì, e l'aveva riconosciuto. Ma sapeva, si domandò Boone, che lui non era uno di coloro che doveva cercare? Se il mostro era ciò che sembrava, un robot cacciatore, allora forse era programmato per colpire una limitata quantità di bersagli. Ma poi si disse che la cosa era poco probabile. La via più logica consisteva nell'includere fra i suoi bersagli tutti gli esseri umani che si accompagnavano alle persone provenienti dal futuro.
Boone fece un passo avanti, e attese ancora. Il mostro non si mosse. Che volesse divertirsi come il gatto con il topo, aspettando che fosse sufficientemente vicino per afferrarlo di scatto prima che Boone potesse difendersi?
Non c'era bisogno di avvicinarsi al fuoco, pensò. Laggiù erano rimasti soltanto il secchio e la pentola. Mentre lui era alla fonte, Enid aveva riportato nel viaggiatore il resto delle provviste: il cibo, le coperte, lo zaino. A lui erano rimasti soltanto il fucile e le munizioni.
A questa considerazione, si sentì come nudo. Era abbandonato a se stesso. Enid avrebbe fatto il possibile per ritornare a prenderlo. Ma ne avrebbe avuto la possibilità? Boone non conosceva il funzionamento di un viaggiatore, e non sapeva fino a che punto Enid fosse capace di manovrarlo.
Il mostro si decise a muoversi, ma non nella sua direzione. Si mosse lentamente, in modo indeciso, in direzione della pianura, come se non sapesse cosa fare. Forse, si disse Boone, era preoccupato. Aveva fatto fiasco, questo era certo. Prima ad Hopkins Acre, e di nuovo adesso.
Il mostro si allontanò dal fuoco e si diresse verso la pianura: era simile a uno scintillante gioiello sullo sfondo opaco del terreno e delle collinette polverose.
Continuando a tenerlo d'occhio, Boone ritornò accanto al fuoco e vi gettò altra legna. Nel prossimo futuro doveva andare a raccoglierne ancora nel boschetto di ginepri, in cima alla collina. C'erano punti migliori per accamparsi, ma non poteva allontanarsi troppo. Al ritorno di Enid (ammesso che ritornasse) doveva trovarsi lì, in attesa del viaggiatore.
Si inginocchiò accanto al fuoco, posò il fucile e passò in rassegna il contenuto delle sue tasche. Dalla tasca posteriore dei calzoni estrasse un fazzoletto e lo posò in terra, poi vi appoggiò sopra gli oggetti trovati nelle altre tasche. Un accendino, una pipa, una busta di tabacco quasi finita, un coltello a serramanico che portava con sé da anni per motivi d'affezione, un piccolo taccuino, una penna a sfera, un mozzicone di matita, un paio di graffette metalliche, una manciata di monete, il portafoglio con qualche banconota, carte di credito, la patente. Nient'altro. Quando si era recato all'Hotel Everest con Corcoran non aveva voluto appesantirsi, e aveva lasciato in casa dell'amico le altre cose che normalmente portava con sé. Ma almeno aveva due oggetti utili: l'accendino, da usare con estrema moderazione, e il coltello. Un coltello che non valeva molto, ma che almeno aveva una lama.
Si rimise in tasca le sue proprietà e si alzò in piedi, spazzolandosi il fondo dei calzoni.
Il mostro, vide, aveva cambiato direzione. Aveva descritto un cerchio, e adesso ritornava verso di lui. Boone raccolse il fucile, augurandosi di non doverlo usare. Aveva soltanto sei cartucce, e non poteva permettersi di sprecarle. Ma dove bisognava colpire un robot per abbatterlo?
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